giovedì 31 dicembre 2015

Benedetto XVI, la pace e l'irragionevolezza della violenza. L'accensione del lume (2006)



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In occasione della presentazione degli auguri alla curia romana, Benedetto XVI si soffermò in particolare sul tema della pace. Poi, la sera della Vigilia di Natale, accese il lume della pace affacciandosi alla finestra del suo studio privato.
Il testo integrale del discorso si trova qui.
Grazie come sempre a Gemma per il grande lavoro :-)

Dal discorso sopra segnalato:

""Et erit iste pax" – tale sarà la pace, dice il profeta Michea (5,4) circa il futuro dominatore di Israele, di cui annuncia la nascita a Betlemme. Ai pastori che pascolavano le loro pecore sui campi intorno a Betlemme gli angeli dissero: l'Atteso è arrivato. "Pace in terra agli uomini" (Lc 2,14). Egli stesso Cristo, il Signore, ha detto ai suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). Da queste parole si è sviluppato il saluto liturgico: "La pace sia con voi". Questa pace che viene comunicata nella liturgia è Cristo stesso. Egli si dona a noi come la pace, come la riconciliazione oltre ogni frontiera. Dove Egli viene accolto crescono isole di pace. Noi uomini avremmo desiderato che Cristo bandisse una volta per sempre tutte le guerre, distruggesse le armi e stabilisse la pace universale. Ma dobbiamo imparare che la pace non può essere raggiunta unicamente dall'esterno con delle strutture e che il tentativo di stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova. Dobbiamo imparare che la pace – come diceva l'angelo di Betlemme – è connessa con l'eudokia, con l'aprirsi dei nostri cuori a Dio. Dobbiamo imparare che la pace può esistere solo se l'odio e l'egoismo vengono superati dall'interno. L'uomo deve essere rinnovato a partire dal suo interno, deve diventare nuovo, diverso. Così la pace in questo mondo rimane sempre debole e fragile. Noi ne soffriamo. Proprio per questo siamo tanto più chiamati a lasciarci penetrare interiormente dalla pace di Dio, e a portare la sua forza nel mondo. Nella nostra vita deve realizzarsi ciò che nel Battesimo è avvenuto in noi sacramentalmente: il morire dell'uomo vecchio e così il risorgere di quello nuovo. E sempre di nuovo pregheremo il Signore con ogni insistenza: Scuoti tu i cuori! Rendici uomini nuovi! Aiuta affinché la ragione della pace vinca l'irragionevolezza della violenza! Rendici portatori della tua pace! "

mercoledì 30 dicembre 2015

Benedetto XVI parla del Natale, dei falsi profeti e della salvezza "a basso prezzo" nella catechesi del 20 dicembre 2006 (YouTube)



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Grazie al lavoro della nostra Gemma ascoltiamo un'altra chicca straordinaria del Magistero di Joseph Ratzinger.
Il 20 dicembre 2006 Benedetto XVI tenne, nel corso dell'udienza generale, una catechesi sul Mistero del Natale il cui testo è consultabile qui.

In particolare:

"“Il Signore è vicino: venite, adoriamo”. Con questa invocazione la liturgia ci invita, in questi ultimi giorni dell’Avvento, ad avvicinarci, quasi in punta dei piedi, alla grotta di Betlemme, dove si è compiuto l’evento straordinario, che ha cambiato il corso della storia: la nascita del Redentore. Nella Notte di Natale ci fermeremo, ancora una volta, dinanzi al presepe, a contemplare stupiti il “Verbo fatto carne”. Sentimenti di gioia e di gratitudine, come ogni anno, si rinnoveranno nel nostro cuore ascoltando le melodie natalizie, che in tante lingue cantano lo stesso straordinario prodigio. Il Creatore dell’universo è venuto per amore a porre la sua dimora tra gli uomini. Nella Lettera ai Filippesi, san Paolo afferma che Cristo “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (2,6). E’ apparso in forma umana, aggiunge l’Apostolo, umiliando se stesso. Nel Santo Natale rivivremo la realizzazione di questo sublime mistero di grazia e di misericordia".

"Ma la domanda è: l’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano".

"Ma come prepararci ad aprire il cuore al Signore che viene? L’atteggiamento spirituale dell’attesa vigile ed orante rimane la caratteristica fondamentale del cristiano in questo tempo di Avvento. È l’atteggiamento che contraddistingue i protagonisti di allora: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, i Magi, il popolo semplice e umile. Soprattutto l’attesa di Maria e di Giuseppe! Questi ultimi, più di ogni altro, hanno provato in prima persona l’affanno e la trepidazione per il Bambino che doveva nascere. Non è difficile immaginare come abbiano trascorso gli ultimi giorni, nell’attesa di stringere il neonato fra le loro braccia. Il loro atteggiamento sia il nostro, cari fratelli e sorelle! 
...
Nascendo fra noi, Gesù Bambino non ci trovi distratti o impegnati semplicemente ad abbellire con le luminarie le nostre case. Allestiamo piuttosto nel nostro animo e nelle nostre famiglie una degna dimora dove Egli si senta accolto con fede e amore".

sabato 26 dicembre 2015

ACI Stampa incontra Benedetto XVI

Clicca qui per leggere il bellissimo resoconto.
Ancora auguri a tutti :-)
R.

Il Messaggio "Urbi et Orbi" di Benedetto XVI (25 dicembre 2006)



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Il testo del Messaggio è consultabile qui.
A questo link gli auguri in decine di lingue.
Grazie a Gemma :-)

venerdì 25 dicembre 2015

BUON NATALE A TUTTI!!!

Carissimi Amici,
tanti, affettuosissimi, auguri di Buon Natale a ciascuno di voi ed alle vostre famiglie :-)
Gemma ci ha fatto un regalo straordinario: l'omelia di Natale dell'allora card. Ratzinger, arcivescovo di Monaco (1978). Per gli argomenti e le problematiche trattate il testo sembra scritto oggi.
Un grande abbraccio a tutti :-)
Raffaella

Omelia per il Natale del card. Ratzinger a Monaco (1978): Il bambino bussa...

Dio bussa

Omelia di Joseph Ratzinger

Se consideriamo la liturgia del Natale della Chiesa, ecco ci appare come un tessuto prezioso composto da molteplici fili: i fili dell'Antico Testamento, principalmente dei Salmi e dei profeti, quelli delle lettere di Paolo e infine le diverse tonalità di tre evangelisti, Matteo, Luca e Giovanni. Due di essi, però, Luca e Giovanni, formano la vera bitonalità natalizia da cui è costituita la fede nel Natale della Chiesa. Se non si tiene conto di ciò, si distrugge l'autentico mistero del Natale.
Luca, che fa risalire la sua tradizione alle cose sulle quali Maria ha riflettuto e che ha serbato in sé nella contemplazione del mistero di Dio, nel suo racconto ci fa conoscere la partecipazione umana e il fervore materno con cui la madre del Signore ha vissuto gli eventi della Notte Santa.
Giovanni non prende in considerazione i particolari umani del racconto per far giungere invece lo sguardo fino agli abissi dell'eternità, per farci riconoscere i veri ordini di grandezza dell'evento: la parola si è fatta carne e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Per questo i Concili della Chiesa delle origini si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, inattesa è sempre inconcepibile e indicibile: nel tempo il figlio eterno di Dio è diventato figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nell'eternità è diventato uomo nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio e figlio vero dell'uomo.

Oggi nella cristianità questi dogmi non contano più molto. Ci sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita. E ignorarli o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante, sembra essere quasi una specie di "trasgressione perdonabile" per i cristiani. 
Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli in parole in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Inoltre ci siamo fatti un'idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza. Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell'uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi  e il mondo ad aderire a un vuoto relativismo. 
Non riconosciamo quello che di salvifico c'è nel Natale, che esso cioè dà la luce, che si è manifestata e che si è rivelata a noi la via, che è veramente via perché è la verità. Se non riconosciamo che Dio si è fatto uomo non possiamo veramente festeggiare e custodire nel nostro cuore  il Natale, con la sua gioia grande che s' irradia oltre noi stessi. Se questo fatto viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi, a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile.
La parola si è fatta carne. Accanto a questa verità presentataci da Giovanni, deve però esserci anche la verità di Maria, che ci è stata rivelata da Luca. Dio si è fatto carne. Questo non è soltanto un evento incommensurabilmente grande e lontano da noi, è qualcosa di molto umano e a noi molto vicino: Dio si è fatto bambino, un bambino che ha bisogno di una madre. È diventato un bambino, una creatura che entra nel mondo piangendo, la cui prima voce è uno strillo che chiede aiuto, il cui primo gesto è rappresentato dalle mani tese in cerca di sicurezza. Dio è diventato un bambino. D'altra parte sentiamo anche dire che queste cose non sono che sentimentalismo, che sarebbe meglio lasciare da parte. Ma il Nuovo Testamento ha altre idee al riguardo. Per la fede della Bibbia e della Chiesa è importante che Dio abbia voluto essere una simile creatura, dipendente dalla madre, dipendente dall'amore soccorrevole dell'uomo. Dio ha voluto essere una creatura che dipende dagli uomini per suscitare in noi l'amore che ci purifica e ci salva. Dio è diventato un bambino, e il bambino è una creatura che dipende dagli altri. 
Così nell'essere bambino c'è già il tema della ricerca di asilo, un tema fondamentale del Natale. E quante variazioni ha visto questo tema nella storia! Oggi ne sperimentiamo una molto angosciosa: il bambino bussa alle porte del nostro mondo. A ragione deploriamo di continuo il fatto che l'ambiente in cui viviamo sia diventato ostile ai bambini, che rifiuti al bambino lo spazio interiore ed esteriore in cui questi potrebbe realizzare la propria esistenza nella libertà e nella gioia.

Il bambino bussa. Questa ricerca d'asilo va ancora più in profondità. Non esiste soltanto l'ambiente ostile ai bambini, prima di questo c'è anche il fatto che al bambino è chiusa la porta attraverso la quale potrebbe accedere a questo mondo, che si dice non abbia più posto per lui. Il bambino è visto come una specie di pericolo o come un incidente da evitare. 
L'arte di chiudergli la porta in faccia è considerata un portato dell'illuminismo e di una mentalità libera da pregiudizi. Spesso calpestare la vita che più di tutte è indifesa, quella che ancora non è nata, sembra non essere neppure più una trasgressione veniale, ma soltanto un parametro dell'emancipazione. Nel modo di pensare di questo nostro tempo - ma, se siamo sinceri, in segreto anche nel nostro modo di pensare - il bambino appare come colui che fa concorrenza alla nostra libertà, come colui che fa concorrenza al nostro futuro, che ci porta via il posto. 
Riempiamo lo spazio della nostra vita di oggetti e prodotti e non riusciamo mai ad averne abbastanza di cose che programmiamo e poi possiamo anche buttare via. Tutt'al più abbiamo posto per un animale che si adatti ai nostri capricci. Ma non abbiamo posto per una nuova libertà, per una nuova volontà che entra nella nostra vita e che non possiamo programmare e governare: per noi sarebbe troppo gravoso. Vogliamo soltanto ciò che si può programmare, il prodotto, le cose che siamo in grado di fare e che possiamo anche buttare via. 
Il bambino bussa. Se lo accogliessimo, dovremmo rivedere radicalmente il nostro rapporto con la vita, dovremmo essere disposti a non approfittare di essa soltanto a nostro vantaggio, dovremmo smettere di ritenerla soltanto un'opportunità utile a ricavare qualcosa da ciò che le circostanze ci offrono. Dovremmo invece viverla e considerarla come un dono per gli altri. Dovremmo imparare a vedere nel bambino, nella nuova libertà di un altro essere umano che nasce alla vita, non la distruzione della nostra libertà ma un'occasione che le viene offerta, non il concorrente che ci toglie il futuro e lo spazio vitale ma la forza creativa che dà la propria impronta al futuro e lo porta in sé. Possiamo dire di avere a che fare con qualcosa di molto profondo a seconda del modo in cui in ultima analisi intendiamo l'essere uomini: se dal punto di vista di un terribile egoismo che si sente perennemente minacciato, oppure da quello di una libertà fiduciosa che accoglie e sa accogliere un'altra libertà, perché sa che in fondo l'uomo è sorretto da Dio ed è pertanto chiamato alla comunione dell'amore e della libertà del vivere insieme.

Ricerca d'asilo. Nelle ultime settimane abbiamo visto immagini impressionanti dei profughi vietnamiti e siamo anche stati testimoni di uno spaventoso venir meno del sentimento di umanità.  Fino ad oggi prestare aiuto ai naufraghi era ritenuta una delle qualità primarie della natura umana. Nel caso di questi fuggiaschi tale regola non è sembrata essere più valida. 
Grazie a Dio negli ultimi tempi le cose sono un pó migliorate. Per fortuna anche gli stati  europei, anche il nostro paese, hanno aperto almeno un pó le loro porte per accogliere questi reietti. E io a questo punto vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che si sono impegnati e hanno lottato affinché nel nostro paese le porte si aprissero. Ma con questo il problema non è ancora risolto. Ora che la questione ci riguarda, si presenteranno nuove difficoltà. E come i locandieri di Betlemme avevano certamente buoni motivi per dire a quella coppia di coniugi che non c'era più posto per loro, così anche noi troveremo di sicuro motivi plausibili per negarci all'amore. Pensiamo però a una cosa: nella storia del dopoguerra resterà a gloria del popolo tedesco il fatto che un paese devastato, privo di mezzi, distrutto, abbia accolto milioni di profughi, a volte certo brontolando, ma in fin dei conti aprendo le loro porte. Avremmo avuto buoni motivi per tirarci indietro, per dire che ogni cosa era distrutta e che  noi stessi non avevamo niente. Avessimo spartito il nostro poco, a ciascuno di noi sarebbe rimasto meno di niente. E tuttavia abbiamo detto di sì. E oggi sappiamo che coloro che vedevano nell'altro il rivale che ci avrebbe tolto lo spazio vitale non avevano ragione. Sappiamo che il grande sviluppo economico e la saldezza morale della prima generazione tedesca del dopoguerra furono resi possibili in maniera determinante dalla forza morale, spirituale e umana di coloro che erano giunti nel nostro paese distrutto e che sono stati non dei rivali, ma delle energie per una nuova vita e un nuovo futuro. E conosciamo anche un esempio che è il contrario di questo. Nel Medio Oriente ai profughi dalla Palestina non è mai stata aperta una porta. Dove la persona è accolta e bene accetta, essa diventa una forza della creatività, della speranza e dell'amore, invece dove  essa è respinta produce un'intossicazione dalle proporzioni devastanti. E vediamo come questo focolaio di veleni non soltanto sconvolga e minacci fino alle radici il Medio Oriente, ma metta in pericolo anche tutto il mondo, perché il mondo è soltanto uno. Sarebbe una vera infamia se noi, che abbiamo potuto accogliere delle persone in una nazione distrutta, bombardata e saccheggiata facendo loro posto, ora nel nostro paese pieno di ricchezza dovessimo dire: "No, non abbiamo più posto!".

Ricerca d'asilo. Si riferisce a essa anche la colletta natalizia dell'Adveniat promossa dalla Chiesa. I popoli dell'America Latina bussano e ci chiedono di far partecipare anche loro al godimento dei beni di questo mondo, che sono dati per tutti. "Venne nella sua proprietà e i suoi non lo accolsero. 
A quanti però lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio". In quest'ora chiediamo a Dio che ci apra il cuore, rendiamoci capaci di sentire il suo bussare e di aprire le porte senza paura, accogliamolo,  diventando così suoi figli, figli del bambino nel quale in questa notte è sorta per il mondo la vera luce.
Amen

Omelia per il Natale del 1978

Da: Sul Natale (Lindau)

© 1978 Libreria Editrice Vaticana

lunedì 21 dicembre 2015

Benedetto XVI visita il "Bambino Gesù di Praga" (2009): ci fa percepire la vicinanza di Dio (YouTube)



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Il 26 settembre 2009, in occasione del suo Viaggio Apostolico nella Repubblica Ceca, Benedetto XVI si recò in visita Chiesa di Santa Maria della Vittoria di Praga dove è venerata l’effigie del Bambino Gesù, conosciuta dappertutto come il “Bambino di Praga”.
Il discorso integrale del Santo Padre è consultabile qui.

In particolare:

"L’immagine del Bambino Gesù fa subito pensare al mistero dell’Incarnazione, al Dio Onnipotente che si è fatto uomo, ed è vissuto per 30 anni nell’umile famiglia di Nazaret, affidato dalla Provvidenza alla premurosa custodia di Maria e di Giuseppe. Il pensiero va alle vostre famiglie e a tutte le famiglie del mondo, alle loro gioie e alle loro difficoltà. Alla riflessione uniamo la preghiera, invocando dal Bambino Gesù il dono dell’unità e della concordia per tutte le famiglie. Pensiamo specialmente a quelle giovani, che debbono fare tanti sforzi per dare ai figli sicurezza e un avvenire dignitoso. Preghiamo per le famiglie in difficoltà, provate dalla malattia e dal dolore, per quelle in crisi, disunite o lacerate dalla discordia e dall’infedeltà. Tutte le affidiamo al Santo Bambino di Praga, sapendo quanto sia importante la loro stabilità e la loro concordia per il vero progresso della società e per il futuro dell’umanità.

L’effigie del Bambino Gesù, con la tenerezza della sua infanzia, ci fa inoltre percepire la vicinanza di Dio e il suo amore. Comprendiamo quanto siamo preziosi ai suoi occhi perché, proprio grazie a Lui, siamo divenuti a nostra volta figli di Dio. Ogni essere umano è figlio di Dio e quindi nostro fratello e, come tale, da accogliere e rispettare. Possa la nostra società comprendere questa realtà! Ogni persona umana sarebbe allora valorizzata non per quello che ha, ma per quello che è, poiché nel volto di ogni essere umano, senza distinzione di razza e cultura, brilla l’immagine di Dio.

Questo vale soprattutto per i bambini. Nel Santo Bambino di Praga contempliamo la bellezza dell’infanzia e la predilezione che Gesù Cristo ha sempre manifestato verso i piccoli, come leggiamo nel Vangelo (cfr Mc 10,13-16). Quanti bambini invece non sono amati, né accolti, né rispettati! Quanti sono vittime della violenza e di ogni forma di sfruttamento da parte di persone senza scrupoli! Possano essere riservati ai minori quel rispetto e quell’attenzione loro dovuti: i bambini sono il futuro e la speranza dell’umanità.

Vorrei ora rivolgere una parola particolare a voi, cari bambini, e alle vostre famiglie. Siete venuti numerosi ad incontrarmi e per questo vi ringrazio di cuore. Voi, che siete i prediletti del cuore del Bambino Gesù, sappiate ricambiare il suo amore, e, seguendone l’esempio, siate ubbidienti, gentili e caritatevoli. Imparate ad essere, come Lui, il conforto dei vostri genitori. Siate veri amici di Gesù e ricorrete a Lui con fiducia sempre. Pregatelo per voi stessi, per i vostri genitori, parenti, maestri ed amici, e pregatelo anche per me. Grazie ancora per la vostra accoglienza e di cuore vi benedico, mentre su tutti invoco la protezione del Santo Bambino Gesù, della sua Madre Immacolata e di san Giuseppe".

domenica 20 dicembre 2015

Ecco le omelie di Pentling di Joseph Ratzinger (Nasca)

Clicca qui per leggere il commento.
Buona domenica a tutti :-)
R.

sabato 19 dicembre 2015

Joseph Ratzinger: La vita ha bisogno di sforzi, che significa anche: vale la pena sforzarsi. Lo sforzo non sfocia nel nulla (1986)

Clicca qui per leggere il bellissimo testo pronunciato dall'allora cardinale Ratzinger il 24 agosto 1986 a Pentling (Baviera).

sabato 5 dicembre 2015

San Francesco e il Presepe. Riflessioni del card. Joseph Ratzinger (1999)

Buon pomeriggio Amici! Uno dei prossimi giorni vorrei soffermarmi un po' con voi su questo "strano" Avvento e sui suoi risvolti.
Per ora mi piacerebbe richiamare la vostra attenzione su un bellissimo brano scritto dall'allora cardinale Ratzinger e che ha per argomento il Presepe ed in generale la Tradizione che rende così bello e particolare, anche a livello domestico, il Natale.
In questo periodo abbiamo ascoltato messaggi a dir poco assurdi sul Natale: scuole che vogliono cancellare i canti per non offendere chi ha fedi(e) diverse(a) ma anche e soprattutto vescovi che in nome della "pace", del "quieto vivere" sono disposti a fare un "passo indietro". Sì...passo indietro dopo passo indietro, senza guardare dove si va, si rischia di fare il classico capitombolo e di rompersi anche la testa.
E' questa la chiesa francescana tanto osannata dai media? Che strano!!! A me pare che San Francesco avesse tutta un'altra concezione delle tradizioni ed in particolare del Presepe.
Leggiamo il brano :-)
Raffaella

Grazie al sapiente lavoro della nostra Gemma possiamo leggere questo straordinario brano tratto dal testo "Immagini di speranza", una raccolta di meditazioni radiofoniche dell'allora cardinale Ratzinger. In questa atmosfera che ci conduce alla nascita del Salvatore, assaporiamo queste riflessioni.
Grazie ancora a Gemma :-)


(da Immagini di Speranza, Edizioni San Paolo 2005)

Il bue e l'asino del presepe

A Natale ci auguriamo di cuore che in mezzo a tutta la frenesia del presente questo tempo di festa ci porti in dono un po’ di riflessione e di gioia, di contatto con la bontà del nostro Dio e quindi nuovo coraggio per andare avanti.
All’inizio di una piccola riflessione su quello che la festa ci può dire oggi, un breve sguardo all’origine della celebrazione natalizia può esserci di grande aiuto.
L’anno liturgico della Chiesa innanzitutto non si è sviluppato guardando alla nascita di Cristo, ma dalla fede nella sua risurrezione. Per questo la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua. In effetti solo la risurrezione del Signore ha fondato la fede cristiana e ha così dato origine alla Chiesa.
Per questo già Ignazio di Antiochia (morto al più tardi verso il 117 d.C.) definisce i cristiani come “coloro che non osservano più il sabato, ma vivono secondo il giorno del Signore”: essere cristiani significa vivere in maniera pasquale, in virtù della risurrezione, che viene celebrata settimanalmente nella festa pasquale della domenica.
Il primo ad affermare con certezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma nel suo commento a Daniele, scritto verso il 204; Bo Reicke, già professore di esegesi a Basilea, ha inoltre richiamato l’attenzione sul calendario festivo, secondo il quale nel vangelo di Luca i racconti della nascita del Battista e della nascita di Gesù sono legati fra loro. Se ne potrebbe dedurre che Luca presuppone già nel suo vangelo la data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Allora in quel giorno si celebrava la festa della dedicazione del tempio istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. La data della nascita di Gesù verrebbe allora a simbolizzare che con lui, apparso come luce di Dio nella notte invernale, si realizzava veramente la consacrazione del tempio - l’avvento di Dio su questa terra.

Comunque stiano le cose, la festa del Natale ha assunto una fisionomia chiara nella cristianità solo nel secolo IV, allorché essa prese il posto della festa romana del “Sol invictus” e insegnò a concepire la nascita di Cristo come la vittoria della vera luce; il materiale raccolto da Bo Reicke ha dimostrato che questa trasformazione di una festa pagana in solennità cristiana ha fatto tesoro di un’antica tradizione giudeo-cristiana.
Tuttavia il calore umano particolare, che tanto ci commuove nella festa di Natale fino al punto d’aver sopravanzato nel cuore della cristianità la Pasqua, si è sviluppato soltanto nel Medioevo, allorché Francesco d’Assisi, profondamente innamorato dell’uomo Gesù, del Dio-con-noi, introdusse questo nuovo elemento. Il suo primo biografo, Tommaso da Celano, racconta così nella Vita Seconda: “Più di qualsiasi altra festa Francesco celebrava con una gioia indescrivibile il Natale. Diceva che questa era la festa delle feste, perché in questo giorno Dio è diventato un bambinello e ha succhiato il latte come tutti gli altri bambini.
Abbracciava con tenerezza e trasporto le immagini che rappresentavano Gesù Bambino e pronunciava pieno di compassione parole dolci come i pargoli. Sulle sue labbra il nome di Gesù era dolce come il miele”.
Da questa sensibilità scaturì poi la famosa celebrazione del Natale a Greccio, forse ispirata a Francesco dal suo pellegrinaggio in Terra Santa e al presepio di Santa Maria Maggiore in Roma.
Egli fu spinto dalla sua sete di vicinanza, di realtà, dal suo desiderio di rivivere in maniera quanto mai attuale Betlemme,di sperimentare direttamente la gioia della nascita del Bambino Gesù e di trasmetterla a tutti i suoi amici.
Nella sua prima biografia Celano parla della notte del presepio in un modo che rimane sempre toccante per la gente e che ha dato un contributo decisivo alla diffusione della più bella delle usanze natalizie, quella del presepio.
A buon diritto possiamo dunque dire che la notte di Greccio ha ridonato alla cristianità la festa del Natale, così che il suo messaggio più autentico, il suo particolare calore e la sua umanità, l’umanità del nostro Dio, ha potuto comunicarsi alle anime e donare alla fede una nuova dimensione.
La festa della risurrezione aveva concentrato lo sguardo sulla potenza di Dio che vince la morte e ci insegna a sperare nel mondo che verrà.
Ma ora veniva messo in evidenza l’amore inerme di Dio, la sua umiltà e la sua bontà che si manifesta in questo mondo in mezzo a noi e si propone di insegnarci un nuovo modo di vivere e di amare.
Forse può essere utile fermarci ancora un attimo su questo punto e chiedere: dove si trova questa Greccio, che si è caricata di un significato tanto grande per la storia della fede? Si tratta di una piccola località nella valle retina, in Umbria, situata a non troppa distanza da Roma, a nord est della città. Laghi e montagne hanno conferito a questo paese il suo particolare fascino e la sua silenziosa bellezza, che riesce a commuoverci ancor oggi, tanto più che non è quasi stato toccato dalla confusione del turismo di massa.
Il convento di Greccio, situato a 638 metri di altezza, ha conservato qualcosa della semplicità delle origini; è rimasto modesto, come il paesello ai suoi piedi. La foresta lo circonda come ai tempi del Poverello e ci invita a sostare e a riflettere. Celano ricorda che Francesco aveva una particolare predilezione per gli abitanti di questa località, proprio per la loro povertà e semplicità; egli sarebbe quindi venuto spesso da quelle parti per riposarsi , attratto anche da una cella estremamente povera e isolata , in cui poteva dedicarsi indisturbato alla contemplazione delle cose celesti.

Povertà, semplicità, silenzio dell’uomo e parlare della creazione: erano certo queste le impressioni che per il Santo di Assisi si legavano a questo luogo.
Esso divenne così la sua Betlemme e potè inscrivere nuovamente il mistero di Betlemme nella geografia delle anime.
Ma torniamo al Natale del 1223. Il terreno di Greccio era stato messo a disposizione del Poverello di Assisi da un nobile signore di nome Giovanni che, stando alle parole di Celano, per quanto di alto lignaggio e malgrado la sua posizione elevata, “non annetteva alcuna importanza alla nobiltà del sangue e cercava piuttosto di raggiungere la nobiltà dell’anima”, tanto da meritarsi l’affetto di Francesco.
Orbene, a proposito di questo Giovanni, Celano racconta che in quella notte egli ebbe la grazia di una visione meravigliosa. Vide immobile nella mangiatoia un bambinello, che fu risvegliato dal suo sonno dalla vicinanza di san Francesco. E aggiunge:
“Questa visione corrispondeva realmente a quanto stava avvenendo, perchè fino a quel momento Gesù Bambino era effettivamente caduto nel sonno della dimenticanza in molti cuori. Mediante il suo servo Francesco il suo ricordo venne ravvivato e impresso indelebilmente nella memoria”.
Questo quadro descrive con molta precisione la nuova dimensione, che mediante la sua fede viva e commossa, Francesco conferì alla festa cristiana del Natale: la scoperta della rivelazione di Dio racchiusa precisamente nel Bambino Gesù.
Proprio così Dio è davvero diventato “Emmanuele”, Dio-con-noi, da cui non ci separa alcuna barriera di eccellenza e di lontananza:come bambino si è fatto così vicino che possiamo dargli tranquillamente del tu e accedere direttamente al suo cuore infantile.
Nel Bambino Gesù si manifesta al massimo l’inermità dell’amore di Dio: Dio viene senza armi, perché non intende conquistare dall’esterno, bensì guadagnare e trasformare dall’interno. 
Se qualcosa è capace di vincere l’uomo, il suo despotismo, la sua violenza, la sua avidità, questa è l’inermità del bambino. Dio l’ha assunta per vincerci in questo modo e condurci a noi stessi.

Al riguardo non dimentichiamo che il massimo titolo di Gesù Cristo è quello di “Figlio”, di Figlio di Dio; la dignità divina viene indicata con un termine, che presenta Gesù come il bambino perenne. La sua condizione di bambino corrisponde in una maniera unica alla sua divinità, che è la divinità del “Figlio”.

Perciò essa è un’indicazione del modo in cui possiamo pervenire a Dio, alla divinizzazione. In questa luce vanno comprese le sue parole: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).
Chi non ha compreso il mistero di Natale, non ha compreso la cosa decisiva del cristianesimo. Chi non l’ha accettato, non può entrare nel regno dei cieli.
E’ questo che Francesco volle ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutte le epoche successive.
Seguendo le direttive di san Francesco, durante la Santa Notte furono sistemati nella grotta di Greccio un bue e un asino. Egli aveva infatti detto al nobile
Giovanni: “ Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Da allora il bue e l’asino fanno parte di tutti i presepi. Ma donde deriva questa usanza? Com’è noto, i racconti natalizi del Nuovo Testamento non ne fanno parola. Se approfondiamo questa domanda, scopriamo un particolare importante sia per le usanze natalizie, sia per la spiritualità liturgica e popolare natalizia e pasquale della Chiesa.
Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia 1,3 leggiamo infatti: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.

I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.
Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.
Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?
Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è ceca?
Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale. Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?

Orbene, a non riconoscere fu Erode. Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione(Mt 2,3). A non riconoscere fu “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).

A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” – se paragonati con queste persone rinomate -: i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è lui, non abitano le persone raffinate, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.
E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo? Non ci perdiamo anche noi in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di lui? Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare?
In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda: il mio popolo non comprende, comprendi tu la voce del tuo Signore?
Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di san Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia.