Dallo sportello alla tonaca Vita e opere di “don 500”
Monsignor Scarano, l’ex impiegato di banca diventato prete La Procura di Salerno lo ha indagato anche per riciclaggio
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Passo veloce, modi garbati, sorriso rassicurante. Il monsignore con la ventiquattr’ore era di casa in Curia ma lo si ricorda soprattutto per il soprannome «don 500» per la consuetudine con le banconote di grosso taglio. Chissà se la società internazionale «Spencer Stuart» che cura il rilancio d’immagine dello Ior aveva ipotizzato un correntista così ingombrante. In fondo monsignor Nunzio Scarano non aveva mai perso di vista la sua prima passione, quella per le banche e gli affari, passando dallo sportello della Banca d’America e d’Italia, dove fu impiegato fino al 1983, al mondo ovattato dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica, l’organismo che gestisce i beni della Santa Sede, complice la vocazione che lo portò a farsi prete nel 1987 a 35 anni. Una vocazione tardiva, come quella di un altro «prelato di denari», monsignor Renato Dardozzi, ingegnere e uomo di fiducia per la finanza del segretario di Stato Agostino Casaroli.
È singolare la parabola di Scarano, 61 anni, originario di Salerno, appartenente al clero della diocesi campana. Nel 1986 l’allora impiegato di banca prese i voti e l’anno dopo fu ordinato sacerdote. Addetto tecnico di prima categoria il suo esordio all’Apsa, di cui diventerà quel che si suol dire «un pezzo grosso» conosciuto ben oltre i confini del Vaticano, grazie anche alla partecipazione a diversi incontri pubblici sul ruolo dei cattolici nella società.
Il nome di Scarano finisce sotto i riflettori dell’opinione pubblica nei primi giorni di giugno di quest’anno, quando il responsabile del servizio di contabilità analitica dell’Apsa viene iscritto nel registro degli indagati della Procura di Salerno con l’accusa di riciclaggio in un’inchiesta su presunte donazioni, ritenute fittizie dall’accusa. Secondo l’ipotesi investigativa, in realtà le donazioni sarebbero servite a mascherare un maxi riciclaggio di denaro, che ruotava proprio intorno alla figura di Scarano. Il prelato avrebbe contattato alcune decine di persone (56 gli indagati tra Salerno e provincia) e avrebbe chiesto a ognuno di loro di compilare un assegno circolare da 10mila euro, spiegando di dover ripianare i debiti di una società immobiliare titolare di alcune case nel centro di Salerno. Quegli assegni, però, sarebbero stati solo una partita di giro, perché al momento della consegna i «donatori» avrebbero trovato sul tavolo l’equivalente in contanti, per risarcirli in toto dell’esborso.
Scarano, sospeso cautelativamente dal Vaticano nei giorni scorsi, ha sempre negato ogni addebito. Ma proprio sull’origine delle sue ingenti disponibilità finanziarie e immobiliari (è titolare di due conti correnti allo Ior) la Procura di Roma vuole veder chiaro.
Ieri la nuova accusa che lo ha portato in carcere perché ritenuto responsabile di un’attività di illecita importazione in Italia, poi fallita, di 20 milioni di euro in contanti dalla Svizzera per conto degli armatori Paolo, Cesare e Maurizio D’Amico, nell’ambito di un filone dell’inchiesta romana sullo Ior. Accuse gravi, tanto più per un prelato, da cui ora «don 500», recluso nel carcere di Regina Coeli, dovrà difendersi. Vite parallele con don Evaristo Biasini, soprannominato «don Bancomat»: comparve nelle indagini avviate a Perugia sulla cosiddetta «cricca» degli appalti per i grandi eventi. Il sospetto era che il sacerdote, ex economo della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo sangue e amico di Diego Anemone, costruttore romano al centro dell’indagine, custodisse fondi neri. In varie operazioni da lui annotate ricorre l’Istituto opere religione. Ma ora le vie dello Ior non sembrano più infinite.
© Copyright La Stampa, 29 giugno 2013
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