"Lumen fidei", prima Enciclica di Papa Francesco: il commento di mons. Canobbio
Grande attenzione hanno dato i media di tutto il mondo alla Lumen Fidei, prima Enciclica firmata da Papa Francesco, pubblicata ieri. Ma da dove nasce l’urgenza di recuperare il carattere di ‘luce’ della fede dichiarata dal Pontefice nell’introduzione del documento? Fabio Colagrande lo ha chiesto a mons. Giacomo Canobbio, docente di teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale:
R. – La fede è intesa ancora da molte persone - o più in generale dalla cultura - come un’accettare qualcosa che sia oscuro, in contrapposizione alla ragione che sarebbe invece lucida, aperta alla luce, quindi aperta alla conoscenza. La fede continua a essere considerata da molte persone come l’accettazione di qualcosa che non si comprende. In questo senso mi pare che ci sia ancora l’ombra lunga dell’Illuminismo, quel periodo storico del pensiero secondo cui finalmente si usciva dall’oscurità per entrare nella luce e la luce era rappresentata semplicemente dalla ragione. Il Papa, invece, vuole sottolineare che la fede apre gli occhi e quindi porta luce dentro l’esistenza umana.
D. – Nel primo capitolo, “Abbiamo creduto all’amore”, si afferma che la fede cristiana è fede nell’amore pieno, nella sua capacità di trasformare il mondo. E’ un concetto, però, sotteso a tutto il testo, con forti implicazioni pastorali. E’ d’accordo su questa analisi?
R. – Direi proprio di sì perché a me pare che la descrizione che viene fatta della fede è quella di una relazione personale: si è oltre la comprensione della fede come accoglienza di verità espresse in proposizioni. La relazione con Dio, la relazione soprattutto con Gesù Cristo - la parte dedicata a Gesù Cristo è notevole nell’Enciclica – è la descrizione più adeguata della fede. Quindi la fede non come chiusura rispetto alla realtà, ma come un’apertura più grande. E’ una relazione, un’apertura che include l’amore perché non c’è relazione personale autentica che non comporti l’amore. Mi pare che la dimensione pastorale di questo sia notevolissima, proprio perché la fede che porta la persona ad appoggiarsi su Qualcuno che è più grande di lei rende possibile un futuro.
D. – Nel quarto capitolo, “Dio prepara per loro una città”, troviamo un’affermazione lapidaria, molto efficace: la fede è un bene per tutti, un bene comune che illumina il vivere sociale…
R. – Proprio perché la Verità che la fede accoglie, è una persona, la persona di Gesù che è l’auto-rivelazione di Dio, questo vuol dire introdurre nell’esistenza umana una specie di collante. Se si accoglie comunemente una verità allora si sente di avere vincoli tra di noi; cosa che non succede se ciascuno si costruisce la sua verità: il Papa fa riferimento al relativismo, un altro dei temi caratteristici di Benedetto XVI. Se, invece, si accoglie tutti la medesima verità, allora si riesce tutti insieme a percorrere una strada per costruire l’unità tra le persone umane. La fede, in questo senso, valorizza la ricchezza delle relazioni umane. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei perché se la fede è congiunta con l’amore, accogliendo la medesima verità, si diventa capaci di relazioni accoglienti nei confronti degli altri perché nella presenza di Gesù nella storia si è avvertita la presenza di Dio che si prende cura dell’umanità. La fede è un bene per tutti, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, essa ci aiuta a edificare le nostre società in modo che camminino verso un futuro di speranza. In questi ultimi passaggi relativi alla società, a me pare di trovare tracce di quanto Papa Francesco sta dicendo in quest’ultimo periodo che vede il Papa proporre, in forma molto semplice ma molto convincente, il senso autentico della fede cristiana per la vita delle persone umane e per la società.
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non ho ancora trovato il tempo di leggerla questa enciclica , sta lì sul comodino e me la pregusto.
RispondiEliminaDai commenti in giro sulla rete ho notato soprattutto nei cattolici adulti un certo imbarazzo proprio per il robusto innesto intellettuale del nostro Benedetto così evidente e non contrastato. Altro imbarazzo , grosso come un ippopotamo, quello della cerimonia con la statua di san Michele Arcangelo, credo che certi "evoluti" si andrebbero a nascondere sotto 2 metri di badili di terra.
E infine la evidente cordialità tra i due pontefici e la scritta con doppio rimando ai piedi della statua. Per alcuni è troppo e si fischietta cercando di fare finta di niente.
I più trinaricciuti possono arrivare al massimo ad ammettere che Francesco non abbia voluto fare uno sgarbo all'Emerito per non dargli un dispiacere perchè è vecchio, si legge anche di questo; non possono ammettere che una firma a yn'enciclica è un'adesione al contenuto come il buon senso suggerisce.
La narrazione era un'altra in questi mesi , questi fotogrammi la mettono in crisi, sia nei commentatori, certuni, sia in certa chiesa "altra".
Quindi si farà di tutto per sostituire tutto ciò con qualcosa di mediaticamente edificante e nei ranghi.