lunedì 29 agosto 2016
Prof. Joseph Ratzinger: Non fa parte della rivelazione cristiana solo la parola di Dio, ma anche il silenzio di Dio (Da Introduzione al Cristianesimo)
Grazie al grande lavoro della nostra Gemma, possiamo leggere questo brano che definire straordinario e' un eufemismo.
In un momento in cui molti parlano del silenzio di Dio (alcuni a proposito, altri decisamente a sproposito...) è bello rileggere parole così belle e alte.
Il brano è tratto da "Introduzione al Cristianesimo" scritto dall'allora Professor Ratzinger nel 1968.
Particolarmente significativo e' il passaggio sul "silenzio di Dio", straordinariamente importante in questi giorni di dolore e di speranza.
Grazie ancora a Gemma :-)
Raffaella
Introduzione al cristianesimo
parte seconda - Gesù Cristo
2. Lo sviluppo della professione di fede in Cristo negli articoli di fede cristologica
3. << Discese agli inferi >>
Forse nessun articolo di fede suona così estraneo alla nostra coscienza odierna come questo. Assieme alla confessione della nascita di Gesù dalla vergine Maria e dell'Ascensione del Signore al cielo, esso è un forte stimolo alla "demitizzazione", che qui sembra possibile senza alcun pericolo e senza scandali. I pochi passi nei quali la Scrittura sembra dire qualcosa sull'argomento (1 Pt 3,19s; 4,6; Ef 4,9; Rm 10,7; Mt 12,40; At 2,27,31) sono di così difficile comprensione da poter essere facilmente interpretati nelle direzioni più diverse. Sicchè, se alla fine si elimina del tutto l'affermazione, sembra di aver ottenuto il vantaggio di liberarsi di una questione strana e diffcilmente inquadrabile nel nostro pensiero, pur senza rendersi colpevoli di una particolare infedeltà. Ma così facendo, si è davvero guadagnato qualcosa? O non si è piuttosto soltanto evitato di affrontare un aspetto difficile e oscuro del reale? Si può cercare di sfuggire ai problemi semplicemente negandoli, oppure si può cercare di risolverli prendendoli di petto.
La prima via è certo più comoda, ma soltanto la seconda fa progredire.
Invece di accantonare il problema, non dovremmo dunque imparare piuttosto a vedere come questo articolo di fede, al quale nel corso dell'anno liturgico è liturgicamente correlato il Sabato santo, ci interessi oggi più che mai da vicino, in quanto esprime in modo del tutto speciale l'esperienza del nostro tempo?
Al Venerdi santo, il nostro sguardo rimane sempre puntato sul Crocifisso; il Sabato santo, invece, è il giorno della "morte di Dio", il giorno che esprime e anticipa l'ineaudita esperienza del nostro tempo: la sensazione che Dio è semplicemente assente, che la tomba lo ricopre, che egli non è più desto, non parla più, sicchè non c'è più nemmeno bisogno di contestarne l'esistenza, ma si può tranquillamente farne a meno. "Dio è morto, e noi l'abbiamo ucciso" . Questa lapidaria affermazione di Nietzsche appartiene, quanto a linguaggio, alla tradizione della pietà cristiana centrata sulla Passione ed esprime il senso del Sabato santo, la 'discesa agli inferi'.
In relazione a questo articolo mi vengono sempre alla mente due scene bibliche. Innanzitutto quel crudele episodio dell'Antico Testamento , in cui Elia incita i sacerdoti di Baal a impetrare dal loro Dio il fuoco per il sacrificio. Essi lo fanno, ma naturalmente non succede nulla. Allora egli lo schernisce, esattamente come un illuminista sbeffeggia la persona pia, trovandola ridicola quando non ottiene nulla con la sua preghiera. Il profeta li prende in giro, facendo loro osservare che forse non hanno pregato a voce abbastanza alta: "Gridate con voce più alta, perchè certo egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato e in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà!" (1 Re 18,27). Rileggendo oggi questo scherno rivolto ai devoti di Baal , ci si può certamente sentire un pò sconcertati; si può avere la sensazione che ora noi stessi ci troviamo in una situazione del genere, e che quello scherno tocchi ora a noi. Nessun grido sembra più capace di risvegliare Dio. Il razionalista pare tranquillamente autorizzato a dirci: pregate più forte, forse allora il vostro Dio si sveglierà. "Discese nel regno dei morti": questa frase sembra proprio dire la verità della nostra ora, lo sprofondamento di Dio nel mutismo, nel cupo silenzio dell'assente.
Ma accanto alla storia di Elia e alla sua analogia neotestamentaria nel racconto del Signore che dorme durante l'infuriare della tempesta sul lago (Mc 4,35-41 par.), affiora qui alla memoria anche il racconto di Emmaus (lLc 24,13-35). I discepoli sconvolti parlano della morte della loro speranza. Per essi è accaduto quacosa che assomiglia alla morte di Dio: il punto in cui Dio sembrava avere defìnitivamente parlato è stato cancellato.
L'inviato di Dio è morto, e quindi si è fatto il vuoto assoluto. Nulla più risponde. Ma proprio mentre vanno parlando della morte della loro speranza, ormai incapaci di vedere Dio, essi non avvertono che proprio questa speranza è lì viva in mezzo a loro. Non avvertono che 'Dio', o piuttosto l'idea che si erano fatti della sua promessa, doveva morire per poi rivivere più grande di prima. L'immagine che si erano formata di Dio, e nella quale avevano tentato di comprimerlo, doveva essere distrutta perchè essi potessero, per così dire sulle rovine della casa demolita, rivedere il cielo e Quello stesso che resta sempre l'infinitamente più grande.
IL poeta Eichendorff ha formulato questo pensiero con ricchezza di sentimento, in un modo che a noi appare quasi ingenuo, ma è tipico del suo secolo:
Tu sei colui che distrugge con mite mano ciò che noi costruiamo sul nostro capo; e lo fai dolcemente, per farci rivedere il cielo.
Ecco perchè non me ne lamento.
Allo stesso modo, l'articolo di fede sulla discesa del Signore agli inferi ci rammenta come della rivelazione cristiana non faccia parte solo la parola di Dio, ma anche il silenzio di Dio.
Dio non è soltanto la parola comprensibile che viene a noi; è anche il fondamento nascosto e inaccessibile, incompreso e inafferrabile, che si sottrae a noi. Certo, nel cristianesimo c'è un primato del Logos, della Parola, sul silenzio. Dio ha parlato. Dio è parola. Ma non dobbiamo per questo dimenticare la verità del perenne nascondimento di Dio. Solo dopo averlo sperimentato come silenzio, possiamo sperare di percepire anche il suo parlare che risuona nel silenzio. La cristologia procede oltre la croce, il momento in cui si coglie l'amore divino, per entrare nella morte, nel silenzio e nell'occultamento di Dio. Possiamo allora meravigliarci se la chiesa, se la vita stessa del singolo, vengono continuamente introdotte in quest'ora del silenzio, nel dimenticato e accantonato articolo "Discese agli inferi"?
Se si pensa a questo, la questione delle prove dalla 'Scrittura' si risolve da sè. Per lo meno nel grido di Gesù al momento della sua morte: "Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?" (Mc 15,34), percepiamo il mistero della discesa di Gesù agli inferi come un lampo nell'oscurità della notte. Non dimentichiamo che questa invocazione del Crocifisso è la frase iniziale di una preghiera di Israele (Sal 22(21),2), nella quale si riassumono in maniera toccante l'afflizione e la speranza di questo popolo scelto da Dio e ora da lui abbandonato nel modo apparentemente più desolante. Tale preghiera, che sgorga dalla più profonda afflizione per la tenebra in cui Dio si è avvolto, termina con un inno alla grandezzadi Dio . Anche questo è presente nel grido di morte emesso da Gesù, grido che Ernst Kasermann ha concisamente connotato come una preghiera dall'inferno, come l'ergersi del primo Comandamento nel deserto dell'apparente assenza di Dio: "Il Figlio mantiene ancora salda la fede, anche adesso che la fede sembra divenuta un non -senso e la realtà terrena proclama che Dio è assente, il Dio di cui non per nulla parlano il primo ladrone e la folla schernitrice. Il suo grido non è rivolto alla vita e alla sopravvivenza, non a se stesso, bensì al Padre. Il suo grido si contrappone alla realtà del mondo intero". E allora, abbiamo ancora bisogno di chiederci che significato debba avere la preghiera nella nostra ora di tenebra? Può forse essere qualcosa di diverso dal grido dal profondo, assieme al Signore che è 'disceso agli inferi' e ha riaffermato la vicinanza di Dio proprio nel mezzo dell'abbandono da parte di Dio?
Tentiamo di fare anche un'altra riflessione, per penetrare in questo poliedrico mistero che da un lato solo non è possibile chiarire. Prendiamo innanzitutto atto di una constatazione esegetica. Ci si dice che, nel nostro articolo di fede, la parola 'inferi' ('inferno') sarebbe solo un'errata traduzione di She' ol (in greco Hades), con cui gli ebrei designavano lo stato oltre la morte, che veniva immaginato molto vagamente come una specie di esistenza umbratile, più un non-essere che un essere. Pertanto, la frase avrebbe originariamente significato solo che Gesù era entrato nello She' ol, ossia che era morto. Ora, ciò potrà anche essere assolutamente giusto. Ma resta pur sempre da vedere se la cosa si è così davvero semplificata, divenendo meno misteriosa di prima. Io ritengo, invece, che proprio ora il problema presenti il suo vero volto: la morte e ciò che accade qunado uno muore, ossia quando entra nel regno della morte. Di fronte a questo problema dobbiamo tutti confessare il nostro imbarazzo. Nessuno sa realmente che cosa succeda, perchè tutti viviamo al di qua della morte, non abbiamo alcuna esperienza della morte. Possiamo, però, forse tentare di avvicinarci proprio partendo ancora una volta dal grido di Gesù sulla croce, in cui abbiamo colto il nucleo centrale di ciò che significa la discesa di Gesù agli inferi, la sua partecipazione al destino di morte degli uomini.. In quest'ultima preghiera di Gesù, come del resto anche nella scelta dell'Orto degli ulivi, il nucleo più profondo della sua passione non sembra essere qualche dolore fisico, bensì la radicale solitudine, il completo abbandono. Ora qui viene alla luce, in definitiva, semplicemente l'abissale solitudine dell'uomo: dell'uomo che nel suo intimo è solo. Questa solitudine, che viene si per lo più camuffata in svariati modi, ma che rimane la vera situazione dell'uomo, denota al contempo la più stridente contraddizione con la natura dell'uomo, che non può vivere da solo, ma ha bisogno di essere con gli altri. La solitudine è perciò la regione dell'angoscia, radicata nella condizione di essere abbandonato in cui l'essere si trova, che deve essere e tuttavia è costretto ad affrontare l'impossibile.
Cerchiamo di spiegarci meglio con un esempio. Quando un bambino si trova obbligato ad attraversare un bosco da solo, in una notte oscura, è preso dal terrore, anche se gli è stato dimostrato nella maniera più convincente che non c'è assolutamente nulla di cui debba temere. Nel momento in cui si trova solo nelle tenebre, e sperimenta così radicalmente il senso della solitudine, insorge in lui la paura, l'autentica paura dell'uomo, che non è paura di fronte a qualcosa, bensì paura e basta. La paura di fronte a qualcosa di determinato è in fondo innocua: può essere scacciata togliendo di mezzo l'oggetto che la provoca. Tanto per fare un esempio, quando uno ha paura di un cane che morde, si fa presto a rimediare legando il cane alla catena. Nel caso nostro, invece, ci imbattiamo in qualcosa di ben più profondo: l'uomo, allorchè finisce nell'estrema solitudine, non trema di fronte a qualcosa di determinato, che può esere eliminato; prova invece il terrore della solitudine, avverte l'aspetto inquietante e il senso di essere abbandonato propri della sua stessa condizione, non superabili per via razionale. Aggiungiamo ancora: quando uno deve vegliare un morto da solo e di notte in una stanza, avvertirà pur sempre la sua situazione con una certa inquietudine, anche se non vuole ammetterlo ed è in grado di convincersi razionalmente che le sue sensazioni sono prive di oggetto. Di per sè, egli sa benissimo che il morto non può fargli assolutamente nulla e che la sua situazione sarebbe probabilmente assai più pericolosa se la persona che veglia fosse ancora viva.
Ciò che qui affiora è un tipo completamente diverso di paura: non è la paura di fronte a qualcosa, bensì la sinistra angoscia della solitudine in sè, nell'essere solo con la morte, l'essere-abbondanato dell'esistenza.
Dobbiamo ora chiederci: com'è possibile vincere tale paura, se la prova dell'inconsistenza del pericolo fallisce? Ebbene, il bambino sarà libero dalla sua paura nel momento in cui troverà una mano che stringa la sua e lo guidi, quando sentirà una voce che gli parli; nel momento, quindi, in cui sperimenterà la compagnia di una persona che gli vuole bene. E anche colui che si trova solo col morto, sentirà sparire la paura non appena un'altra persona sia con lui, non appena avverta la vicinanza di un 'tu'. In questo superamento della paura si rivela allo stesso tempo, di nuovo, la sua natura: come essa sia il terrore della solitudine, l'angoscia di un essere che può vivere solo insieme con altri. La vera paura dell'uomo può essere superata non con l'intelletto, bensì soltanto grazie alla presenza di una persona che gli voglia bene.
Dobbiamo approfondire ulteriormente il nostro interrogativo. Se ci fosse una solitudine in cui nessuna parola di un altro potesse più penetrare a cambiare la situazione, se si verificasse un abbandono talmente profondo da non permettere più ad alcun 'tu' di raggiungere chi è abbandonato, avremmo allora uno stato di vera e totale solitudine , quello stato spaventoso che il teologo chiama 'inferno' . Che cosa significhi questa parola, lo possiamo esattamente definire a partire da quanto abbiamo detto: essa denota una solitudine in cui non penetra più la parola dell'amore e che costituisce quindi l'autentica situazione di esistenza abbandonata. A questo proposito, a chi non viene in mente come poeti e filosofi del nostro tempo esprimono l'opinione che, in fondo, tutti gli incontri fra uomini si arrestano alla superficie, sicchè nessun uomo ha accesso alla vera profondità dell'altro? Nessuno, quindi, può realmente raggiungere l'intimo dell'altro; ogni incontro, per bello che sembri, si limita in sostanza ad anestetizzare l'insanabile ferita della solitudine. Nel più profondo della nostra esistenza, perciò, abiterebbe l'inferno, la disperazione: la solitudine, insomma, che è tanto ineluttabile quanto raccapricciante. E' noto come Sartre abbia costruito su quest'idea tutta la sua antropologia. Ma anche un poeta, in apparenza così conciliante e sereno come Hermann Hesse lascia trapelare, in fondo, gli stessi pensieri:
E' strano camminare nella nebbia!
Vivere vuol dire essere soli.
Nessun uomo conosce l'altro:ognuno è solo!
In effetti, una cosa è certa: c'è una notte nel cui abbandono non scende alcuna voce; c'è una porta per la quale possiamo passare esclusivamente da soli: la porta della morte. Ogni paura del mondo è, in definitiva, paura di questa solitudine. Si capisce allora perchè l'Antico Testamento abbia una sola parola per indicare sia gli inferi sia la morte: la parola She' ol. In fondo, per esso le due situazioni sono identiche. La morte è la solitudine, semplicemente. Ma quella solitudine in cui nemmeno l'amore riesce più a penetrare, quella è davvero l''inferno'.
Siamo così tornati nuovamente al punto di partenza, all'articolo di fede che afferma la discesa di Gesù agli inferi. Questa frase ci conferma quindi che Cristo ha varcato la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi con la sua passione in questo abisso del nostro estremo abbandono. Là dove nessuna voce è più in grado di raggiungerci, lì egli è presente.
Con ciò l'inferno è vinto, o - per essere più esatti - la morte, che prima era l''inferno', ora non lo è più. Nessuna delle due realtà è più la stessa di prima, perchè al centro della morte c'è la vita, perchè l'amore abita ora al centro di essa. Soltanto la chiusura in se stessi, voluta di proposito, è ora l''inferno', o- per dirla con la Bibbia - la seconda morte (per esempio, Ap 20,14). Il morire, invece, non è più la via che porta alla solitudine glaciale, le porte dello She' ol sono state sfondate. Io credo che a partire da qui si possono comprendere le immagini dei Padri, a prima vista di sapore così mitologico, che ci parlano di Gesù che ha fatto uscire i morti, di apertura delle porte; e diventa comprensibile anche quel testo, apparentemente così mitico, del vangelo di Matteo, dove si afferma che alla morte di Gesù si sono aperti i sepolcri e sono risuscitati i corpi di molti santi (Mt 27, 52). La porta della morte resta aperta, da quando nella morte abita la vita: l'amore...
Da Joseph Ratzinger, "Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico", Edizioni Queriniana 2005
Ho letto questo brano cecine di volte. la prima volta mi ha folgorato. Avevo trovato, finalmente, una arola sensata d speranza cncreta, vera anche per me.
RispondiEliminaNon so quanti siano in grando di comprendere. Ratzinger ha avuto sempre il dono di scrivere parole vive, applicabili alla nostra vita. La sua è una teologia concreta, che rende vicino quel Dio che sembra non interessarsi alle nostre povere e piccole vicende umane. Quando lo lessi per la prima volta dopo la sua elezione, ebbi la sensazione di aver sprecato 40 anni alla ricerca di qualcuno che mi desse davvero pseranza e forza per affrontare il dolore. Quei giorni tanto dolorosi per me per motivi fmiliari, sono stati illuminati da parole che nessuno cancellerà dal mio cuore e che nessun altro potrà e saprà dire.
Grazie per quello che fate per diffondere un patrimonio immenso di fede e speranza concrete.
A propsito del brano pubblicato, Ratzinger ripete più volte, anche alreove, che il paradiso ci viene donat e l'inferno lo scegkiano da soli. ha fatto tutto Lui. Basta accogliere il dono e dre: Sì. Questo è estremamente consolante edè un modo molto più concreto per parlare della Misericordia di Dio.
RispondiEliminaSemplicemente strepitoso, bellezza e profondità che lasciano senza parole. Mille grazie per la pubblicazione
RispondiEliminaE' fondamentale , soprattutto ora che il male e' così avanzato , mettere in pratica tutti i consigli suggeriti dalla Madonna a Fatima : Consacrarsi al Suo Cuore Immacolato , fare penitenza e pregare per la propria conversione e per la conversione dei poveri peccatori . Avanti , insieme a Papa Benedetto !
RispondiEliminaLA CORONCINA ALLA MADONNA DEL DIVINO AMORE
Segno della Croce
O DIO VIENI A SALVARMI
Signore, vieni presto in mio aiuto .
Si dice il mistero di grazia e si ripete per 10 volte a due cori o singolarmente:
VERGINE IMMACOLATA MARIA MADRE DEL DIVINO AMORE -
R. :Rendici Santi
Alla fine della decina si dice il Gloria al Padre e l'invocazione sllo Spirito Santo:
VIENI O SPIRITO SANTO NEL MIO CUORE ACCENDI IN ME IL FUOCO DEL TUO AMORE .
Primo Mistero di grazia
LO SPIRITO SANTO NELL'IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA
Lo spirito Santo preserva Maria SS.ma dal peccato originale e la riempie di grazia , nella sua immacolata concezione.
Secondo mistero di grazia
LO SPIRITO SANTO NELL'ANNUNCIAZIONE
Lo Spirito Santo scende su Maria nel momento dell'Annunciazione e la rende Madre di Dio.
Terzo mistero di grazia
LO SPIRITO SANTO NELLA PENTECOSTE
Lo Spirito Santo riempie con i suoi doni gli Apostoli e Maria SSma nella Pentecoste .
Quarto mistero di grazia
LO SPIRITO SANTO NEL NOSTRO BATTESIMO
Lo Spirito Santo, nel Battesimo , ci rende Figli di Dio , membra vive della Chiesa ed eredi della vita eterna.
Quinto mistero di grazia
LO SPIRITO SANTO NELLA CRESIMA
Lo Spirito Santo ci fortifica , nella Cresima , per essere testimoni coraggiosi nella Risurrezione.
Si termina dicendo
SALVE REGINA
AVE MARIA
MADRE DEL DIVINO AMORE PREGA PER NOI .
della stessa opera il capitolo dodicesimo -Una certa "LIBERAZIONE"- spiega molto bene gli interventi successivi della Congregazione affidata a Ratzinger
RispondiEliminaArcangela
Ho sbagliato. L'opera cui mi riferisco è "Rapporto sulla Fede".
RispondiEliminaArcangela
La Vigna del Signore su Twitter: "Benedetto XVI con delegazione di Waidhofen an der Ybbs, Bassa Austria (agosto 2016) https://t.co/TZwI7VoW17"
RispondiEliminahttps://twitter.com/vignadelsignore/status/770591127833546752/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/08/30/i-quattro-chiodi-fissi-di-bergoglio-ma-nemmeno-il-terzo-regge/
RispondiEliminain queste disquisizioni non capisco nulla. Il linguaggio di papa Benedetto, al contrario, era così limpido e così lineare da non poersi prestare ad errate e riduttive interpretazioni.
Bergoglio parlaun linguaggio comunque in comprensibile, sinceramente, poco concreto, almeno per me.
Potrebbe ancorarsi al Vangelo e basta, senza addeentrarsi là dove non è in grado di arrivare.
http://www.fondazioneratzinger.va/content/fondazioneratzinger/it/news/notizie/benedetto-xvi-riceve-una-rappresentanza-dello-schuelerkreis.html
RispondiEliminahttps://twitter.com/vignadelsignore/status/770905957954154496/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw
RispondiEliminahttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-enigma-benedettoe-la-necessita-di-chiarezza-17270.htm
RispondiElimina??????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
"In principio fu la promessa di restare «nascosto al mondo "
RispondiEliminaL'amore filiale che provo per il Pontefice Benedetto XVI probabilmente non mi fa vedere chiaramente ma questa volta Cascioli mi sembra ingiusto . Non e' Papa Benedetto che cerca visibilita' , non e' lui che cerca interviste , volte tutte al lancio di un libro che portera' vantaggi economici allo scrittore e all'editore . Stessa cosa si puo' dire delle fotografie che , detto tra noi , cerco con grande piacere perche' mi permettono di rendermi conto delle sue condizioni generali . Si e' ammalato per noi perche' sottoposto a sforzi non adatti alla sua persona gracile in quell'eta' gia' veneranda , ma come sempre si e' abbandonato alla Divina Volonta' , si e' lasciato condurre anche dove non voleva cercando di correggere quando e come ha potuto .
Mi piacerebbe che i suoi confratelli così tormentati circa il titolo di cui si fregia trascorressero notti tranquille in preghiera perche' la Chiesa e' di Gesu' Cristo , quindi pensera' Lui a quel che deve fare , noi preoccupiamoci di salvare l'anima nostra .
Forse che privandolo del titolo tutte le tessere torneranno al loro posto ?
Lui sta al suo posto infatti fedele all'impegno , prega , soffre e offre per accelerare l'intervento del Cuore Immacolato di Maria .
Dunque , lasciatelo lavorare secondo le sue forze ! Sante giornate !
a proposito di http://www.lanuovabq.it/it/articoli-enigma-benedettoe-la-necessita-di-chiarezza-17270.htm
RispondiEliminaChi sta creando una situazione pericolosa per la Chiesa al punto da poter portare a uno scisma non è certo l'istituzione del papato emerito e tanto meno Benedetto; in oltre con tutta la continuità tra papati che ci si premura di mettere in bella vista in questi ultimi tempi non c'è proprio alcun scisma da temere.
Meglio invece stare zitti perchè tanto a fare le spese di tutto, degli articoli pro e contro ecc. ecc. indovinate un po' chi sarà ? Sempre il solito !
Anna
stupendo, grazie infinite a Gemma per il lavoro : )
RispondiEliminaCi sara' dato di vedere ancora una Adorazione Eucaristica così ?
RispondiEliminaSanta notte ...
https://www.facebook.com/B16eSER.Ganswein/photos/a.1664604447107811.1073741828.1664598070441782/1815033842064870/?type=3&theater