giovedì 13 giugno 2013

Su richiesta del fratello, la Santa Sede si interessò alla sorte di Maria Cristina Togliatti, entrata nel mirino fascista (Coco)

La mano tesa

Su richiesta del fratello, la Santa Sede si interessò alla sorte di Maria Cristina Togliatti, entrata nel mirino fascista

di Giovanni Coco

Le voci, quasi leggendarie, di un eventuale incontro tra Papa Pio XII e Palmiro Togliatti, indiscusso e carismatico capo del comunismo italiano, hanno sempre destato l'attenzione degli storici.
Alcuni studiosi hanno sostenuto la possibilità di un colloquio, nel 1944, tra il «compagno Ercoli» e monsignor Giovanni Battista Montini, al tempo sostituto della Segreteria di Stato, mentre altri si sono spinti ad affermare che, grazie alla mediazione di don Giuseppe De Luca, nella primavera del 1945 lo stesso Togliatti sarebbe stato segretamente ricevuto da Papa Pacelli in un'udienza protrattasi per ben tre ore. Il segretario del Partito comunista avrebbe riportato un'amara impressione del Pontefice, descritto come «un vincitore onnipotente» che si rivolgeva «a un vinto, a un alleato subalterno».
L'attendibilità di questo episodio è stata più volte contestata; e alcuni particolari, come l'inusitata durata dell'udienza, pongono seri dubbi sulla verosimiglianza dell'accaduto. D'altra parte, pare poco probabile che l'accorto De Luca, che aveva incontrato Togliatti per la prima volta solo alla vigilia del Natale 1944, si sia esposto personalmente a farsi garante e tramite di un passo così temerario presso monsignor Montini e lo stesso Pontefice.
Ciò nonostante, l'ipotesi di quell'udienza ha continuato a far discutere, e dal confronto tra le fonti già conosciute e altre di recente acquisizione, come alcuni documenti provenienti dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri di Roma, è forse possibile ricostruire diversamente gli eventi che hanno relazione a quella vicenda.
Il 9 luglio 1944, a un mese dalla liberazione di Roma (4 giugno), Togliatti teneva a Palazzo Brancaccio uno storico discorso, nel quale «come Partito Comunista» dichiarava di rispettare la «fede cattolica» e quindi chiedeva rispetto reciproco «ai rappresentanti e ai pastori» della Chiesa.
Questa apertura -- ribattezzata dagli scrittori de «La Civiltà Cattolica» con l'epiteto di mano tesa, con riferimento alla main tendue del comunista francese Maurice Thorez (1936) -- non passò inosservata negli ambienti politici e diplomatici della capitale, al punto che Myron Taylor, rappresentante personale del presidente Roosevelt presso il Vaticano, adoperò stralci del discorso togliattiano nel tentativo di dimostrare a Pio XII, invero con scarso successo, che il mondo comunista intendeva inaugurare un nuovo corso nei confronti della Chiesa cattolica.
A ogni modo, le parole del segretario comunista suscitarono una ridda di voci che si intrecciarono nell'animato dibattito, in corso tra le varie anime del mondo cattolico, sulla futura collaborazione con i comunisti e, soprattutto, sulla eventualità che i cattolici potessero militare tra le file del Partito comunista italiano (Pci), idea sostenuta dalla Sinistra cristiana di Franco Rodano. In questo clima, si diffuse la notizia che il 10 luglio fosse avvenuto un incontro segreto tra monsignor Montini e Togliatti, che sarebbe stato persino latore di un messaggio di «distensione» inviato da Stalin alla Santa Sede.
Queste illazioni -- autorevolmente respinte dallo stesso Montini il 13 agosto in un colloquio con il ministro Francesco Babuscio Rizzo, rappresentante d'Italia presso la Santa Sede -- sarebbero state oggetto di una formale smentita apparsa su «L'Osservatore Romano» del 14-15 agosto, ma nei Sacri Palazzi si ritenne opportuno ricorrere ad ammonimenti più severi. L'autorevole domenicano padre Mariano Cordovani, maestro del Sacro Palazzo e teologo della Segreteria di Stato, prendeva posizione sull'argomento, pubblicando sul quotidiano vaticano del 23 settembre un articolo dall'eloquente titolo Cattolici comunisti?.
Nel contempo quel dibattito veniva portato avanti anche nella sinistra italiana, e al «compagno Ercoli» non ne sfuggiva la capitale importanza.
Proveniente da una famiglia cattolica (una sua zia fu suora salesiana), Palmiro Togliatti si rendeva conto del ruolo cruciale della Chiesa cattolica in Italia e, contrariamente a quanto era avvenuto altrove, egli insisteva nel cercare una maggiore comprensione con le istituzioni ecclesiastiche, presupposto fondamentale per partecipare autorevolmente al governo di unità nazionale. A tale scopo gli era indispensabile prendere contatto direttamente con la Santa Sede, ma qualsiasi passo in tal senso avrebbe potuto essere travisato dai suoi. Così, nel gennaio 1945 Togliatti confidava il suo dilemma all'amico Mauro Scoccimarro, se facesse «bene a incontrare il Papa», ma poco dopo si decise a rompere gli indugi. Il 29 gennaio Eugenio Reale, suo consigliere personale ed ex-sottosegretario degli Affari esteri, incontrava monsignor Montini, con il quale avrebbe discusso di varie questioni di politica interna e internazionale. Inoltre Reale sottoponeva a Montini la richiesta di Togliatti di ottenere in futuro un'udienza dal Pontefice.
I documenti sinora noti tacciono su quale sia stata la reazione di Pio XII, ma con ogni probabilità venne opposto un rifiuto a una simile profferta, ritenendo inopportuno ricevere il segretario di un partito comunista mentre -- come riferiva il 28 febbraio Papa Pacelli a Myron Taylor -- l'Unione Sovietica non mutava il suo atteggiamento «verso lui stesso e il Vaticano».
Tuttavia gli eventi bellici avrebbero segnato una svolta in questa vicenda. In quei mesi del 1945 la Repubblica Sociale Italiana (Rsi) di Mussolini, sempre più in difficoltà, cercava di serrare i ranghi e a Torino, colpita da una grave crisi alimentare ed energetica, in continuo fermento per gli scioperi e i boicottaggi, il duce aveva inviato gli intransigenti Giovanni Dolfin ed Emilio Grazioli, con lo scopo di condurre una più energica azione repressiva. Arresti e rappresaglie si moltiplicarono, e nel febbraio di quell'anno giunsero a Togliatti alcune notizie inquietanti, secondo le quali sua sorella, Cristina, sarebbe stata arrestata dalla milizia fascista e «tenuta in ostaggio dalle locali autorità».
Maria Cristina Togliatti (1892-1979), per quanto profondamente legata al fratello, non ne aveva condiviso il percorso intellettuale. Professoressa di lettere, non si era mai interessata alla politica attiva, e nessun fascicolo a suo carico pare risulti tra gli innumerevoli prodotti dalla polizia politica del regime fascista. Né mai, nei successivi anni della Repubblica, si iscrisse al Pci. Ciò nonostante, il suo cognome era sufficiente per far temere il peggio.
Nell'archivio della sua segreteria personale Mussolini conservava un fascicolo minuziosamente aggiornato sul conto del «compagno Ercoli» e della sue attività, e Togliatti temeva che con quell'arresto la sorte dell'innocente sorella potesse essere segnata. Angosciato, il leader comunista era cosciente che solo la Santa Sede avrebbe potuto rappresentare un'ancora di salvezza, ma il silenzio che aveva accolto la sua precedente richiesta di udienza lasciava intendere che la mediazione ufficiosa di Eugenio Reale non poteva essergli più utile.
Scelse quindi il canale istituzionale, appellandosi al ministro degli Esteri, Alcide De Gasperi, che il 27 febbraio chiese a Babuscio Rizzo di interessare la Santa Sede al caso. Il rappresentante italiano trasmise l'istanza a monsignor Montini il quale, vista la delicatezza dell'affare, decise di trattarlo insieme a monsignor Tardini, che seguiva le relazioni internazionali della Santa Sede.
Il 5 marzo l'appello di Togliatti venne sottoposto in udienza all'attenzione di Pio XII. Il Papa, che già in precedenza aveva «teso la mano» al socialista Pietro Nenni, offrendogli asilo al Laterano, non ebbe remore ad accogliere quella richiesta, e ordinò che venisse tempestivamente telegrafato alla nunziatura in Svizzera, l'unico canale rimasto alla Santa Sede per le comunicazioni con i territori della Rsi, affinché il nunzio, monsignor Filippo Bernardini, si interessasse alla sorte della professoressa Togliatti. Poco tempo dopo, l'8 marzo, monsignor Montini rassicurava l'Ambasciata d'Italia che la Segreteria di Stato aveva intrapreso tutti i passi necessari «nel senso desiderato».
A sua volta Bernardini si sarebbe rivolto al cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino, prelato che in un rapporto coevo di Ferdinando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare della Rsi, veniva descritto come «elemento cortese, ma freddo e abile nel mascherare i propri sentimenti non collaborazionisti» e «accusato di intesa o addirittura di partecipazione al Comitato di Liberazione». Il cardinale si interessò al caso, ma solo in aprile poté comunicare al nunzio che la voce dell'arresto fortunatamente risultava infondata. Il 15 di quel mese la preziosa informazione fu trasmessa in Vaticano, e il 17 seguente Montini -- con lettera della Segreteria di Stato n. 90992/S -- poteva finalmente rassicurare Babuscio Rizzo che «la professoressa Togliatti si trova a piede libero», notizia che il 19 successivo sollevò l'animo del segretario comunista, che solo a maggio inoltrato avrebbe potuto ottenere nuovi ragguagli sulla sorte dei suoi familiari rimasti a Torino.
Così il 24 aprile, vigilia storica, il Governo, tra i cui membri vi era Togliatti, ringraziava formalmente la Santa Sede per i suoi sforzi, con un atto che sarebbe stato formalizzato il 27 successivo. Quanto al «compagno Ercoli», si ignora se egli abbia voluto far sapere, in qualsiasi modo, la propria personale riconoscenza al Pontefice. D'altra parte, i tempi mutavano rapidamente.
Il 7 aprile, in un comizio tenuto al Planetario di Roma, Togliatti aveva avuto parole dure contro il clero, la cui parte «conservatrice e reazionaria lotta apertamente contro di noi», ammonendo «i capi della Chiesa cattolica» a non provocare «una lotta di religione» e minacciando la tenuta stessa del Concordato. Venne quindi approntata un'autorevole risposta, apparsa a maggio sulle pagine de «La Civiltà Cattolica» e firmata da padre Riccardo Lombardi, che avrebbe definitivamente bollato la politica togliattiana come «una mano tesa minacciosa».
Ma il ricordo di quella richiesta di aiuto, che il Papa accolse in un momento tanto critico, forse non rimase completamente lettera morta. Quando il 25 marzo 1947, davanti all'Assemblea Costituente, Togliatti difese l'approvazione dell'articolo 7 della Costituzione italiana che riconosce la validità dei Patti Lateranensi, il suo discorso argomentava abilmente le ragioni politiche di quella scelta, ma probabilmente taceva una segreta convinzione personale: senza le garanzie di quei Patti e nel vortice di un conflitto tanto sanguinoso, la Santa Sede non avrebbe mai potuto dispiegare una così capillare opera umanitaria, quella stessa azione di cui aveva beneficiato in prima persona lo stesso Palmiro Togliatti.

(©L'Osservatore Romano 14 giugno 2013)

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