domenica 26 novembre 2017

Gli araldi della primavera indignati per l'intervista di Franco al card. Müller (R.)

Clicca qui per leggere l'intervista integrale che tanto sta allarmando vaticanisti e commentatori.
Non mi pare che il cardinale minacci uno scisma o addirittura lanci avvertimenti in "alto loco" come mi è capitato di leggere qua e là sui siti e sui social. Semplicemente, da teologo e profondo conoscitore dell'Europa e della sua storia (e, essendo tedesco, dello scisma luterano), mette in guardia la chiesa dal rischio di una "dinamica scismatica, difficile poi da recuperare".
Non si deve avere paura di chi, come Müller o come i cardinali firmatari dei "dubia", parla chiaramente, ma di chi resta in silenzio per interesse personale (leggi: per fare carriera) o per paura (incredibile il fatto che sia sufficiente il "chiacchiericcio" di qualcuno per decretare il "licenziamento" del Prefetto della CDF).
C'è poi un altro grande silenzio che dovrebbe seriamente preoccupare le alte sfere: il crescente silenzio dei fedeli che si identifica con la totale indifferenza verso la chiesa e, purtroppo, spesso verso i Sacramenti.
Quanto poi alla presunta popolarità del nuovo corso, non prenderei per oro colato ciò che dicono o scrivono i mass media. Vedo sempre più disaffezione e tante spalle alzate quando si parla di questioni che hanno a che fare con la gerarchia ecclesiastica.
Non a caso si moltiplicano le iniziative "private" come la recita del Santo Rosario nelle chiese, nelle scuole e anche presso i confini degli Stati (iniziative che tanto disturbano quando non mandano su tutte le furie gli araldi). Non è certo la recita del Rosario che deve preoccupare...anzi! Ben venga! Semmai è la chiesa gerarchica che dovrebbe chiedersi come mai i fedeli sentano il bisogno di organizzarsi da soli indipendentemente se non a dispetto dei pastori.
Buona domenica a tutti :-)
R.

lunedì 20 novembre 2017

Benedetto XVI e San Bonaventura (playlist)

Benedettto XVI: la categoria più alta per san Tommaso è il vero, per san Bonaventura è il bene (YouTube)

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Il 17 marzo 2010, in occasione dell'udienza generale, Benedetto XVI dedicò la terza catechesi a San Bonaventura. Si soffermò in particolare sul rapporto fra Bonaventura e San Tommaso d'Aquino e sul modo diverso di concepire la teologia.
Il testo della integrale della catechesi si trova qui.
Abbiamo già avuto modo di ascoltare le prime due catechesi su San Bonaventura. I link sono riprodotti qui sotto e nel post precedente.
Grazie come sempre a Gemma per il lavoro svolto :-)

Prima catechesi su San Bonaventura

Seconda catechesi su San Bonaventura.

In particolare:

continuando la riflessione di mercoledì scorso, vorrei approfondire con voi altri aspetti della dottrina di san Bonaventura da Bagnoregio. Egli è un eminente teologo, che merita di essere messo accanto ad un altro grandissimo pensatore, suo contemporaneo, san Tommaso d’Aquino. Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata. 
Una prima differenza concerne il concetto di teologia. Ambedue i dottori si chiedono se la teologia sia una scienza pratica o una scienza teorica, speculativa. San Tommaso riflette su due possibili risposte contrastanti. La prima dice: la teologia è riflessione sulla fede e scopo della fede è che l’uomo diventi buono, viva secondo la volontà di Dio. Quindi, lo scopo della teologia dovrebbe essere quello di guidare sulla via giusta, buona; di conseguenza essa, in fondo, è una scienza pratica. L’altra posizione dice: la teologia cerca di conoscere Dio. Noi siamo opera di Dio; Dio sta al di sopra del nostro fare. Dio opera in noi l’agire giusto. Quindi si tratta sostanzialmente non del nostro fare, ma del conoscere Dio, non del nostro operare. La conclusione di san Tommaso è: la teologia implica ambedue gli aspetti: è teorica, cerca di conoscere Dio sempre di più, ed è pratica: cerca di orientare la nostra vita al bene. Ma c’è un primato della conoscenza: dobbiamo soprattutto conoscere Dio, poi segue l’agire secondo Dio (Summa Theologiae Ia, q. 1, art. 4). Questo primato della conoscenza in confronto con la prassi è significativo per l’orientamento fondamentale di san Tommaso.

La risposta di san Bonaventura è molto simile, ma gli accenti sono diversi. San Bonaventura conosce gli stessi argomenti nell’una e nell’altra direzione, come san Tommaso, ma per rispondere alla domanda se la teologia sia una scienza pratica o teorica, san Bonaventura fa una triplice distinzione – allarga, quindi, l’alternativa tra teorico (primato della conoscenza) e pratico (primato della prassi), aggiungendo un terzo atteggiamento, che chiama “sapienziale” e affermando  che la sapienza abbraccia ambedue gli aspetti. E poi continua: la sapienza cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione “ut boni fiamus” - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni (cfr Breviloquium, Prologus, 5). Poi aggiunge: “La fede è nell’intelletto, in modo tale che provoca l’affetto. Ad esempio: conoscere che Cristo è morto “per noi” non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore” (Proemium in I Sent., q. 3).

Nella stessa linea si muove la sua difesa della teologia, cioè della riflessione razionale e metodica della fede. San Bonaventura elenca alcuni argomenti contro il fare teologia, forse diffusi anche in una parte dei frati francescani e presenti anche nel nostro tempo: la ragione svuoterebbe la fede, sarebbe un atteggiamento violento nei confronti della parola di Dio, dobbiamo ascoltare e non analizzare la parola di Dio (cfr Lettera di san Francesco d’Assisi a sant’Antonio di Padova). A questi argomenti contro la teologia, che dimostrano i pericoli esistenti nella teologia stessa, il Santo risponde: è vero che c’è un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia, il lavoro razionale della vera e della buona teologia ha un’altra origine, non la superbia della ragione. Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato; la vera teologia non impegna la ragione e la sua ricerca motivata dalla superbia, “sed propter amorem eius cui assentit” – “motivata dall’amore di Colui, al quale ha dato il suo consenso” (Proemium in I Sent., q. 2), e vuol meglio conoscere l’amato: questa è l’intenzione fondamentale della teologia. Per san Bonaventura è quindi determinante alla fine il primato dell’amore".


Di conseguenza, san Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario.
Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità.

In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene. Sarebbe sbagliato vedere in queste due risposte una contraddizione. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità della fede, una nella diversità delle sue espressioni.

Ritorniamo a san Bonaventura. E’ evidente che l’accento specifico della sua teologia, del quale ho dato solo un esempio, si spiega a partire dal carisma francescano: il Poverello di Assisi, al di là dei dibattiti intellettuali del suo tempo, aveva mostrato con tutta la sua vita il primato dell’amore; era un’icona vivente e innamorata di Cristo e così ha reso presente, nel suo tempo, la figura del Signore – ha convinto i suoi contemporanei non con le parole, ma con la sua vita. In tutte le opere di san Bonaventura, proprio anche le opere scientifiche, di scuola, si vede e si trova questa ispirazione francescana; si nota, cioè, che egli pensa partendo dall’incontro col Poverello d’Assisi.

sabato 11 novembre 2017

Pare che…(Valli)

Clicca qui per leggere l'articolo.
Il testo è esilarante ma anche ricco di spunti di riflessione...

venerdì 3 novembre 2017

Caso Weinandy (e tanti altri). Questa chiesa è troppo misericordiosa per me (Raffaella)

Cari amici,
il caso Weinandy (clicca qui) è solo l'ultimo in ordine di tempo. In questi anni quante di queste rimozioni e quanti "inviti" alle dimissioni abbiamo visto?
Eppure nessuno fiata. I mass media tacciono come tace la maggioranza dei preti, dei vescovi e dei cardinali.
Che cosa sarebbe successo se ai tempi di Benedetto XVI si fosse agito in questo modo? Non oso immaginare le vesti stracciate e i capelli strappati. Ora invece tutto va bene perché fa comodo così.
Bella coerenza, complimenti!
Peggio per loro (media e clero) perché, se al prossimo giro le cose dovessero cambiare, non potranno prendersela nuovamente con le vesti e i capelli, pena l'accusa di doppiopesismo e incoerenza. Certo...sappiamo bene che accuse del genere non li fermererebbero :-)
Quindi prepariamoci: se al prossimo giro la Chiesa tornerà a essere invisa al mondo, riprenderanno gli strali contro Papa e Vaticano. Insomma: tornerà tutto alla normalità :-)
Noi però ci troviamo a commentare il presente.
Strana questa chiesa così misericordiosa con molti (ma non con tutti), che si dice pronta anche ad accogliere le critiche (purché siano rivolte agli avversari) e ad ascoltare chiunque (purchè sia in sintonia con il nuovo corso).
Sì, è davvero strana, ma è colpa mia: questo eccesso di misericordia non fa per me :-)
Preferivo i vecchi autunni e i lontani inverni, quando la Chiesa veniva osteggiata da Scalfari, dai radicali e dai media (che piacciono alla gente che piace), ma che permetteva a un card. Martini di definirsi addirittura un ante Papa, a un don qualunque di andare in tv a sparlare del Pontefice, a una qualunque comica di prendersela con il Vaticano una settimana sì e l'altra pure, a un Kung di rilasciare interviste al vetriolo (poi puntualmente tradotte in italiano dal quotidiano diventato ora l'organo ufficioso delle sacre stanze) ecc. ecc. ecc.
Eh sì...è colpa mia! Purtroppo sono convinta che recitare un Rosario non sia MAI una provocazione e che, anzi, dovremmo farlo tutti e sempre più spesso.
Vedo sempre più lontana questa chiesa dall'alto tasso di benevolenza e penso che questo sia un male. Finchè ci si confronta, si dialoga e si muovono critiche, anche dure (noi del blog l'abbiamo sempre fatto con la curia, per esempio), si può essere sicuri che c'è interesse e affetto per l'istituzione (non mi riferisco alla fede ovviamente). Quando si passa all'alzata di spalle e al disinteresse, non c'è nulla di cui rallegrarsi.
Leggo che in tanti, non solo fra i preti ma anche fra i vescovi, la pensano come Weinandy e allora mi chiedo: perché non parlano? Per paura? Non è un atteggiamento corretto permettere che sia solo uno a mettere la faccia e la firma su una lettera garantendo solo un appoggio "esterno" e anonimo.
D'altra parte i cultori del nuovo corso non possono dormire sonni tranquilli.
Se mai la pax mediatica si dovesse incrinare o se, per qualsiasi ragione, la primavera dovesse in qualche modo venire turbata da venti o tempeste, gli araldi della rivoluzione sarebbero i primi a cambiare bandiera. 
Chi ora tace per paura sfogherebbe in un attimo la propria rabbia.
Chi brama e trama per un posto al sole non esiterebbe un secondo a saltare sul carro del vincitore.
Tutta questa struttura misericordiosa mi ricorda un po' il classico gigante con i piedi di argilla o, se vogliamo, il più banale castello di sabbia.
Le rimozioni e gli inviti alle dimissioni mi ricordano, invece, uno dei capolavori di Agatha Christie, "Dieci piccoli indiani".
Chi ha letto il libro o ha visto una delle tante rappresentazioni teatrali e cinematografiche sa benissimo come la storia va a finire :-)
R.

Dialogo e misericordia colpiscono ancora. Dimesso il teologo Thomas Weinandy (Tosatti e Magister)

Clicca qui per leggere la notizia e il commento di Marco Tosatti.
Qui il testo della lettera di Thomas Weinandy.

giovedì 2 novembre 2017

Benedetto XVI: La morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo (YouTube)



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Il 3 novembre 2012, in occasione della Santa Messa in suffragio dei vescovi e dei cardinali defunti durante l'anno, Benedetto XVI tenne un'omelia sul vero significato della morte per un cristiano.
Il testo si trova qui.
Oggi ricordiamo particolarmente tutti i nostri cari defunti che si sono addormentati nell'attesa della Risurrezione e in modo speciale la nostra Mariateresa.
Grazie come sempre a Gemma per il video!
R.

La trascrizione:

"Nei nostri cuori è presente e vivo il clima della comunione dei Santi e della commemorazione dei fedeli defunti, che la liturgia ci ha fatto vivere in modo intenso nelle celebrazioni dei  giorni scorsi. 
In particolare, la visita ai cimiteri ci ha permesso di rinnovare il legame con le persone care che ci hanno lasciato; la morte, paradossalmente, conserva ciò che la vita non può trattenere. 
Come i nostri defunti hanno vissuto, che cosa hanno amato, temuto e sperato, che cosa hanno rifiutato, lo scopriamo, infatti, in modo singolare proprio dalle tombe, che sono rimaste quasi come uno specchio della loro esistenza, del loro mondo: esse ci interpellano e ci inducono a riannodare un dialogo che la morte ha messo in crisi. 
Così, i luoghi della sepoltura costituiscono come una sorta di assemblea, nella quale i vivi incontrano i propri defunti e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere. 
E qui a Roma, in quei cimiteri peculiari che sono le catacombe, avvertiamo, come in nessun altro luogo, i legami profondi con la cristianità antica, che sentiamo così vicina. Quando ci inoltriamo nei corridoi delle catacombe romane - come pure in quelli dei cimiteri delle nostre città e dei nostri paesi -, è come se noi varcassimo una soglia immateriale ed entrassimo in comunicazione con coloro che lì custodiscono il loro passato, fatto di gioie e di dolori, di sconfitte e di speranze. Ciò avviene, perché la morte riguarda l’uomo di oggi esattamente come quello di allora; e anche se tante cose dei tempi passati ci sono diventate estranee, la morte è rimasta la stessa.

Di fronte a questa realtà, l’essere umano di ogni epoca cerca uno spiraglio di luce che faccia sperare, che parli ancora di vita, e anche la visita alle tombe esprime questo desiderio. 
Ma come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Rispondiamo con la fede in Dio, con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo. La fede ci dice che la vera immortalità alla quale aspiriamo non è un’idea, un concetto, ma una relazione di comunione piena con il Dio vivente: è lo stare nelle sue mani, nel suo amore, e diventare in Lui una cosa sola con tutti i fratelli e le sorelle che Egli ha creato e redento, con l’intera creazione. 
La nostra speranza allora riposa sull’amore di Dio che risplende nella Croce di Cristo e che fa risuonare nel cuore le parole di Gesù al buon ladrone: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). 
Questa è la vita giunta alla sua pienezza: quella in Dio; una vita che noi ora possiamo soltanto intravedere come si scorge il cielo sereno attraverso la nebbia".

mercoledì 1 novembre 2017

Benedetto XVI ai giovani inglesi: "Quando vi invito a diventare santi, vi sto chiedendo di non accontentarvi di seconde scelte. Vi sto chiedendo di non perseguire un obiettivo limitato, ignorando tutti gli altri" (YouTube)



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Il 17 settembre 2010, in occasione del suo Viaggio Apostolico nel Regno Unito, Benedetto XVI incontrò gli studenti delle scuole e dei collegi cattolici del Regno Unito. Parlò in maniera splendida della santità e invitò tutti ad aspirare ad essa.
Il testo integrale si trova qui.
Grazie a Gemma per il bellissimo lavoro :-)


Ecco la trascrizione del testo del video:

"Non capita spesso ad un Papa — in verità nemmeno a qualsiasi altra persona — l’opportunità di parlare contemporaneamente agli studenti di tutte le scuole cattoliche dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia. E dal momento che ora io ho questa possibilità, c’è qualcosa che mi sta davvero molto a cuore di dirvi. Ho la speranza che fra voi che oggi siete qui ad ascoltarmi vi siano alcuni dei futuri santi del ventunesimo secolo. La cosa che Dio desidera maggiormente per ciascuno di voi è che diventiate santi. Egli vi ama molto più di quanto voi possiate immaginare e desidera per voi il massimo. E la cosa migliore di tutte per voi è di gran lunga il crescere in santità.
Forse alcuni di voi non ci hanno mai pensato prima d’ora. Forse alcuni pensano che essere santi non sia per loro. Lasciatemi spiegare cosa intendo dire. Quando si è giovani, si è soliti pensare a persone che stimiamo e ammiriamo, persone alle quali vorremmo assomigliare. Potrebbe trattarsi di qualcuno che incontriamo nella nostra vita quotidiana e che teniamo in grande stima. Oppure potrebbe essere qualcuno di famoso. Viviamo in una cultura della celebrità ed i giovani sono spesso incoraggiati ad avere come modello figure del mondo dello sport o dello spettacolo. Io vorrei farvi questa domanda: quali sono le qualità che vedete negli altri e che voi stessi vorreste maggiormente possedere? Quale tipo di persona vorreste davvero essere?

Quando vi invito a diventare santi, vi sto chiedendo di non accontentarvi di seconde scelte. Vi sto chiedendo di non perseguire un obiettivo limitato, ignorando tutti gli altri. Avere soldi rende possibile essere generosi e fare del bene nel mondo, ma, da solo, non è sufficiente a renderci felici. Essere grandemente dotati in alcune attività o professioni è una cosa buona, ma non potrà mai soddisfarci, finché non puntiamo a qualcosa di ancora più grande. Potrà renderci famosi, ma non ci renderà felici. La felicità è qualcosa che tutti desideriamo, ma una delle grandi tragedie di questo mondo è che così tanti non riescono mai a trovarla, perché la cercano nei posti sbagliati. La soluzione è molto semplice: la vera felicità va cercata in Dio. 

Abbiamo bisogno del coraggio di porre le nostre speranze più profonde solo in Dio: non nel denaro, in una carriera, nel successo mondano, o nelle nostre relazioni con gli altri, ma in Dio. Lui solo può soddisfare il bisogno più profondo del nostro cuore.
Dio non solo ci ama con una profondità e intensità che difficilmente possiamo immaginare: egli ci invita a rispondere a questo amore. Tutti voi sapete cosa accade quando incontrate qualcuno di interessante e attraente, come desideriate essere amici di quella persona. Sperate sempre che quella persona vi trovi a sua volta interessanti ed attraenti e voglia fare amicizia con voi. Dio desidera la vostra amicizia. E, una volta che voi siete entrati in amicizia con Dio, ogni cosa nella vostra vita inizia a cambiare. Mentre giungete a conoscerlo meglio, vi rendete conto di voler riflettere nella vostra stessa vita qualcosa della sua infinita bontà. Siete attratti dalla pratica della virtù. Incominciate a vedere l’avidità e l’egoismo, e tutti gli altri peccati, per quello che realmente sono, tendenze distruttive e pericolose che causano profonda sofferenza e grande danno, e volete evitare di cadere voi stessi in quella trappola. Incominciate a provare compassione per quanti sono in difficoltà e desiderate fare qualcosa per aiutarli. Desiderate venire in aiuto al povero e all’affamato, confortare il sofferente, essere buoni e generosi. Quando queste cose iniziano a starvi a cuore, siete già pienamente incamminati sulla via della santità".