LUMEN FIDEI/L'INTERVISTA
Un cerchio luminoso nel quale immergersi e vivere
Parla Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede. "Il Papa ricorda che fede, speranza e carità costituiscono un mirabile intreccio... non siamo all'ultimo tassello di un trittico, bensì alla proposta di una 'vita teologale'". Il riverbero profondo della "affidabilità di Dio". La sintonia con il cammino pastorale della Chiesa in Italia. E infine: "Se l'Enciclica è 'a quattro mani', direi che questa è 'musica' per la nuova evangelizzazione"
Vincenzo Corrado
“Lumen fidei”, “La luce della fede”: s’intitola così la prima Enciclica di Papa Francesco, pubblicata oggi. Suddiviso in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione, il documento - spiega Papa Francesco - era già stato “quasi completato” da Benedetto XVI. A quella “prima stesura” l’attuale Pontefice ha aggiunto “ulteriori contributi”. Obiettivo del documento è “recuperare il carattere di luce proprio della fede” (n.4). Il Sir ha raccolto le prime impressioni e riflessioni di monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione episcopale della Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
Eccellenza, anzitutto il titolo del documento “Lumen fidei”, da cui emerge il tema fondamentale: la fede. Di solito la prima Enciclica è considerata il testo programmatico del pontificato. C’è anche da considerare che il tema della fede viene rilanciato nell’Anno dedicato a questa virtù.
“Non è fuori luogo mettere in evidenza un certo carattere programmatico per la prima lettera Enciclica di un Papa, se non altro per il valore che questa forma magisteriale ha assunto negli ultimi decenni, specialmente con i Papi dell’ultimo secolo. Più da vicino si penserà alla ‘Ecclesiam Suam’ di Paolo VI, alla ‘Redemptor hominis’ di Giovanni Paolo II e alla ‘Deus Caritas est’ di Benedetto XVI. Mi permetterei, piuttosto, di aggiungere che nel caso di questa Enciclica più che di un ‘programma’ si tratta della netta individuazione di una urgenza pastorale per la Chiesa, oggi. Ricorderei le parole di Benedetto XVI nell’Omelia per il ‘Te Deum’ di fine anno del dicembre 2011. In quella circostanza il Papa disse che ‘la quaestio fidei è la sfida pastorale prioritaria... I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo?’. A me pare che la scelta di questo tema per l’Enciclica che oggi è resa nota si ponga nell’individuazione di questa priorità pastorale. Se è così, ritengo che questo medesimo elemento possa anche essere qui assunto come un primo tratto di continuità magisteriale fra Benedetto XVI e Francesco. C’è di sicuro il contesto dell’Anno della fede, al quale si fa riferimento agli inizi del documento. Il Papa scrive che la Chiesa ‘non presuppone mai la fede come un fatto scontato, ma sa che questo dono di Dio deve essere nutrito e rafforzato, perché continui a guidare il cammino’ (n.6). In un primo sguardo all’Enciclica ho subito colto un’affermazione riguardo al Concilio che desidero riprendere, anche per il suo rimando a quanto disse Paolo VI: il Vaticano II ‘è stato un Concilio sulla fede’. È una chiave di lettura dei testi conciliari che ritengo molto utile e da approfondire. Francesco scrive che ‘il Concilio Vaticano II ha fatto brillare la fede all’interno dell’esperienza umana, percorrendo le vie dell’uomo contemporaneo’. Direi che a proposito di quella ermeneutica dei testi conciliari, di cui si parla, è una prospettiva molto interessante”.
Questa Enciclica completa il trittico sulle virtù avviato da Benedetto XVI, autore di due documenti, rispettivamente, sulla carità e sulla speranza. Incontrando recentemente la segreteria generale del Sinodo dei vescovi, Papa Francesco ha ricordato che è stato il suo predecessore a cominciarla - “un’enciclica a quattro mani, dicono” ha commentato sorridendo - e poi a consegnargliela perché la portasse a termine.
“L’immagine delle ‘quattro mani’ è simpatica! Ma non si tratta delle ‘mani’ del papà che si aggiungono a quelle del figlio per... preparare i compiti a casa! Quando udii l’immagine, mi venne spontaneamente da pensare al fatto che Benedetto XVI sia un pianista provetto. Se n’è parlato molto e una volta – se ben ricordo – apparve anche una foto nella quale si vede Papa Benedetto suonare il pianoforte ‘a quattro mani’ con il fratello. Ora, io direi che suonare un pianoforte a ‘quattro mani’ produce una musica molto suggestiva e bella. Ed è il caso, eventualmente di questa Enciclica. Papa Francesco lo aveva preannunciato e qui lo dice così: ‘Assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi’ (n.7). Qualcuno potrà applicarsi a eventualmente distinguere le ‘mani’ che hanno suonato la ‘musica’ di questa Enciclica. È lo stesso Papa Francesco, però, che dissuade (a me pare) da simili operazioni. Il Papa rimanda chiaramente a un unico ‘soggetto’: il Papa, appunto! Scrive, difatti: ‘Il Successore di Pietro, ieri e oggi e domani, è infatti sempre chiamato a ‘confermare i fratelli’ in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo’. Per altro verso, è vero - come lei dice - che con questa Enciclica si compone il trittico sulle virtù avviate da Benedetto XVI. Anche in questo caso, però, nel testo del documento troverei qualcosa di più. Il Papa ricorda che ‘fede, speranza e carità costituiscono in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio’. Ciò vuol dire che non siamo semplicemente a un ultimo tassello di un trittico, bensì alla proposta di una ‘vita teologale’. Le virtù teologali non vivono isolate e isolabili fra loro, ma sono una ‘vita’, cioè un tutto vitale. È bello, ad esempio, che il Papa ricordi il nesso tra conoscenza e amore ricorrendo alla frase di san Gregorio Magno: ‘Amor ipse notitia est’, indicando le radici agostiniane della formula e le sue risonanze medievali in Guglielmo di Saint Thierry che commenta il Cantico (cfr n.27). Ma sono cose che meritano una lettura più approfondita. Ora siamo ancora a un primo sguardo”.
Quali sono i principali spunti di riflessione contenuti nel documento?
“Al momento mi limiterei a cogliere l’architettura del testo nella successione dei suoi capitoli. A me pare che nelle quattro tappe l’Enciclica ci permette di osservare la fede in quattro distinte, convergenti e inseparabili prospettive. Anzitutto quella che in teologia è chiamata la ‘fides qua’: quel dinamismo vitale per cui credere vuol dire muoversi camminando verso Dio! È la fede che dice Amen! ‘L’uomo fedele riceve la sua forza dall’affidarsi nelle mani del Dio fedele’ (n.10). Il primo capitolo, dunque, è la storia della vita di fede, da Abramo - nostro padre nella fede - alla Chiesa che oggi ripete e acclama: Amen! Il secondo aspetto è quello veritativo della fede, diremmo, ossia il suo intimo rapporto con la verità - così ripetutamente richiamato da Benedetto XVI - e perciò anche il rimando al rapporto fede-ragione, su cui insistette Giovanni Paolo II con la sua Enciclica sul tema. Anche in questo caso il punto di partenza è un testo biblico: quello di Isaia 7,9 che è stato ed è molto importante per la riflessione teologica. Il terzo aspetto riguarda la trasmissione della fede e, per ora, mi limiterei a portare l’attenzione sul rimando implicito all’esordio della costituzione ‘Lumen Gentium’. Nell’Enciclica Francesco scrive: ‘La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma...’ (n.37). È davvero molto bello. Lo stesso Papa Francesco, in una delle sue omelie a Santa Marta, fece ricorso, qualche tempo fa, al tema patristico del ‘mysterium lunae’. C’è, poi, l’ultimo capitolo, che esordisce col tema molto suggestivo del ‘Dio affidabile’. Scrive il Papa: ‘Il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile’ (n.50). Il quarto capitolo indica alcuni luoghi specifici per una città degli uomini che sia davvero affidabile: il bene comune, la famiglia, la vita sociale, la forza consolante nella sofferenza. ‘Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare un atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore’ (n.56)”.
C’è un brano particolare dell’Enciclica che desidera sottolineare?
“Siamo ancora a un primo sguardo, evidentemente. In tale condizione di prima accoglienza ha attirato la mia attenzione un passaggio iniziale riguardo a quella ‘affidabilità’ di Dio, cui ho appena accennato. Mi è tornata alla memoria (mi è parso di cogliere che molte volte il Papa ricorre al termine ‘memoria’ e al verbo ‘ricordare’ e ciò si trova anche in altri suoi precedenti testi) un assioma fondamentale per la spiritualità di un gesuita ed è l’affermazione - riferita a sant’Ignazio di Loyola - per cui occorre ‘cercare Dio in tutte le cose e in tutte le cose trovare Dio’. È un principio altissimo, che ispira molti autori spirituali e teologi provenienti dalle fila della Compagnia di Gesù. Anche p. Antonio Spadaro, presentando il nuovo look della rivista ‘La Civiltà Cattolica’ ne fece cenno. Ora a me pare di ritrovarlo in diversi passaggi dell’Enciclica. Ne cito qui uno solo: ‘La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti. Ma se fosse così, Se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale, e non sarebbe quindi neanche vero amore, capace di compiere quella felicità che promette’ (n.17). Penso che questa affermazione potrebbe essere assunta quale un principio per la nuova evangelizzazione, di cui si parla oggi”.
Quali, allora, le richieste e le implicazioni per la comunità cristiana? Anche pensando alla nuova evangelizzazione, cui ha fatto riferimento?
“Sotto questo profilo ritengo che il terzo capitolo dell’Enciclica sarà di grande ed efficace aiuto. Il Papa qui richiama il tema della Chiesa ‘madre della nostra fede’ e prima, citando Romano Guardini, scrive che la Chiesa ‘è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo’ (n.22). Il principio è fondamentale. Anche in questo capitolo il punto d’avvio è biblico: ‘Ho creduto, perciò ho parlato’ (2Cor 4,13) e lo sviluppo sottolinea l’importanza della ‘trasmissione della fede’. Essa, scrive il Papa (anche qui richiamando il leit motiv della luce) ‘brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù’ (n.37). Leggere queste parole durante un primo, veloce sguardo sul testo, mi ha confortato molto, perché ho visto che tutto il cammino pastorale della Chiesa in Italia in questi primi due decenni del Terzo Millennio si muovono in questa direzione. Penso al documento Cei ‘Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’; penso al Convegno di Verona e, in particolare, all’ambito della ‘tradizione’ e non soltanto; penso al documento per l’attuale decennio ‘Educare alla vita buona del Vangelo’ con la scelta prioritaria dell’iniziazione cristiana e dell’annuncio del Vangelo agli adulti; penso anche all’attività in questi anni della Commissione episcopale per l’annuncio della fede e alla grande opera di sostegno del nostro Ufficio catechistico nazionale. Credo che noi vescovi italiani, i catechisti, le catechiste e tutti gli operatori pastorali, potranno attingere da questa Enciclica davvero una grande ‘luce’ per la fede e per la crescita delle comunità ecclesiali”.
In conclusione, un’ultima sollecitazione con le parole del Papa.
“Fra le prime pagine la mia attenzione si è fermata su queste parole: ‘La fede fa grande e piena la vita...’ (n.5). Più avanti ho notato un lungo e sostanzioso paragrafo, il n.35, in cui il Papa scrive della fede e della ricerca di Dio. Ho ricordato che alcuni anni or sono dall’episcopato italiano è stata scritta una ‘Lettera ai cercatori di Dio’. Mi ci sono, dunque, soffermato. Ho ritrovato il principio del cercare e trovare Dio in tutte le cose: ‘L’uomo religioso cerca di riconoscere i segni di Dio nelle esperienze quotidiane della sua vita, nel ciclo delle stagioni, nella fecondità della terra e in tutto il movimento del cosmo. Dio è luminoso, e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero’. Modello per questa ‘ricerca di Dio’ sono i Magi, di cui narra il Vangelo! La luce di Cristo, insomma, apre in qualche modo un ‘cerchio’ luminoso nel quale il cristiano e ogni uomo possono immergersi e vivere. Citerei, per concludere, queste espressioni: ‘Poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare. Nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero e si mettono in cammino, con quella luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede. Essi cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune, oppure perché sperimentano il desiderio di luce in mezzo al buio, ma anche perché, nel percepire quanto è grande e bella la vita, intuiscono che Dio la renderebbe ancora più grande’. Se l’Enciclica è ‘a quattro mani’, direi che questa è ‘musica’ per la nuova evangelizzazione”.
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Mons. Semerano: "Se l’Enciclica è ‘a quattro mani’, direi che questa è ‘musica’ per la nuova evangelizzazione."
RispondiEliminaSono completamente d'accordo con S.E., il vescovo di Albano!
Diego