mercoledì 29 maggio 2013

Difendere i diritti dei cristiani nella zona dell'Osce contro la discriminazione. Il testo dell'intervento della Santa Sede a Tirana

Intervento della Santa Sede a Tirana

Difendere i diritti dei cristiani nella zona dell'Osce contro la discriminazione

Pubblichiamo in una nostra traduzione l'intervento pronunciato, a Tirana, in Albania, il 21 maggio dal vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, alla Conferenza d'alto livello sulla tolleranza e la non discriminazione (anche in relazione all'educazione dei giovani alla tolleranza e alla non discriminazione nel contesto dei diritti umani) promossa dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). Seconda seduta plenaria: Combattere l'intolleranza e la discriminazione nei confronti dei cristiani e dei membri di altre religioni (21-22 maggio 2013).

Signor Presidente,

all'ultima Conferenza d'alto livello sulla tolleranza e la non discriminazione, che si è tenuta tre anni fa ad Astana, gli Stati partecipanti si sono impegnati, inter alia, a contrastare il pregiudizio, la discriminazione, l'intolleranza e la violenza nei confronti dei cristiani e dei membri di altre religioni, comprese quelle minoritarie, che continuano ad essere presenti nell'area Osce. Sono stati inoltre invitati ad affrontare la negazione dei diritti, l'esclusione e l'emarginazione dei cristiani e dei membri di altre religioni nelle nostre società.
Purtroppo, in diverse parti dell'area Osce gli episodi di intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani non solo non sono diminuiti, ma sono addirittura aumentati, malgrado i numerosi incontri e le conferenze sul tema, organizzati anche dall'Osce e dall'Odihr (Office for Democratic Institutions and Human Rights).

Signor Presidente,

quest'anno celebriamo il 1700° anniversario dell'editto di Milano, promulgato nel 313 dall'imperatore Costantino, che è tra i documenti riguardanti la libertà di religione più importanti della storia. Con tale decreto venne finalmente posta fine alla persecuzione dei cristiani, il cristianesimo fu legalizzato e la libertà religiosa fu concessa e garantita in tutto l'Impero Romano.
Dispiace, dunque, osservare che in tutta l'area Osce sia stata disegnata una linea divisoria netta tra credenza religiosa e pratica religiosa, sicché spesso ai cristiani viene ricordato, nel pubblico dibattito (e sempre più di frequente anche nei tribunali), che possono credere tutto ciò che vogliono nelle loro case e nelle loro teste, e che possono rendere culto come desiderano nelle loro chiese private, ma che semplicemente non possono agire in base a queste credenze in pubblico. Si tratta di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione, e non corrisponde alla libertà prevista nei documenti internazionali, compresi quelli dell'Osce, a partire dall'Atto finale di Helsinki del 1975, passando dal Documento finale di Vienna del 1989 e dal Documento di Copenaghen del 1990, fino alla Dichiarazione commemorativa del vertice di Astana del 2010.
Sono molti gli ambiti in cui emerge in modo evidente l'intolleranza nei confronti dei cristiani, ma due di essi appaiono oggi particolarmente importanti.
Il primo è l'intolleranza nei confronti del discorso cristiano. Negli ultimi anni si è verificato un aumento significativo di episodi in cui dei cristiani sono stati arrestati e perfino perseguiti per essersi espressi su questioni cristiane. Alcuni leader religiosi sono stati minacciati con l'intervento della polizia dopo aver predicato sul comportamento immorale, e alcuni sono stati addirittura condannati al carcere per aver predicato sugli insegnamenti biblici relativi all'immoralità sessuale. Perfino le conversazioni private tra cittadini, compresa l'espressione di opinioni nelle reti sociali, in molti paesi europei possono diventare motivo di denuncia penale o perlomeno di intolleranza.
Il secondo ambito nel quale si può constatare chiaramente l'intolleranza nei confronti dei cristiani è quello della coscienza cristiana, specialmente sul posto di lavoro. In tutta Europa si sono verificati numerosi casi di cristiani allontanati dal luogo di lavoro solo perché hanno cercato di agire secondo la propria coscienza. Alcuni di essi sono ben noti, poiché sono apparsi anche dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
È degno di nota il fatto che, dopo secoli di lotta per la libertà di coscienza, ora, nel XXI secolo, alcuni cittadini dell'area Osce sono costretti a scegliere tra due scenari improbabili: possono abbandonare la propria fede e agire contro la loro coscienza, oppure resistere e affrontare il fatto di perdere il loro sostentamento. Gli Stati partecipanti all'Osce devono dunque garantire che si ponga fine all'intolleranza e alla discriminazione nei confronti dei cristiani, permettendo loro di parlare liberamente su questioni che il governo o altri potrebbero considerare spiacevoli, e di agire secondo la propria coscienza sul posto di lavoro e altrove. La discriminazione nei confronti dei cristiani -- anche laddove costituiscono una maggioranza -- deve essere considerata una grave minaccia all'intera società, e quindi va combattuta proprio come giustamente si fa con l'antisemitismo e l'islamofobia.
Occorre prestare particolare attenzione anche al vandalismo diffuso, che prende di mira chiese e cimiteri cristiani. Graffiti insultanti o dileggianti, vetri infranti, luoghi di preghiera e di culto incendiati, profanati o devastati, lapidi danneggiate o frantumate, specialmente le croci sulle tombe, sono stati registrati in tutta l'area Osce. Questi episodi non sono atti innocui compiuti da adolescenti irresponsabili o da persone con disturbi mentali, come spesso si dice, ma piuttosto il risultato di un piano premeditato, e quindi vanno trattati come un chiaro messaggio di odio e un crimine d'odio contro i cristiani, che sono rappresentati da questi simboli della loro fede e s'identificano con essi.

Signor Presidente,

l'intolleranza nel nome della “tolleranza” deve essere chiamata con il suo vero nome e condannata pubblicamente. Negare a un argomento morale, basato sulla religione, un posto nella pubblica piazza è un atto di intolleranza ed è antidemocratico. O, per dirlo in altre parole, laddove potrebbe esservi uno scontro di diritti, la libertà di religione non deve mai essere considerata come inferiore. D'altro canto, la questione della libertà religiosa non può e non deve essere incorporata in quella della tolleranza. Di fatto, se fosse questo il valore umano e civile supremo, allora qualsiasi convinzione autenticamente veritiera che ne escluda un'altra equivarrebbe all'intolleranza. Inoltre, se una convinzione valesse l'altra, si potrebbe finire con l'essere compiacenti anche verso le aberrazioni.
Per quanto riguarda la prevenzione e la risposta all'intolleranza, alla discriminazione e ai crimini d'odio verso i cristiani, la mia Delegazione ritiene che dovrebbero essere considerate in stretto collegamento con la promozione della libertà religiosa. Il diritto di credere in Dio e di praticare tale credo è un diritto umano fondamentale, centrale agli impegni dell'Osce.
Per concludere, desidero esprimere la fiducia della Santa Sede nel fatto che questa Conferenza d'alto livello contribuirà allo sviluppo di proposte concrete ed efficaci per combattere l'intolleranza e la discriminazione, come anche i crimini d'odio e i reati contro i cristiani.

(©L'Osservatore Romano 29 maggio 2013)

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