martedì 7 maggio 2013

Il Signore chiama a salire sul monte. Un appello rivolto a tutta la Chiesa e accolto da Benedetto XVI (Chiarinelli)


Un appello rivolto a tutta la Chiesa e accolto da Benedetto XVI

Il Signore chiama a salire sul monte

di Lorenzo Chiarinelli*

Gesù, con chiarezza, aveva parlato ai discepoli, «a tutti», annota il vangelo: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà!». Sorpresa, delusione, sconcerto. Otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e «salì sul monte a pregare». 
E lì il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè e Elia e parlavano del suo esodo. Pietro, frastornato, disse a Gesù: «Maestro è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne». Ma -- commenta il vangelo -- «non sapeva quello che diceva». Mentre parlava ecco l'ombra avvolgente della nube, la paura e la voce: «Questi è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo». Il giorno seguente, quando furono discesi dal monte, una grande folla venne incontro a Gesù (cfr. Luca, 9, 23-37).
Il grande iconografo Teofane il Greco, nel 1378, a Novgorod (Russia), ha rappresentato la scena della Trasfigurazione con una icona di straordinaria bellezza e di ineffabili suggestioni. In alto si vedono tre figure: Gesù, completamente bianco, sfolgorante come il sole, alla sua destra e alla sua sinistra Mosè ed Elia. Essi si trovano su tre picchi rocciosi, dove è difficile rimanere: come a dire che stare sul monte non è adagiarsi sull'erba, ma stare sulla roccia dura, arida; comporta fatica, rischio; richiede coraggio, equilibrio, passione. Ed è significativo guardare i tre discepoli presenti. Oltre a essere impauriti dinanzi alla luce di Gesù e alla nube, sono sconvolti. Uno, alla destra -- forse Giacomo -- è precipitato all'indietro, rovesciato con la testa in giù e si copre la faccia con le mani. Sembra dire: è troppo grande per me, non riesco guardare, non capisco niente. Un altro, nel mezzo -- forse Giovanni -- è pensoso, sembra entrato in un orizzonte inafferrabile e inesprimibile e si copre la bocca con la mano. Non guarda Gesù; riflette tra sé e sé; avverte il mistero. Il terzo -- forse Pietro -- sembra avere più coraggio e pur essendo assai timoroso pare intenzionato a intervenire, a prendere parte all'avvenimento.
Non può sfuggire come sia Teofane che altri iconografi portino sul monte il peso che è proprio dell'umanità, il richiamo della pianura e la fatica della “metamorfosi”. La Trasfigurazione, la festa della luce, ha pieno compimento solo quando ogni oscurità si dilegua. Allora è “trasfigurazione”.
Il monte -- come luogo fisico e come metafora -- è assai familiare al linguaggio biblico, alla tradizione ascetico-mistica, alla riflessione spirituale. Accanto ai monti dei grandi eventi dell'Antico Testamento (basti ricordare il monte Moria, il Sinai o Horeb, il Nebo, il Libano, il Carmelo), c'è perfino un appellativo divino (di derivazione accadica) legato ai monti: El-Shaddai (“Dio delle montagne”), come è chiamato Dio nell'epoca dei patriarchi (Genesi, 17, 1; 28, 3; 43, 14; 48, 3; 49, 25; cfr. 1 Re, 20, 23). E c'è l'esperienza di Gesù: i vangeli, oltre al monte della Trasfigurazione, il Tabor (della tradizione), ricordano Gesù che sale «sulla montagna» a pregare di giorno e di notte (cfr. Luca, 6, 12); che sale sul monte e proclama le beatitudini e traccia l'orizzonte del suo insegnamento di vita nuova, detto appunto «discorso della montagna» (cfr. Matteo, 5-6-7). C'è il monte degli Ulivi (cfr. Matteo, 26, 30; Atti degli apostoli, 1, 12) e, anche la bassa collina del Golgota dove Gesù fu crocifisso (cfr. Giovanni, 19, 17-18), fu detta monte Calvario.
Come non ricordare La salita al monte Carmelo di san Giovanni della Croce o La montagna dalle sette balze di Thomas Merton. Del resto nei Salmi è ricorrente la “poesia dei monti” come luoghi simbolici della presenza di Dio: verso i monti innalza gli occhi il credente in attesa di aiuto (cfr. Salmi, 121) e stare sul monte è spazio per sperimentare la pace, la gioia (cfr. Salmi, 15).
«L'esistenza cristiana consiste in un continuo salire sul monte dell'incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio». 
Così aveva scritto Papa Benedetto XVI proprio nel messaggio (15 ottobre 2012) per la quaresima del 2013. 
E, proprio all'inizio della quaresima Benedetto XVI compie il gesto sorprendente e deciso di rinunciare, con piena libertà, al ministero di vescovo di Roma, Successore di san Pietro. 
Poi, all'Angelus della domenica della Trasfigurazione, colloca questo gesto, con la sua gravità e novità, nel «continuo salire sul monte» che qualifica l'esistenza cristiana e con lucidità e affetto traboccante confida: «Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Grazie! Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in modo più adatto alla mia età e alle mie forze» (24 febbraio 2013).
Mistero inafferrabile dell'azione di Dio. Il gesto di Papa Benedetto XVI è segnato da lucida consapevolezza della sua gravità, è espresso in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo e aver esaminato davanti a Dio la sua coscienza ed è contemporaneamente un atto di fede nella certezza che la Chiesa è di Cristo e che questa “rinuncia” è una “chiamata”, una vocazione, un segno della presenza del suo Signore nel cammino della Chiesa. E la riflessione di fede corre allora spontaneamente a Cesarea agli inizi dell'avventura missionaria della Chiesa. Pietro, confortato da divina ispirazione, si reca da Giaffa a Cesarea e, guidato dai segni dello Spirito Santo, battezza Cornelio, il centurione, e la sua famiglia. Quando, poi, a Gerusalemme viene interpellato e “rimproverato” per l'accaduto così inusuale e imprevisto, risponde: «Chi ero io per porre impedimento a Dio?» (Atti degli apostoli, 11, 17).
«Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». 
Così Benedetto XVI ai cardinali riuniti in concistoro (11 febbraio 2013). 
Credo la Chiesa! Essa è nella mano di Dio: «Vidi sette candelabri d'oro e in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo (…) che teneva nella sua destra sette stelle (…): le sette stelle sono gli angoli delle sette Chiese e i sette candelabri sono le sette Chiese» (Apocalisse, 1, 12-20). È la grande visione dell'Apocalisse: da parte di Dio è garanzia di presenza, per noi è certezza di speranza. Siamo, infatti nel tempo del pellegrinaggio: bisogna camminare verso la patria del compimento. «Sali quassù» è l'invito (Apocalisse, 4, 1). «Ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell'Agnello» (Apocalisse, 21, 9). La Chiesa non è ancora lassù. Essa -- ci ha ricordato il concilio -- «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga. Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce» (Lumen gentium, 8). Siamo, allora, lassù con la mente e il cuore, con il desiderio e la preghiera. Ma bisogna ancora salire. Qui, nella pianura, ci sono le nebbie, le paludi; ci sono sentieri impervi e tortuosi; ci sono terreni fangosi, come pure sono aride e sterili. Bisogna salire.
Grazie, Benedetto XVI. Colui che ha chiamato il Papa a «salire sul monte» e ha trovato risposta generosa, libera e senza riserve, è per tutta la Chiesa appello a salire. Solo lassù la Chiesa sarà «senza macchia né ruga o alcunché di simile» (Efesini, 5, 27), ma ora, quaggiù, camminando nella tribolazione è chiamata a lavare le sue vesti, «rendendole candide nel sangue dell'Agnello» (Apocalisse, 7, 14). 
E la accompagnano, con dedizione e libertà, la preghiera e l'amore ineffabile di Joseph Ratzinger.

*Vescovo emerito di Viterbo

 (©L'Osservatore Romano 8 maggio 2013)

1 commento:

Anonimo ha detto...

OT
il Boston College, Università gesuita di dubbia identità cattolica, sta pianificando di invitare a tenere il discorso di inizio (dell'anno accademico, suppongo) e conferire la laurea honoris causa in legge a nientepopodimeno che Enda Kenny PM irlandese abortista e famigerato per l'ingiusto attacco contro Papa Benedetto, grrr. Motivazioni: la sua posizione centro progressista e il suo impegno per la giustizia sociale.
Nessun commento dall'arcidiocesi di Boston, chiamata in causa dalla Catholic Action League, se non la ridicola scusa che il card. O'Malley non parteciperà per altri impegni alla cerimonia di inizio. E' vivamente richiesto l'intervento di Papa Bergoglio e del card. O'Malley (uno del magnifici 8 di Francesco) per fermare questa oscenità.
http://protectthepope.com/?p=7221
Alessia