lunedì 1 luglio 2013

Gesù risorto e la vittoria sul tempo. Contemporaneo a ogni epoca (Biffi)

Gesù risorto e la vittoria sul tempo

Contemporaneo a ogni epoca

di Inos Biffi

Fin che Gesù di Nazaret visse sulla terra, si trovò situato in un preciso spazio e circoscritto dentro un periodo ben databile della storia; l'umanità del Verbo di Dio -- come quella di ogni uomo -- sorge e si dispiega nel tempo e nello spazio. Questi legami spaziali e temporali si sciolsero però con la risurrezione, quando Gesù entrò in un'altra dimensione, quella ch'è chiamata escatologica: propriamente quindi non nell'eternità divina, che egli, quale Figlio di Dio, non lasciò mai, bensì nella condizione definitiva, non più scandibile secondo i ritmi transitori, e che i teologi medievali chiamavano “eviterno”.
Ora, Gesù risorto non è più attingibile nella forma degli abituali contatti umani come avveniva prima. È vero: dopo la risurrezione, egli appare e si mostra «vivo con molte prove» agli apostoli (Atti, 1, 3-4): «Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho»; e prende cibo davanti a essi (Luca, 24, 39-43). Ma le sue apparizioni, prima del distacco definitivo, hanno un intento ben preciso: mirano a creare in loro la certezza della sua risurrezione dai morti che essi hanno come missione di annunziare.
Tuttavia, proprio perché risuscitato da morte, Gesù non è più trattenuto dai legami del tempo e dai confini dello spazio: li ha sciolti e oltrepassati, per cui si trova contemporaneo a ogni momento e a ogni luogo della storia. Egli è «qui, adesso». La risurrezione è vittoria assoluta e irreversibile sul tempo e sullo spazio. E non sorprende.
Non ci è, infatti, difficile osservare che quanto più un evento è povero di contenuto e di significato, tanto più è destinato a scomparire, a essere cioè assorbito a mano a mano che i giorni trascorrono. Solo la memoria lo può risuscitare, ma in se stesso è definitivamente tramontato. Il tempo è più forte e tende a cancellarne le tracce che divengono sempre più labili.
Al contrario, quanto più un evento è ricco di senso e pregno di sostanza, tanto maggiormente ha in sé la capacità di perseverare, di essere presente, e di opporsi al logorio della temporalità e di conseguenza ha la prerogativa di andare oltre la data del suo avvenimento.
In realtà solo un evento ebbe in se stesso un vigore tale da non subire il minimo logoramento e quindi l'assorbimento nel passato, ed essere invece permanentemente un presente, un “oggi”, ed è stato il sacrificio glorioso di Cristo, come sottolinea splendidamente la Lettera agli ebrei. I sacrifici carnali dell'antica alleanza, afflitti da intrinseca debolezza salvifica, e quindi soggetti a esaurimento e consunzione, dovevano essere continuati e ripetuti (Ebrei, 10, 11).
Al contrario, il sacrificio di Cristo -- sacerdote perfetto, «santo, innocente, senza macchia» (Ebrei, 7, 26) -- è capace di «redenzione eterna» (9, 12). È un sacrificio “celeste”. Non ha quindi bisogno di essere offerto «più volte» (9, 25); lo è stato «una volta per tutte» (7, 27) o «una sola volta» (9, 28). L'immolazione nel «sangue di Cristo», a differenza di quelle nel «sangue di capri e di vitelli» (9, 12-14), è dotata di un valore compiuto e intramontabile, a cui nulla ormai col trascorrere dei giorni potrebbe essere aggiunto.
Ora, Gesù risorto è esattamente il Crocifisso che, per la gloria e nella gloria del suo sacrificio, è sciolto per sempre da ogni vincolo che lo restringa o lo trattenga nelle trame temporali e lo estenui. Il che non significa che sia estraneo o fuori dal tempo, ma che trascende, nel senso che include e domina, tutto quanto si estende, fluisce e succede.
In altre parole, il Cristo risuscitato non è trascorso od oltrepassato; non è né relegabile a ieri, come ciò che è accaduto e non c'è più, né in attesa di un futuro che non c'è ancora. Egli è semplicemente e sempre contemporaneo. Come affermava sant'Ambrogio: «Oggi, mentre sto parlando, Cristo è con me; è in questo punto, è in questo momento; e se un cristiano sta adesso parlando in Armenia, là Gesù è presente» (Expositio evangelii secundum Lucam, ii, 13). Resta da chiederci quale sia la realtà che rende il sacrificio glorioso di Cristo intramontabilmente presente e operante. Possiamo rispondere: è la carità in esso contenuta. Nell'evento pasquale di Gesù si riversa il dono più grande che mai il Padre potesse fare al mondo, cioè il Figlio redentore; Dio ha esaurito in Gesù la sua grazia. Non ne è immaginabile una maggiore.
Da parte sua, morendo sulla croce, Gesù ha consumato l'amore dell'umanità per il Padre: non potremmo pensare a una dedizione e a una adorazione più ardente di quelle offerte dal Crocifisso, che sale sul patibolo a significare quanto egli ami il Padre (cfr. Giovanni, 14, 31).
Così come, non è concepibile una fraternità e un'amicizia più intense di quelle che il Signore ha manifestato sul Calvario, dove ha versato il suo sangue per tutta l'umanità (cfr. Giovanni, 15, 13; Matteo, 26, 28).
Esattamente per questa pienezza inesausta e inaccrescibile di amore, il Risorto è sempre compagno di ogni uomo, che non ha ragione alcuna di rimpiangere i tempi in cui Gesù viveva tra noi e nel quale ci si poteva visibilmente imbattere, dal momento che ancora lo stesso Signore gli è immancabilmente prossimo e cammina con lui, compagno in tutte le sue vicissitudini e peripezie, anche se ancora avvolto nel mistero.

(©L'Osservatore Romano 1-2 luglio 2013)

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