Grazie a Gemma possiamo leggere un'altra perla della "collana" di omelie di Joseph Ratzinger. Essa risale al 1977 ma è così bella ed attuale da sembrare scritta oggi. Davvero un regalo prezioso per il nostro cuore e la nostra mente.
Raffaella
Abbiamo visto la sua gloria
Nel Vangelo della terza messa di Natale che abbiamo or ora ascoltato, quello che di amabile e di familiare si trova nella nascita di Gesù Cristo nella stalla di Betlemme sembra essersi allontanato nell'ignota dimensione del mistero.
In questo Vangelo non si parla del bambino e della madre, dei pastori, delle loro pecore e del canto degli angeli che annuncia agli uomini la pace grazie alla gloria di Dio. Tuttavia esso ha delle cose in comune con gli altri vangeli: anche quello di oggi parla della luce che risplende nelle tenebre.
Parla del gloria di Dio che possiamo vedere come grazia nel Verbo che si è fatto carne, e parla del Signore che non è stato accolto nella sua proprietà. Tra quelle espressioni grandi e misteriose compare a un tratto la stalla nella quale dovette nascere il figlio di Davide, poiché nella sua città non c'era posto per lui.
Così un ascolto più attento può farci ben comprendere che il Vangelo di oggi dice le stesse cose dette da quello della Notte Santa e che tutti i vangeli annunciano soltanto un unico Vangelo. Solo che affrontano la questione da punti di vista differenti.
Luca - così come Matteo - narra la storia terrena e a partire da essa apre la via che porta all'agire misterioso di Dio.
Giovanni, l'Aquila, vede tutta la vicenda a partire dal mistero di Dio e dimostra come questo mistero arrivi fino alla stalla, fino alla carne e al sangue dell'uomo.
Di che cosa dunque si tratta in realtà? Che cosa vuol dirci di importante la Chiesa per il giorno di Natale, e a partire da esso per tutto l'anno, anzi per la nostra vita, quando ci presenta questo testo solenne e severo, mentre noi ci saremmo aspettati le parole appassionate della storia della nascita?
Questo Vangelo fa parte fin dai tempi più antichi della liturgia natalizia, perché contiene la frase che costituisce il fondamento della nostra gioia, l'autentico significato della festa: " Il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora fra noi".
A Natale non celebriamo il giorno della nascita di un personaggio importante come ce ne sono molti. E neppure celebriamo semplicemente il mistero dell'essere bambini. Certo, quello che in un bambino c'è di fresco, puro e schietto ci lascia sperare. Ci dà il coraggio di fare affidamento su nuove possibilità dell'uomo.
Ma se ci aggrappiamo troppo soltanto a questo, al nuovo inizio della vita nel bambino, alla fine potrebbe restarci in mano nient'altro che tristezza: anche questa novità verrà logorata. Anche il bambino entrerà nella competizione della vita, avrà parte nei compromessi e nelle umiliazioni che quella competizione impone e alla fine diventerà preda della morte come tutti noi. Se non avessimo da celebrare altro che il semplice idillio della nascita e dell'essere bambini, alla fine non ci rimarrà più nemmeno quell'idillio. Non ci resterà altro che l'eterno morire e divenire, e ci si potrebbe chiedere se lo stesso nascere non sia di per sé qualcosa di triste, visto che porta soltanto alla morte.
Per questo è tanto importante che con il Natale sia avvenuto qualcosa di più: il Verbo si è fatto carne. "Questo bambino è figlio di Dio", dice uno dei nostri più bei canti natalizi.
Ciò che è inaudito, ciò che è impensabile e tuttavia sempre atteso, ciò che anzi è necessario è accaduto: Dio è venuto fra noi. Si è unito all'uomo in maniera così inseparabile da far sì che quest'uomo sia veramente Dio da Dio, luce da luce, vero uomo. Il significato eterno del mondo è giunto a noi in maniera così autentica che lo possiamo toccare e osservare.
Perché ciò che Giovanni chiama "il Verbo" in greco significa anche "il senso". Quindi potremmo, senz'altro tradurre l'espressione di Giovanni dicendo: "Il senso si è fatto carne". Ma questo senso non è semplicemente un'idea generica che si introduce nel mondo. Il senso è rivolto a noi. Il senso è una parola, un appello destinato a noi. Il senso ci conosce, ci chiama, ci guida. Il senso non è una legge vaga nella quale noi abbiamo una parte purchessia. È riservato a ciascuno in modo del tutto personale. È esso stesso persona: il figlio del Dio vivente nato nella stalla di Betlemme.
A molti, in qualche modo a noi tutti, queste cose sembrano troppo belle per essere vere. Qui ci viene detto: si, c'è un senso.
E il senso non è un ribellarsi impotente a ciò che è insensato. Il senso ha una sua forza. Esso è Dio. E Dio è buono. Dio non è un qualunque essere supremo, lontano da noi, che non riusciamo mai ad avvicinare. È vicinissimo, a portata di voce, sempre raggiungibile.
Ha tempo per me, tanto tempo da essersi coricato nella mangiatoia e da essere rimasto per sempre uomo. Noi continuiamo a chiederci: è possibile una cosa del genere? È possibile che Dio sia un bambino? Non vogliamo credere che la verità è bella. In base alla nostra esperienza alla fine la verità il più delle volte è crudele e sporca. E quando per una volta non sembra essere così, allora ci mettiamo a scavare fino a che non vediamo confermati i nostri sospetti. Una volta è stato detto dell'arte che è al servizio del bello, e che il bello a sua volta è splendor veritatis, splendore di verità , la sua luce interiore. Ma oggi l'arte il più delle volte ritiene che il suo compito più alto sia quello di smascherare l'uomo come essere immondo e disgustoso.
Se pensiamo ai drammi di Bertolt Brecht, ci accorgiamo che anche in essi tutto il genio del poeta è teso a svelare la verità, ma non più per mostrarne la luce, bensì per dimostrare che la verità è sporca, che la sporcizia è la verità. L'incontro con la verità non nobilita più, anzi degrada. Da ciò il dileggio sul Natale, la derisione della nostra gioia. E in effetti, se Dio non esiste, non c'è alcuna luce, c'è solo terra sporca. In questo consiste la verità davvero tragica di una simile "poesia".
"I suoi non lo accolsero": in fondo preferiamo la nostra caparbia disperazione alla bontà di Dio, che fin dai tempi di Betlemme vorrebbe toccare il nostro cuore. In fondo siamo troppo orgogliosi per lasciarci salvare.
"I suoi non lo accolsero": la tragedia rappresentata da questa frase non si esaurisce nella storia della ricerca di un ricovero, che le nostre recite natalizie continuano a richiamare alla memoria con tanta tenerezza. E neppure si esaurisce nell'appello a pensare ai senzatetto che ci sono nel mondo e qui a Monaco, per quanto importante questo richiamo possa essere. Ma questa frase tocca qualcosa di più profondo che c'è in noi, la ragione più vera per cui la terra non offre rifugio a tanta gente: la nostra superbia chiude le porte a Dio e quindi anche agli uomini.
Siamo troppo superbi per vedere Dio. Ci succede la stessa cosa che è successa a Erode e ai suoi esperti in teologia: a quel livello non si sentono più cantare gli angeli. A quel livello ci si sente solo più minacciati o annoiati da Dio. A quel livello non si vuole più essere "la sua proprietà", la proprietà di Dio, ma si vuole appartenere esclusivamente a se stessi. È per questo che non possiamo accogliere colui che viene nella sua proprietà; per farlo dovremmo cambiare, dovremmo riconoscerlo come padrone.
Egli è venuto come un bambino per vincere la nostra superbia. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza. Ma egli non vuole la nostra resa, vuole il nostro amore. Vuole liberarci dalla nostra superbia e renderci così veramente liberi. Lasciamo dunque che la gioia di questo giorno pervada la nostra anima. Non è un'illusione. È la verità.
Perché la verità - la più alta, la più autentica - è bella. Ed è buona. Incontrarla fa bene agli uomini. La verità parla con le parole del bambino che è il figlio di Dio.
L'ultima frase del nostro Vangelo dice: "Abbiamo visto la sua gloria". Potrebbero essere le parole dei pastori che tornano a casa dalla stalla e riassumono quello che hanno vissuto. Potrebbero essere le parole con cui Maria e Giuseppe descrivono ciò che ricordano della notte di Betlemme. Nel nostro testo è lo sguardo retrospettivo dell'apostolo che dice quello che gli è successo nell'incontro con Gesù. E in effetti noi tutti in quanto cristiani dovremmo poter pronunciare quella frase: "Abbiamo visto la sua gloria".
Si, partendo da questo, si potrebbe addirittura spiegare che cosa significhi credere di vedere la sua gloria in questo mondo. Colui che crede vede. Ma noi abbiamo visto? Non siamo forse rimasti ciechi? Non vediamo sempre soltanto noi stessi, la nostra immagine speculare? Al di fuori di sé, ognuno di noi non vede soltanto ciò che in lui esiste già, qualcosa di conforme a sé.
Lasciamoci aprire gli occhi dal mistero di questo giorno, lasciamo che esso ci renda capaci di vedere. Allora vivremo anche noi come persone che vedono. Come persone che non pensano soltanto a se stesse, che non conoscono soltanto se stesse.
La colletta organizzata nell'Adveniat potrebbe essere una piccola risposta all'appello del Natale. Un segno che dimostra che abbiamo imparato ad ascoltare e vedere, che riconosciamo che Dio è il vero padrone anche della nostra proprietà. Così anche noi potremo diventare portatori della luce che viene da Betlemme, per poi pregare pieni di fiducia: Adveniat regnum tuum. Venga il tuo regno. Venga la tua luce. Venga la tua gloria.
Amen.
Omelia per il Natale del 1977
Da Joseph Ratzinger, "Sul Natale", Lindau 2005
Buona Domenica a tutti nella ricorrenza del SS.Nome di Gesu'!
RispondiEliminahttp://www.kathtube.com/player.php?id=33482
buon anno con ritardo anche da parte mia :-)
RispondiEliminapapa Benedetto ha sempre avuto il dono straordinario di scrivere qualcosa che va oltre il tempo. grazie.
RispondiEliminahttp://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11864488/socci-papa-francesco-numeri-crollo-pellegrini.html
RispondiEliminaSocci smaschera il bluff sul Papa: "Ecco i numeri che lo inchiodano" - Italia - Libero Quotidiano
Amici Carissimi , guardiamo insieme questa foto : Per me e' bellissima ! Diversamente dai molti ritratti , questa foto riesce a trasmetterci , a farci percepire la sua luminosita' di testimone della Fede , la semplicita' , l'immediata cordialita' di questo " uomo di speranza "
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/1664598070441782/photos/a.1664604447107811.1073741828.1664598070441782/1715111928723729/?type=3&theater
http://www.rsi.ch/play/tv/video-cultura-rsi/video/benedetto-e-francesco?id=6559372#t=2
RispondiEliminaBenedetto e Francesco - Video Cultura RSI - TV - Play RSI - Radiotelevisione svizzera
da vedere!!! è un video molto bello e si vede molto papa Benedetto.
http://www.acistampa.com/story/sri-lanka-aperto-listituto-culturale-benedetto-xvi-2351#.VopgkzfQaHQ.twitter
RispondiEliminaConcordo con Laura . Io , ignorantissima quale sono , risvegliata alla Fede nel 2005 grazie alle riflessioni di questo Pastore , penso che la perfetta conoscenza delle Sacre Scritture , la preghiera continua e costante , l'Adorazione , il silenzio , alla fine ti fanno vedere le cose , gli eventi , con gli occhi di Lui : il Signore .
RispondiEliminaQuesta monumentale riflessione e' del 1985 ( 30 anni orsono !! ) eppure sembra di oggi :
NELLA CULTURA DEL MONDO SVILUPPATO.....
La sessualità (è) senza più alcun aggancio col matrimonio e con la procreazione.
Ne deriva logicamente che ogni forma di sessualità è equivalente, dunque è ugualmente degna.
Non si tratta certo di fare del moralismo arretrato, ma di trarre lucidamente le conseguenze dalle premesse: è infatti logico che il piacere, la libido del singolo diventino il solo punto di riferimento possibile del sesso.
Il quale, senza più una ragione oggettiva che lo giustifichi, va cercando la ragione soggettiva nell'appagamento del desiderio, nella risposta la più "soddisfacente" possibile per l'individuo agli istinti ai quali non si può opporre un freno razionale.
Ciascuno è libero di dare il contenuto che crede alla sua libidine personale.
E'dunque naturale che si trasformino in " diritti " del singolo tutte le forme di appagamento della sessualità.
Così, per fare un esempio oggi particolarmente attuale, diventa un diritto inalienabile (e come negarlo, con simili premesse?) l'omosessualità; anzi, il suo riconoscimento pieno si trasforma in un aspetto della liberazione dell'uomo....Staccata dal matrimonio fondato sulla fedeltà di tutta una vita, da benedizione (come è stata intesa in ogni cultura), la fecondità si rovescia nel suo contrario: una minaccia, cioè, al libero appagamento del "diritto alla felicità del singolo.
Ecco dunque che l'aborto procurato, gratuito, socialmente garantito, si trasforma in un altro " diritto ", in un'altra forma di " liberazione " ...
da Rapporto sulla Fede - Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, 1985 %segue
%segue
RispondiEliminaOGGI L'AMBITO DELLA TEOLOGIA MORALE E' DIVENTATO IL LUOGO PRINCIPALE DELLE TENSIONI
tra Magistero e teologi, specialmente perché qui le conseguenze si fanno immediatamente percepibili.
Potrei citare alcune tendenze: talvolta i rapporti prematrimoniali vengono giustificati, almeno a certe condizioni; la masturbazione è presentata come un fenomeno normale nella crescita dell'adolescente; l'ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti è continuamente rivendicata; il femminismo anche radicale sembra guadagnare terreno a vista d'occhio nella Chiesa, specialmente in alcuni ordini religiosi femminili (ma su questo sarà necessario un discorso a parte).
Perfino riguardo al problema dell'omosessualità sono in atto tentativi di giustificazione: è accaduto addirittura che dei vescovi - per insufficiente informazione o anche per un senso di colpa dei cattolici verso una "minoranza oppressa" - abbiano messo a disposizione dei gays delle chiese per le loro manifestazioni....
Da rapporto sulla Fede - Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, 1985
E questa e' per me , e' rivolta proprio a me . Avevo annacquato la mia fede , per superbia, per orgoglio , perche' ho creduto di affrontare le Croci della vita da sola , senza chiedere aiuto a Colui che mi avrebbe reso il giogo piu' lieve :
RispondiEliminaLA FEDE , IN ULTIMA ISTANZA , E' UN DONO .
QUINDI LA PRIMA CONDIZIONE E' LASCIARSI DONARE QUALCOSA , NON ESSERE AUTOSUFFICIENTI, NON FARE TUTTO DA NOI , PERCHE' NON LO POSSIAMO , MA APRIRCI NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE IL SIGNORE DONA REALMENTE .
BXVI
OT secondo un blog spagnolo, non pago degli spazi radiotelevisivi che occupa, il vdr da domani uscirà tutti i mesi in videoconferenza per spiegare le sue intenzioni e di preghiera e di 'catechesi a modo suo' da seguire......pensa l'avesse fatto Benedetto, ricordi l'orrido Augias, ora silenziosissimo, che si lamentava del troppo spazio dedicato al papa? Ometto Pannella per non vomitare. news su secretunmeummihi .A.
RispondiElimina