mercoledì 19 giugno 2013

Dalla paura dei processi all'accanimento terapeutico (Scaraffia)

Dalla paura dei processi all'accanimento terapeutico

di Lucetta Scaraffia

L'articolo di Anne-Laure Boch pone un problema vero: mentre aumenta la nostra sensibilità nei confronti degli handicappati, il numero di questi ultimi cresce anche per effetto della medicina. E nel contempo le spese per l'assistenza nel complesso aumentano, in modo non facilmente affrontabile in questa fase di crisi economica. Ecco dunque dove nasce la richiesta di eutanasia per anziani e malati gravi, in una spirale che sembra sempre più stringersi intorno ai malati.
Le sue osservazioni, che riprendono poi quelle -- se pure meno chiare e centrate -- di altri medici, a prima vista somigliano sinistramente ai discorsi degli eugenisti ottocenteschi, quelli che chiedevano, e in alcuni Paesi ottenevano, la sterilizzazione dei malati per evitare la degenerazione della società. Essi sostenevano che la proliferazione dei malati era conseguenza della rivoluzione industriale che, realizzando un miglioramento delle condizioni di vita e delle cure, consentiva la sopravvivenza a persone deboli e malate, persone che in epoche precedenti sarebbero morte. Le conseguenze di queste ragionamenti -- anche senza arrivare alla gelida realizzazione eugenetica nazista -- sono state terribili e in molti Paesi, come la Svezia, se ne portano ancora le tracce.
In questo caso, quindi, il passato insegna a vedere i pericoli insiti in discorsi che a prima vista possono sembrare “ragionevoli”.
Ma l'articolo pone un problema vero, su cui siamo tutti chiamati a riflettere: al centro della questione non sta l'eutanasia, ma l'accanimento terapeutico. Senza dubbio ai medici spetta definire con coraggio e nettezza i confini fra cure giustificate e accanimento, allo stato presente della scienza medica. Ma spesso per loro non è facile definirlo, perché non si tratta soltanto di una questione al tempo stesso di competenza e di coscienza: il timore di essere citati in giudizio per non avere svolto bene il loro ruolo incombe sui medici e sugli ospedali, e costituisce un rischio che in genere nessuno vuole correre. Anche perché, per una serie complessa di ragioni, gli ospedali ormai preferiscono sempre patteggiare subito, invece di imbarcarsi in lunghi e costosi iter processuali, anche se sanno di essere dalla parte della ragione. E quindi pagano comunque una penale, e si capisce bene come preferiscano non dovervi incorrere a nessun costo. Anche se questo significa il costo umano dei malati con cui si insiste con la rianimazione anche se è troppo tardi, o con il tenere in vita a tutti i costi malati senza speranza e via dicendo.
Come giustamente scrive Ferdinando Cancelli in questa pagina, non si tratta solo di decisioni mediche, quindi di valutazioni in un certo senso “scientifiche”, ma di interessi finanziari -- di case farmaceutiche e dello Stato -- e di pressioni giudiziarie.
Quindi ai legislatori spetta il compito di intervenire su questi versanti, per rendere più libera e professionale la scelta dei medici, e per evitare che la medicina, invece di curare, non faccia che generare handicappati.
È questa la via da percorrere per risolvere il problema, che certo non bisogna negare, invece di legalizzare l'eutanasia.

(©L'Osservatore Romano 18 giugno 2013)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"Il problema non è l'eutanasia, ma l'accanimento terapeutico".

Cioè: il problema non è dare la morte a una persona, ma tenerla in vita.

Già: tenere in vita una persona vuol dire generare un handicappato.

I portatori di handicap (me per prima) sentitamente ringraziano per il gentilissimo e fine pensiero.

E questo è il quotidiano della Santa Sede?

Ester (-refatta). :-(

gemma ha detto...

Mi sembra,che da un po' di giorni a questa parte sull'Osservatore si stia "tamburando" un po' troppo su un certo argomento, come se si volesse cambiare orientamento. Forse si stanno gettando le basi per il testamento biologico.

sam ha detto...

Sarà che ho amici e parenti cari "handicappati", grazie alla medicina, invece che morti.. sarà che ho una malattia cronica.. sarà che in questo momento sono infortunata a letto.. sarà che questo mondo fa già di tutto per far sentire le persone inabili come delle inutili palle al piede.. anche a me questi due articoli sull'OR hanno raggelato il sangue!

La Chiesa non può assumere il linguaggio del mondo... parlare di sostenibilità senza parlare innanzitutto di umanità e di carità...
Forse che gli ammalati non sono "poveri"?

Non nego che si debba anche tenere in considerazione la traducibilità in concreto delle posizioni di principio, perchè non viviamo nell'utopia, ma... c'è modo e modo!

Se qualcuno, riferendosi all'art. 2241 del CCC, prova a chiedere quale sia la "misura del possibile", vale a dire la sostenibilità per uno Stato nell'accoglienza di immigrati, ci si straccia le vesti e si grida al razzismo.
Invece massima considerazione per chi suggerisce alla medicina di salvare meno vite, per avere meno malati, anziani e handicappati "sul groppone" da curare.. (!)

Facile citare il nazismo che è morto, ma chi ha il coraggio di combattere a viso aperto il neomalthusianesimo che è purtroppo vivo e vegeto, pieno di risorse e di potere?

Forse, se il progresso morale fosse andato di pari passo a quello tecnologico, se la famiglia fosse stata difesa, se si facessero ancora tanti figli, se le generazioni forti fossero abbastanza numerose e caritatevoli da potersi occupare con amore dei loro vecchi, malati o handicappati il più a lungo possibile e non dovendosene disfare al più presto, caricandoli sui costi collettivi o sopprimendoli, non saremmo arrivati a questo punto, o no?!

"Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo…
se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell'umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la strada alla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario la situazione dell'uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato."
Spe Salvi

"Nel secolo XVII l’Europa ha conosciuto un’autentica svolta epocale e da allora si è andata affermando sempre più una mentalità secondo la quale il progresso umano è opera della scienza e dalla tecnica, mentre alla fede competerebbe solo la salvezza dell’anima. Le due grandi idee-forza della modernità, la ragione e la libertà, si sono come sganciate da Dio per diventare autonome e cooperare alla costruzione del "regno dell’uomo", praticamente contrapposto al Regno di Dio. Ecco allora diffondersi una concezione materialista, alimentata dalla speranza che, cambiando le strutture economiche e politiche, si possa dar vita finalmente ad una società giusta, dove regni la pace, la libertà e l’uguaglianza. Questo processo che non è privo di valori e di ragioni storiche contiene però un errore di fondo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di determinate condizioni economiche o sociali; il progresso tecnico non coincide con la crescita morale delle persone, anzi, senza principi etici la scienza, la tecnica e la politica possono essere usate – come è avvenuto e come tuttora purtroppo avviene – non per il bene ma per il male dei singoli e dell’umanità."

http://magisterobenedettoxvi.blogspot.it/2007/12/le-due-grandi-idee-forza-della-modernit.html