lunedì 10 agosto 2015

Card. Ratzinger (1996): i divorziati risposati non sono scomunicati in senso giuridico. Restano membri della Chiesa (Da Il sale della Terra)

Grazie al lavoro della nostra Gemma rileggiamo che cosa rispondeva l'allora cardinale Ratzinger a Peter Seewald a proposito dei divorziati risposati MAI SCOMUNICATI dalla Chiesa. Era il 1996 (non il 2015). Sono quindi passati ben 19 anni...
R.

Il sale della terra

II. Problemi della Chiesa cattolica,  p.234-238

Divorziati risposati

Oggi solo i cattolici particolarmente fedeli ritengono che debba essere mantenuta la scomunica dei coniugi che, divorziati, si sono risposati con un matrimonio civile non riconosciuto dalla Chiesa. Tale scomunica  appare ingiusta, umiliante e anche non cristiana. Lei stesso, nel 1972, affermava quanto segue: «Il matrimonio è un sacramento…il che non esclude che la comunione ecclesiale abbracci anche quelle persone che riconoscono questo insegnamento e questo principio di vita, ma che si trovano in una situazione conflittuale  di tipo particolare, in cui hanno particolare bisogno della piena comunione con il Corpo del Signore».

Devo innanzitutto precisare da un punto di vista puramente giuridico che questi coniugi non sono scomunicati in senso formale. La scomunica è un insieme di provvedimenti punitivi ecclesiastici, una limitazione alla partecipazione alla vita alla vita della Chiesa. Questa sanzione non è loro inflitta. Anche se l’aspetto più evidente, cioè il non poter fare la comunione, li tocca. Ma, come detto, essi non sono scomunicati in senso giuridico. Restano comunque membri della Chiesa, che non possono comunicarsi a causa di una particolare condizione di vita. Non v’è dubbio che questo sia un grave problema nella nostra società, in cui aumenta sempre più il numero dei matrimoni che si rompono.
Penso che questo fardello possa essere sopportato, se, per prima cosa, è chiaro a ciascuno che ci sono anche altre persone che non possono comunicarsi. Il problema  di per sé è diventato così drammatico solo perché la comunione è anche un rito sociale e si viene segnati a dito se non vi si partecipa. Se, al contrario, diviene evidente che molti devono dirsi: «ho la coscienza sporca, così come sono ora non posso andarci» e se, prima di ricevere il corpo di Cristo, il cristiano, come dice san Paolo, esaminasse se stesso, tutto ciò apparirebbe subito diverso. Questa è una condizione. La seconda condizione è che si devono sentire ugualmente accettati dalla Chiesa e che la Chiesa soffre con loro.

Tutto questo suona come un pio desiderio.

Certo, tutto questo dovrebbe divenire visibile nella vita di una comunità. E, viceversa, si fa qualcosa per la Chiesa e l’umanità, assumendosi questa rinuncia e rendendo così testimonianza dell’unicità del matrimonio. Credo che in questo ci sia qualcosa di molto importante: riconoscere che la sofferenza e la rinuncia possono essere qualcosa di positivo, con cui dobbiamo trovare un nuovo rapporto. Infine che noi diventiamo consci che si può partecipare alla messa, all’eucaristia in modo significativo e fruttuoso, senza che ogni volta si vada a fare la comunione. Quindi, resta un problema difficile, ma penso che se alcuni fattori correlati si sistemano meglio, anch’esso diventerà più facilmente sopportabile.

D’altra parte il sacerdote, quando celebra, dice pur sempre: «Beati gli invitati alla mensa del Signore». Di conseguenza gli altri dovrebbero sentirsi non beati.

Purtroppo la traduzione non è molto chiara. Propriamente, questo versetto non si riferisce direttamente all’eucaristia, deriva dall’Apocalisse e si riferisce all’invito al banchetto nuziale definitivo, rappresentato nell’eucaristia. Chi in quel momento non si può comunicare, non è per questo escluso dal banchetto nuziale eterno. Si tratta continuamente in fondo di un esame di coscienza, che io pensi di poter partecipare un giorno a questo banchetto eterno e, per questo, mi comunico anche adesso, così da avvicinarmi a esso. Anche chi ora non si può comunicare , attraverso questo richiamo viene ammonito, come tutti gli altri, a pensare al suo cammino, che un giorno sarà accettato al cammino nuziale eterno. E forse che può persino essere più ben accetto proprio perché ha sofferto.

Si discute ancora su questo problema, o è stato una volta per tutte risolto e sistemato?

In linea di massima è stato risolto, ma naturalmente possono sempre esserci delle questioni concrete, dei problemi particolari. Ad esempio, in futuro si potrebbe anche arrivare a una constatazione extragiudiziale della nullità del primo matrimonio. Questa potrebbe forse essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale sul luogo. Tali sviluppi nel campo del diritto, che possono semplificare le cose, sono pensabili. Ma il fondamento – che il matrimonio sia indissolubile e che chi ha abbandonato il matrimonio della sua vita, cioè il sacramento, e ha contratto un altro matrimonio non possa comunicarsi, è valido in modo definitivo.

Alla fine  il punto è sempre questo: che cosa la Chiesa deve salvare della sua tradizione e cosa deve eventualmente abbandonare? Come si risolve questo problema? C’è una lista con due colonne: con a destra ciò che è sempre valido, a sinistra ciò che si può rinnovare?


No, non è così semplice. Ma nella tradizione ci sono pesi diversi. Un tempo nella teologia si parlava dei gradi di certezza, e questo non era poi così sbagliato. Molti dicono che dovremmo riprendere questo concetto.  L’espressione «gerarchia delle verità» va nella stessa direzione, ricorda che non tutto ha lo stesso peso, che c’è l’essenziale come le grandi decisioni conciliari, gli articoli del Credo, tutte le verità che sono la via della Chiesa e che, come tali,  ne costituiscono il patrimonio vitale e la vera identità. Ci sono poi le ramificazioni, che dipendono da esse e appartengono senz’altro allo stesso ceppo, ma non hanno tutte la stessa importanza. L’identità della Chiesa ha chiari segni di riconoscimento, non è dunque rigida, ma è l’identità dell’essere vivo, che nello sviluppo resta fedele a se stesso.

5 commenti:

  1. grazie per la puntualizzazione grazie anche per aver inserito di nuvo una Sua foto. da tempo non capita più. Forse è un desifdrio di papa Benedetto o un segno di rispetto per la Sua richiesta di vivere lontanto dal mondo delle immagini e della parole.
    ancoraa grazie.
    speriamo che molti leggano e ricordino.

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  2. Ancora Benedetto nel 2000 "Dio stesso è amore. In questo senso l'amore è veramente la legge fondamentale e l'obiettivo sostanziale della vita. E qui torniamo al mistero del chicco di grano, del perdersi e del trovarsi. A ciò dobbiamo legare il fatto che l'amore, come sappiamo, non si può creare. Esso viene solo donato."
    Arcangela

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  3. se non erano scomunicati prima, ed è impossibile che stampa cattolica non lo sappia questo , perché si è lasciato credere che la questione della mancata scomunica fosse rivoluzionaria? Non posso credere che accarezzare le ferite del mondo con dolcezza e misericordia necessitino del sensazionalismo bum bum e della informazione per metà. Forse si farà sta rivoluzione, in pochi godono già di saperlo, ma ancora non è stata ratificata, almeno ufficialmente. Se non altro, pietà per gli ingenui che ancora "ci credono" .

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  4. Mai un Segretario della CEI s'era rivolto agli avversari politici con toni così volgari. Ma Bagnasco sta zitto?
    Arcangela

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  5. Anch'io ricordavo questa risposta del card. Ratzinger e vi ringrazio tanto per averla ripubblicata, per amor di chiarezza. Anche se ho la triste impressione che ormai la chiarezza sia l'ultima cosa che il mondo e i media vogliono.
    OT, cosa sarebbe successo se durante il pontificato di BXVI il presidente della CEI avesse apostrofato alcuni politici italiani come ha fatto Galantino? Si sarebbe gridato a indebita ingerenza, i media si sarebbero stracciati le vesti per l'intervento "a gamba tesa" (quante volte lo abbiamo sentito dire?!) e i radicali sarebbero entrati in sciopero della fame e della sete.
    Oggi invece va tutto bene, solo perché le critiche erano per una parte politica invece che un'altra, ma che bella sensazione libera chiesa in libero stato purché si dica quello che fa comodo.

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