sabato 31 dicembre 2016

Benedetto XVI visita il presepe di Piazza San Pietro, 31 dicembre 2008 (YouTube)



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Buon San Silvestro, carissimi amici :-)
Grazie alla nostra Gemma facciamo un salto temporale di otto anni e andiamo al 31 dicembre 2008, in occasione della tradizionale visita di Papa Benedetto al presepe di Piazza San Pietro, dopo la celebrazione dei Vespri e il canto del Te Deum di ringraziamento.
Un abbraccio a tutti.
R.

giovedì 29 dicembre 2016

Cardinali e "dubia" con predica e autogol di Boff

Clicca qui per leggere il commento.
In realtà io ho ben poco da commentare salvo restare nell'angolo e vedere uno spettacolo poco edificante (e non mi riferisco ai "dubia", legittimi, dei cardinali).
R.

mercoledì 28 dicembre 2016

Stanotte a San Pietro (speciale di Alberto Angela)

Clicca qui per vedere o rivedere un programma davvero straordinario, degno del servizio pubblico radiotelevisivo.
Alberto Angela ci conduce nelle meraviglie di San Pietro e dei Musei Vaticani. Una bella occasione per ricordarci che il Cattolicesimo è anche arte, filosofia, poesia, musica, letteratura...
In questi anni questi aspetti sono stati messi in ombra ma è ora che riconquistino il loro giusto spazio :-)
R.

domenica 25 dicembre 2016

Buon Natale con Benedetto XVI e i bambini (La Vigna del Signore)




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Grazie di cuore per questo bellissimo video e buon Natale :-)
R.

Joseph Ratzinger: quel bambino, il Figlio unigenito di Dio, è posto come segno e garanzia che, nella storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, proprio a quel bambino lì, che è la verità e l’amore (1960)

Le parole di RATZINGER

Il Natale e quel bambino che ci libera dalla paura

«La paura è la speranza» è l’ultima di tre meditazioni sul Natale scritte tra il 1959 e il 1960 da un trentenne Joseph Ratzinger. La nascita di Gesù come risposta alla paura che non è più quella delle tenebre, ma piuttosto dall’oscurità nel cuore degli uomini

di Joseph Ratzinger 

Il testo che presentiamo «La paura e la speranza», è l’ultima di tre meditazioni sul Natale pubblicate in Germania in una raccolta a uso didattico sul rapporto tra dogma e predicazione (Dogma und Verkündigung, München, 1973) e scritte tra il 1959 e il 1960 dall’allora trentenne Joseph Ratzinger. Ora vengono pubblicate nel libro «Gesù di Nazaret. Scritti di cristologia», volume 6/2 dell’opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI che esce in Italia, a cura di Pierluca Azzaro, presso la Libreria Editrice Vaticana

Le luci di Natale risplendono di nuovo nelle nostre strade, l’«operazione Natale» è in pieno svolgimento. E per un istante anche la Chiesa viene fatta partecipe, per così dire, della congiuntura favorevole: quando cioè, nella Notte santa, le chiese si stipano di tanta gente che però, in seguito, per molto tempo passerà ancora dinanzi alle loro porte come a qualcosa di molto lontano ed estraneo, come a qualcosa che non la riguarda. Eppure, in questa notte, per un istante Chiesa e mondo sembrano riconciliarsi. Ed è bello! Le luci, l’incenso, la musica, lo sguardo delle persone che ancora credono; e, infine, il misterioso, antico messaggio del bambino che nacque molto tempo fa a Betlemme ed è chiamato il redentore del mondo: «Cristo, il salvatore, è qui!». Questo ci commuove; eppure, i concetti che in quel momento udiamo - «redenzione», «peccato», «salvezza» - suonano come parole che ci giungono da un mondo lontano, da un tempo ormai passato: forse era bello quel mondo, ma, in ogni caso, non è più il nostro. O lo è invece? 
Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento diffuso molto simile al nostro. Si trattava di un mondo in cui il «crepuscolo degli dei» non era un modo di dire, ma un fatto reale. Tutt’a un tratto, gli antichi dèi erano divenuti irreali: non esistevano più e gli uomini non potevano più credere in quello che, per generazioni, aveva dato senso alla loro vita. Ma l’uomo non può vivere senza un senso, ne ha bisogno come del pane quotidiano. E così, tramontati gli antichi astri, egli dovette cercare nuove luci. Ma dov’erano? 
Una corrente abbastanza diffusa gli offriva come alternativa il culto della «luce invitta», del sole, che giorno dopo giorno fa il suo corso sulla terra, sicuro di vincere e forte quasi come un dio visibile di questo mondo. Il 25 dicembre, al centro com’è dei giorni del solstizio invernale, soleva essere commemorato annualmente come il giorno natalizio della luce che si rigenera in tutti i tramonti, garanzia radiosa che, in tutti i tramonti delle luci caduche, la luce e la speranza del mondo non vengono meno e che da tutti i tramonti si diparte una strada che conduce a un nuovo inizio. Le liturgie della religione del sole molto abilmente si erano così appropriate di una paura e insieme di una speranza originarie dell’uomo. L’uomo primitivo, che un tempo avvertiva l’arrivo dell’inverno nel progressivo allungarsi delle notti d’autunno e nel progressivo indebolirsi della forza del sole, ogni volta si era chiesto pieno di paura: «Il sole dorato ora morirà? Ritornerà? O non sarà vinto quest’anno (o in uno degli anni a venire) dalle forze malvagie delle tenebre, tanto da non ritornare mai più?». Sapere che ogni anno tornava un nuovo solstizio d’inverno dava in fondo la certezza della sempre nuova vittoria del sole, del suo certo, perpetuo ritorno. È la festa in cui si compendia la speranza, anzi, la certezza dell’indistruttibilità delle luci di questo mondo. Quest’epoca, nella quale alcuni imperatori romani, con il culto del sole invitto, cercarono di dare ai loro sudditi una nuova fede, una nuova speranza, un nuovo senso in mezzo all’inarrestabile crollo delle antiche divinità, coincise col tempo in cui la fede cristiana tentò di guadagnare il cuore dell’uomo greco-romano. Ed essa trovò proprio nel culto del sole uno dei suoi antagonisti più insidiosi. Si trattava di un segno fin troppo visibile agli occhi degli uomini, molto più visibile e attraente del segno della croce nel quale giungevano gli annunciatori della fede in Cristo. Eppure, la loro fede e la loro luce invisibile ebbero il sopravvento sul quel messaggio visibile col quale l’antico paganesimo cercò di affermarsi. 
Molto presto i cristiani rivendicarono a sé il 25 dicembre, il giorno natalizio della luce invitta, e lo celebrarono come il giorno della nascita di Cristo, in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo. Dicevano ai pagani: «Il sole è buono e noi ci rallegriamo quanto voi per la sua continua vittoria. Ma il sole non possiede alcuna forza da se stesso. Può esistere e avere forza solo perché Dio lo ha creato. Esso quindi ci parla della vera luce, di Dio. Ed è il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce, non la sua opera, che non avrebbe alcuna forza senza di lui. Ma questo non è ancora tutto e nemmeno la cosa più importante. Non vi siete accorti infatti che esistono un’oscurità e un freddo rispetto ai quali il sole è impotente? Sono quell’oscurità e quel freddo che provengono dal cuore ottenebrato dell’uomo: odio, ingiustizia, cinico abuso della verità, crudeltà e degradazione dell’uomo...». E a questo punto ci accorgiamo d’improvviso quanto tutto questo sia per noi stimolante e attuale, sentiamo che il dialogo del cristiano con gli adoratori romani del sole è come il dialogo del credente di oggi col suo fratello non credente, è il dialogo incessante tra fede e mondo. Certo, la paura primitiva che il sole un giorno potrebbe scomparire ormai non ci agita più: la fisica, col fresco soffio delle sue formule chiare, l’ha scacciata da tempo. 
È vero, la paura primitiva è passata, ma è anche scomparsa la paura in assoluto? O l’uomo non continua forse a essere definito dalla paura, a tal punto che la filosofia di oggi indica la paura proprio come «esistenziale fondamentale» dell’uomo? Quale epoca della storia dell’umanità ha, più della nostra, sperimentato una paura maggiore di fronte al proprio futuro? Forse l’uomo di oggi si accanisce così tanto nel presente solo perché non sopporta di guardare negli occhi il futuro: il solo pensarvi gli procura degli incubi. Non temiamo più che il sole possa essere sopraffatto dalle tenebre e non tornare; ma abbiamo paura del buio che proviene dagli uomini; scoprendo solo così quella vera oscurità che, in questo secolo di disumanità, abbiamo sperimentato più spaventosamente di quanto le generazioni che ci hanno preceduto avrebbero mai potuto immaginare. Abbiamo paura che il bene nel mondo divenga impotente, che non abbia più senso scegliere la verità, la purezza, la giustizia, l’amore, perché ormai nel mondo vale la legge di chi meglio sa farsi strada a gomitate, visto che il corso della storia sembra dare ragione a chi è senza scrupoli e brutale, non ai santi. E, d’altronde, non vediamo forse di fronte ai nostri occhi dominare il denaro, la bomba atomica, il cinismo di coloro per i quali non esiste più nulla di sacro? Spesso ci sorprendiamo in preda al timore che, alla fine, non vi sia alcun senso nel caotico corso di questo mondo; che, in fondo, la storia del mondo distingua solo fra gli sciocchi e i forti... Domina la sensazione che le forze oscure aumentino, che il bene sia impotente: ci assale più o meno quella stessa sensazione che, un tempo, prendeva gli uomini quando, in autunno e in inverno, il sole sembrava combattere la sua battaglia decisiva: «La vincerà? Il bene conserverà il suo senso e la sua forza nel mondo?». 
Nella stalla di Betlemme ci è dato il segno che ci fa rispondere lieti: «Sì». Perché quel bambino, il Figlio unigenito di Dio, è posto come segno e garanzia che, nella storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, proprio a quel bambino lì, che è la verità e l’amore. È questo il senso vero del Natale: è il «giorno di nascita della luce invitta», il solstizio d’inverno della storia del mondo che, nell’andamento altalenante di questa nostra storia, ci dà la certezza che anche qui la luce non morirà, ma ha già in pugno la vittoria finale. 

(© 2015 Libreria Editrice Vaticana, traduzione di Pierluca Azzaro)

Buon Natale a tutti :-)

A tutti ed a ciascuno i più grandi e affettuosi auguri di Buon Natale -)
Raffaella

sabato 24 dicembre 2016

Joseph Ratzinger: A Natale non celebriamo il giorno della nascita di un personaggio importante...è avvenuto qualcosa di più: il Verbo si è fatto carne (1977)

Abbiamo visto la sua gloria 

Nel Vangelo della terza messa di Natale che abbiamo or ora ascoltato, quello che di amabile  e di familiare si trova nella nascita di Gesù Cristo nella stalla di Betlemme sembra essersi allontanato nell'ignota dimensione del mistero. 
In questo Vangelo non si parla del bambino e della madre, dei pastori, delle loro pecore e del canto degli angeli che annuncia agli uomini la pace grazie alla gloria di Dio. Tuttavia esso ha delle cose in comune con gli altri vangeli: anche quello di oggi parla della luce che risplende nelle tenebre. 
Parla del gloria di Dio che possiamo vedere come grazia nel Verbo che si è fatto carne, e parla del Signore che non è stato accolto nella sua proprietà. Tra quelle espressioni grandi e misteriose compare a un tratto la stalla nella quale dovette nascere il figlio di Davide, poiché nella sua città non c'era posto per lui. 
Così un ascolto più attento può farci ben comprendere che il Vangelo di oggi dice le stesse cose dette da quello della Notte Santa e che tutti i vangeli annunciano soltanto un unico Vangelo. Solo che affrontano la questione da punti di vista differenti. 
Luca - così come Matteo - narra la storia terrena e a partire da essa apre la via che porta all'agire misterioso di Dio. 
Giovanni, l'Aquila, vede tutta la vicenda a partire dal mistero di Dio e dimostra come questo mistero arrivi fino alla stalla, fino alla carne e al sangue dell'uomo. 
Di che cosa dunque si tratta in realtà? Che cosa vuol dirci di importante la Chiesa per il giorno di Natale, e a partire da esso per tutto l'anno, anzi per la nostra vita, quando ci presenta questo testo solenne e severo, mentre noi ci saremmo aspettati le parole appassionate della storia della nascita? 
Questo Vangelo fa parte fin dai tempi più antichi della liturgia natalizia, perché contiene la frase che costituisce il fondamento della nostra gioia, l'autentico significato della festa: " Il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora  fra noi". 
A Natale non celebriamo il giorno della nascita di un personaggio importante come ce ne sono molti. E neppure celebriamo semplicemente il mistero dell'essere bambini. Certo, quello che in un bambino c'è di fresco, puro e schietto ci lascia sperare. Ci dà il coraggio di fare affidamento su nuove possibilità dell'uomo. 
Ma se ci aggrappiamo troppo soltanto a questo, al nuovo inizio della vita nel bambino, alla fine potrebbe restarci in mano nient'altro che tristezza: anche questa novità verrà logorata. Anche il bambino entrerà nella competizione della vita, avrà parte nei compromessi e nelle umiliazioni che quella competizione impone e alla fine diventerà preda della morte come tutti noi. Se non avessimo da celebrare altro che il semplice idillio della nascita e dell'essere bambini, alla fine non ci rimarrà più nemmeno quell'idillio. Non ci resterà altro che l'eterno morire e divenire, e ci si potrebbe chiedere se lo stesso nascere non sia di per  sé qualcosa di triste, visto che porta soltanto alla morte. 
Per questo è tanto importante che con il Natale sia avvenuto qualcosa di più: il Verbo si è fatto carne. "Questo bambino è figlio di Dio", dice uno dei nostri più bei canti natalizi. 
Ciò che è inaudito, ciò che è impensabile e tuttavia sempre atteso, ciò che anzi è necessario è accaduto: Dio è venuto fra noi. Si è unito all'uomo in maniera così inseparabile da far sì che quest'uomo sia veramente Dio da Dio, luce da luce, vero uomo. Il significato eterno del mondo è giunto a noi in maniera così autentica che lo possiamo toccare e osservare. 
Perché ciò che Giovanni chiama "il Verbo" in greco significa anche "il senso". Quindi potremmo, senz'altro tradurre l'espressione di Giovanni dicendo: "Il senso si è fatto carne". Ma questo senso non è semplicemente un'idea generica che si introduce nel mondo. Il senso è rivolto a noi. Il senso è una parola, un appello destinato a noi. Il senso ci conosce, ci chiama, ci guida. Il senso non è una legge vaga nella quale noi abbiamo una parte purchessia. È riservato a ciascuno in modo del tutto personale. È esso stesso persona: il figlio del Dio vivente nato nella stalla di Betlemme. 
A molti, in qualche modo a noi tutti, queste cose sembrano troppo belle  per essere vere. Qui ci viene detto: si, c'è un senso. 
E il senso non è un ribellarsi impotente a ciò che è insensato. Il senso ha una sua forza. Esso è Dio. E Dio è buono. Dio non è un qualunque essere supremo, lontano da noi, che non riusciamo mai ad avvicinare. È vicinissimo, a portata di voce, sempre raggiungibile. 
Ha tempo per me, tanto tempo da essersi coricato nella mangiatoia e da essere rimasto per sempre uomo. Noi continuiamo a chiederci: è possibile una cosa del genere? È possibile che Dio sia un bambino? Non vogliamo credere che la verità è bella. In base alla nostra esperienza alla fine la verità il più delle volte è crudele e sporca. E quando per una volta non sembra essere così, allora ci mettiamo a scavare fino a che non vediamo confermati i nostri sospetti. Una volta è stato detto dell'arte che è al servizio del bello, e che il bello a sua volta è  splendor veritatis, splendore di verità , la sua luce interiore. Ma oggi l'arte il più delle volte ritiene che il suo compito più alto sia quello di smascherare l'uomo come essere immondo e disgustoso. 
Se pensiamo ai drammi di Bertolt Brecht, ci accorgiamo che anche in essi tutto il genio del poeta è teso a svelare la verità, ma non più per mostrarne la luce, bensì per dimostrare che la verità è sporca, che la sporcizia è la verità. L'incontro con la verità non nobilita più, anzi degrada. Da ciò il dileggio sul Natale, la derisione della nostra gioia. E in effetti, se Dio non esiste, non c'è alcuna luce, c'è solo terra sporca. In questo consiste la verità davvero tragica di una simile "poesia". 
"I suoi non lo accolsero": in fondo preferiamo la nostra caparbia disperazione alla bontà di Dio, che fin dai tempi di Betlemme vorrebbe toccare il nostro cuore. In fondo siamo troppo orgogliosi per lasciarci salvare.
"I suoi non lo accolsero": la tragedia rappresentata da questa frase non si esaurisce nella storia della ricerca di un ricovero, che le nostre recite natalizie continuano a richiamare alla memoria con tanta tenerezza. E neppure si esaurisce nell'appello a pensare ai senzatetto che ci sono nel mondo e qui a Monaco, per quanto importante questo richiamo possa essere. Ma questa frase tocca qualcosa di più profondo che c'è in noi, la ragione più vera per cui la terra non offre rifugio a tanta gente: la nostra superbia chiude le porte a Dio e quindi anche agli uomini. 
Siamo troppo superbi per vedere Dio. Ci succede la stessa cosa che è successa a Erode e ai suoi esperti in teologia: a quel livello non si sentono più cantare gli angeli. A quel livello ci si sente solo più minacciati o annoiati da Dio. A quel livello non si vuole più essere "la sua proprietà", la proprietà di Dio, ma si vuole appartenere esclusivamente a se stessi. È per questo che non possiamo accogliere colui che viene nella sua proprietà; per farlo dovremmo cambiare, dovremmo riconoscerlo come padrone. 
Egli è venuto come un bambino per vincere la nostra superbia. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza. Ma egli non vuole la nostra resa, vuole il nostro amore. Vuole liberarci dalla nostra superbia e renderci così veramente liberi. Lasciamo dunque che la gioia di questo giorno pervada la nostra anima. Non è un'illusione. È la verità. 
Perché la verità - la più alta, la più autentica - è bella. Ed è buona. Incontrarla fa bene agli uomini. La verità parla con le parole del bambino che è il figlio di Dio. 
L'ultima frase del nostro Vangelo dice: "Abbiamo visto la sua gloria". Potrebbero essere le parole dei pastori che tornano a casa dalla stalla e riassumono quello che hanno vissuto. Potrebbero essere le parole con cui Maria e Giuseppe descrivono ciò che ricordano della notte di Betlemme. Nel nostro testo è lo sguardo retrospettivo dell'apostolo che dice quello che gli è successo nell'incontro con Gesù. E in effetti noi tutti in quanto cristiani dovremmo poter pronunciare quella frase: "Abbiamo visto la sua gloria". 
Si, partendo da questo, si potrebbe addirittura spiegare che cosa significhi credere di vedere la sua gloria in questo mondo. Colui che crede vede. Ma noi abbiamo visto? Non siamo forse rimasti ciechi? Non vediamo sempre soltanto noi stessi, la nostra immagine speculare? Al di fuori di sé,  ognuno di noi non vede soltanto ciò che in lui esiste già, qualcosa di conforme a sé. 
Lasciamoci aprire gli occhi dal mistero di questo giorno, lasciamo che esso ci renda capaci di vedere. Allora vivremo anche noi come persone che vedono. Come persone che non pensano soltanto a se stesse, che non conoscono soltanto se stesse. 
La colletta organizzata nell'Adveniat potrebbe essere una piccola risposta all'appello del Natale. Un segno che dimostra che abbiamo imparato ad ascoltare e vedere, che riconosciamo che Dio è il vero padrone anche della nostra proprietà. Così anche noi potremo diventare portatori della luce che viene da Betlemme, per poi pregare pieni di fiducia: Adveniat regnum tuum. Venga il tuo regno. Venga la tua luce. Venga la tua gloria. 
Amen. 

Omelia per il Natale del 1977

Da Joseph Ratzinger, "Sul Natale", Lindau 2005

Buona Vigilia di Natale a tutti :-)

Carissimi Amici,
auguro a tutti voi ed alle vostre famiglie un sereno Natale da trascorrere con le persone a cui volete bene :-)
Auguri!!!
Raffaella

martedì 20 dicembre 2016

Un pensiero e una preghiera per le vittime degli attentati a Berlino e in Turchia

Cari amici, a pochi giorni dal Natale dobbiamo registrare due gravi attentati islamici in Europa e in Turchia. Ieri sera a Berlino molte persone hanno perso la vita a causa di un ignobile attacco che ricorda quello accaduto a Nizza l'estate scorsa. Poche ore prima l'ambasciatore russo in Turchia è stato assassinato in diretta televisiva, colpito a morte da un estremista islamico.
Il nostro pensiero va ai familiari delle vittime con una preghiera speciale per le vittime ed i numerosi feriti. Quando i nostri governanti (mi riferisco a quelli europei) inizieranno ad aprire gli occhi, ad abbandonare il politicamente corretto e a prendere decisioni importanti e non più rinviabili sarà sempre troppo tardi...
R.

venerdì 16 dicembre 2016

Benedetto XVI a Vienna: Il Cristianesimo ha profondamente modellato l'Europa (YouTube)



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Il 7 settembre 2007, in occasione del suo Viaggio Apostolico in Austria, Benedetto XVI tenne davanti alle Autorità del Paese un discorso che può essere annoverato fra le pietre miliari del suo Pontificato. Quanto mai attuale il richiamo alle radici cristiane dell'Europa e al fatto che il nostro Continente "sarà per tutti luogo gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni".
Grazie a Gemma per il grande lavoro.
Qui la trascrizione e un mio breve commento.
R.

Il monumentale discorso di Benedetto XVI a Vienna su Europa, radici cristiane, fede, ragione e globalizzazione (Raffaella)

Cari amici,
grazie alla nostra Gemma possiamo rivedere e riascoltare (qui il video) il discorso tenuto da Benedetto XVI a Vienna in occasione dell'incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico. Si tratta sicuramente di un intervento fondamentale e quanto mai attuale. Riscoprire le radici cristiane dell'Europa per dare un'anima al Continente potrebbe ridare fiducia ai cittadini che ora identificano la nostra patria comune solo con le istituzioni e le banche.
C'è spazio anche per il tema della globalizzazione, non trattato non modo banale ma puntuale. Molto toccante la frase sull'aborto e soprattutto sulle donne che vanno aiutate anche dalla Chiesa a dimostrazione del fatto che la misericordia non naasce come un fungo nel 2013. 
Come sempre straordinario il riferimento al rapporto fra fede e ragione. Rileggiamo e qui rivediamo il video.
R.

INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sala dei Ricevimenti, Hofburg, Vienna
Venerdì, 7 settembre 2007

Onorevole Signor Presidente Federale,
Onorevole Signor Cancelliere Federale,
Illustri Membri del Governo Federale,
Onorevoli Deputati del Parlamento nazionale e Membri del Senato Federale,
Illustri Presidenti Regionali,
Stimati Rappresentanti del Corpo diplomatico,
Illustri Signore e Signori!

Introduzione

È per me una grande gioia e un onore incontrarmi oggi con Lei, Signor Presidente Federale, con i Membri del Governo Federale, come anche con i Rappresentanti della vita politica e pubblica della Repubblica d’Austria. In questo incontro nella Hofburg si rispecchia il buon rapporto, caratterizzato da fiducia vicendevole, tra il Vostro Paese e la Santa Sede, di cui Lei, Signor Presidente, ha parlato. Di questo mi rallegro vivamente.
Le relazioni tra la Santa Sede e l’Austria rientrano nel vasto complesso dei rapporti diplomatici, che trovano nella città di Vienna un importante crocevia, perché qui hanno sede anche vari Organismi internazionali. Sono lieto della presenza di molti Rappresentanti diplomatici, ai quali va il mio deferente saluto. Vi ringrazio, Signore e Signori Ambasciatori, per la vostra dedizione non solo al servizio dei Paesi che rappresentate e dei loro interessi, ma anche della causa comune della pace e dell’intesa tra i popoli.

Questa è la mia prima visita come Vescovo di Roma e Pastore supremo della Chiesa cattolica universale in questo Paese, che, però, conosco da molto tempo e per numerose visite precedenti. È – permettetemi di dirlo – veramente una gioia per me trovarmi qui. Ho qui molti amici e, come vicino bavarese, il modo di vivere e le tradizioni austriache mi sono familiari

Il mio grande Predecessore di beata memoria, Papa Giovanni Paolo II, ha visitato l’Austria tre volte. Ogni volta è stato ricevuto dalla gente di questo Paese con grande cordialità, le sue parole sono state ascoltate con attenzione e i suoi viaggi apostolici hanno lasciato le loro tracce.

Austria

L’Austria negli ultimi anni e decenni ha registrato successi, che ancora due generazioni fa nessuno avrebbe osato sognare. Il Vostro Paese non ha solo vissuto un notevole progresso economico, ma ha sviluppato anche un’esemplare convivenza sociale, di cui il termine “solidarietà sociale” è diventato un sinonimo. Gli austriaci hanno ogni ragione di esserne riconoscenti, e lo manifestano avendo un cuore aperto verso i poveri e gli indigenti nel proprio Paese, ma essendo anche generosi quando si tratta di dimostrare solidarietà in occasione di catastrofi e di disgrazie nel mondo. Le grandi iniziative di “Licht ins Dunkel” – “Luce nelle tenebre” – prima di Natale e “Nachbar in Not” – “Vicino nel bisogno” – sono una bella testimonianza di questi sentimenti.

Austria e l’ampliamento dell’Europa

Ci troviamo qui in un luogo storico, dal quale per secoli è stato governato un impero che ha unito ampie parti dell’Europa centrale e orientale. Questo luogo e quest’ora offrono, pertanto, un’occasione provvidenziale per fissare lo sguardo sull’intera Europa di oggi. 
Dopo gli orrori della guerra e le esperienze traumatiche del totalitarismo e della dittatura, l’Europa ha intrapreso il cammino verso un‘unità del Continente, tesa ad assicurare un durevole ordine di pace e di giusto sviluppo
La divisione che per decenni ha scisso il Continente in modo doloroso è, sì, superata politicamente, ma l’unità resta ancora in gran parte da realizzare nella mente e nel cuore delle persone. 
Anche se dopo la caduta della cortina di ferro nel 1989 qualche speranza eccessiva può essere rimasta delusa e su alcuni aspetti si possono sollevare giustificate critiche nei confronti di qualche istituzione europea, il processo di unificazione è comunque un’opera di grande portata che a questo Continente, prima corroso da continui conflitti e fatali guerre fratricide, ha portato un periodo di pace da tanto tempo sconosciuto. In particolare, per i Paesi dell’Europa centrale e orientale la partecipazione a tale processo è un ulteriore stimolo a consolidare al loro interno la libertà, lo stato di diritto e la democrazia. Vorrei ricordare, a tale proposito, il contributo che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II ha dato a quel processo storico. Pure l’Austria, che si trova al confine tra l’Occidente e l’Oriente di allora ha, come Paese-ponte, contribuito molto a questa unione e ne ha anche – non bisogna dimenticarlo – tratto grande profitto.

Europa

La “casa Europa”, come amiamo chiamare la comunità di questo Continente, sarà per tutti luogo gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni. 
L’Europa non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane. Esse sono una componente dinamica della nostra civiltà per il cammino nel terzo millennio. Il cristianesimo ha profondamente modellato questo Continente: di ciò rendono testimonianza in tutti i Paesi e particolarmente in Austria non solo le numerose chiese e gli importanti monasteri. 
La fede ha la sua manifestazione soprattutto nelle innumerevoli persone che essa, nel corso della storia fino ad oggi, ha portato ad una vita di speranza, di amore e di misericordia. Mariazell, il grande Santuario nazionale austriaco, è al contempo un luogo d’incontro per vari popoli europei. È uno di quei luoghi nei quali gli uomini hanno attinto e attingono tuttora la “forza dall’alto” per una retta vita.
In questi giorni la testimonianza di fede cristiana al centro dell’Europa viene espressa anche mediante la “Terza Assemblea Ecumenica Europea” in Sibiu/Hermannstadt (in Romania) posta sotto il motto: “La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e di unità in Europa”. Viene spontaneo il ricordo del “Katholikentag” centro-europeo che nel 2004, sotto il motto “Cristo – speranza dell’Europa”, ha radunato tanti credenti a Mariazell!

Oggi si parla spesso del modello di vita europeo. Con ciò si intende un ordine sociale che collega efficacia economica con giustizia sociale, pluralità politica con tolleranza, liberalità ed apertura, ma significa anche conservazione di valori che a questo Continente danno la sua posizione particolare. Questo modello, sotto i condizionamenti dell’economia moderna, si trova davanti ad una grande sfida. 
La spesso citata globalizzazione non può essere fermata, ma è un compito urgente ed una grande responsabilità della politica quella di dare alla globalizzazione ordinamenti e limiti adatti ad evitare che essa si realizzi a spese dei Paesi più poveri e delle persone povere nei Paesi ricchi e vada a scapito delle generazioni future.
Certamente – lo sappiamo – l’Europa ha vissuto e sofferto anche terribili cammini sbagliati. Ne fanno parte: restringimenti ideologici della filosofia, della scienza ed anche della fede, l’abuso di religione e ragione per scopi imperialistici, la degradazione dell’uomo mediante un materialismo teorico e pratico, ed infine la degenerazione della tolleranza in una indifferenza priva di riferimenti a valori permanenti. Fa però parte delle caratteristiche dell’Europa la capacità di autocritica che, nel vasto panorama delle culture del mondo, la distingue e la qualifica.

La vita

È nell’Europa che, per la prima volta, è stato formulato il concetto di diritti umani. Il diritto umano fondamentale, il presupposto per tutti gli altri diritti, è il diritto alla vita stessa. Ciò vale per la vita dal concepimento sino alla sua fine naturale. L’aborto, di conseguenza, non può essere un diritto umano – è il suo contrario. È una “profonda ferita sociale”, come sottolineava senza stancarsi il nostro defunto Confratello, Cardinale Franz König.

Nel dire questo non esprimo un interesse specificamente ecclesiale. Vorrei piuttosto farmi avvocato di una richiesta profondamente umana e portavoce dei nascituri che non hanno voce. Con ciò non chiudo gli occhi davanti ai problemi e ai conflitti di molte donne e mi rendo conto che la credibilità del nostro discorso dipende anche da quel che la Chiesa stessa fa per venire in aiuto alle donne in difficoltà.

Mi appello in questo contesto ai responsabili della politica, affinché non permettano che i figli vengano considerati come casi di malattia né che la qualifica di ingiustizia attribuita dal Vostro ordinamento giuridico all’aborto venga di fatto abolita. Lo dico mosso dalla preoccupazione per i valori umani. Ma questo non è che un lato di ciò che ci preoccupa. L’altro è di fare tutto il possibile per rendere i Paesi europei di nuovo più aperti ad accogliere i bambini. Incoraggiate, Vi prego, i giovani, che con il matrimonio fondano nuove famiglie, a divenire madri e padri! Con ciò farete del bene a loro medesimi, ma anche all’intera società. Vi confermo anche decisamente nelle Vostre premure politiche di favorire condizioni che rendano possibile alle giovani coppie di allevare dei figli. Tutto ciò, però, non gioverà a nulla, se non riusciremo a creare nei nostri Paesi di nuovo un clima di gioia e di fiducia nella vita, in cui i bambini non vengano visti come un peso, ma come un dono per tutti.

Una grande preoccupazione costituisce per me anche il dibattito sul cosiddetto “attivo aiuto a morire”. C’è da temere che un giorno possa essere esercitata una pressione non dichiarata o anche esplicita sulle persone gravemente malate o anziane, perché chiedano la morte o se la diano da sé. La risposta giusta alla sofferenza alla fine della vita è un’attenzione amorevole, l’accompagnamento verso la morte – in particolare anche con l’aiuto della medicina palliativa – e non un “attivo aiuto a morire”. 

Per affermare un accompagnamento umano verso la morte occorrerebbero però delle riforme strutturali in tutti i campi del sistema sanitario e sociale e l’organizzazione di strutture di assistenza palliativa. 

Occorrono poi anche passi concreti: nell’accompagnamento psicologico e pastorale delle persone gravemente malate e dei moribondi, dei loro parenti, dei medici e del personale di cura. In questo campo la “Hospizbewegung” fa delle cose grandiose. Tutto l’insieme di tali compiti, però, non può essere delegato soltanto a loro. Molte altre persone devono essere pronte o essere incoraggiate nella loro disponibilità a non badare a tempo e anche a spese nell’assistenza amorosa dei gravemente malati e dei moribondi.

Il dialogo della ragione

Fa parte dell’eredità europea, infine, una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione. Si tratta qui, in definitiva, della questione se la ragione stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no. 
Si tratta della questione se la realtà abbia alla sua origine il caso e la necessità, se quindi la ragione sia un casuale prodotto secondario dell’irrazionale e nell’oceano dell’irrazionalità, in fin dei conti, sia anche senza un senso, o se invece resti vero ciò che costituisce la convinzione di fondo della fede cristiana: In principio erat Verbum – In principio era il Verbo – all’origine di tutte le cose c’è la Ragione creatrice di Dio che ha deciso di parteciparsi a noi esseri umani.

Permettetemi di citare in questo contesto Jürgen Habermas, un filosofo quindi che non aderisce alla fede cristiana. Egli afferma: “Per l’autocoscienza normativa del tempo moderno il cristianesimo non è stato soltanto un catalizzatore. L’universalismo ugualitario, dal quale sono scaturite le idee di libertà e di convivenza solidale, è un’eredità immediata della giustizia giudaica e dell’etica cristiana dell’amore. Immutata nella sostanza, questa eredità è stata sempre di nuovo fatta propria in modo critico e nuovamente interpretata. A ciò fino ad oggi non esiste alternativa”.

I compiti dell’Europa nel mondo

Dall’unicità della sua chiamata deriva, tuttavia, per l’Europa anche una responsabilità unica nel mondo. A questo riguardo essa innanzitutto non deve rinunciare a se stessa. Il continente che, demograficamente, invecchia in modo rapido non deve diventare un continente spiritualmente vecchio. L’Europa inoltre acquisterà una migliore consapevolezza di se stessa se assumerà una responsabilità nel mondo che corrisponda alla sua singolare tradizione spirituale, alle sue capacità straordinarie e alla sua grande forza economica. L’Unione Europea dovrebbe pertanto assumere un ruolo guida nella lotta contro la povertà nel mondo e nell’impegno a favore della pace. Con gratitudine possiamo costatare che Paesi europei e l’Unione Europea sono tra coloro che maggiormente contribuiscono allo sviluppo internazionale, ma essi dovrebbero anche far valere la loro rilevanza politica di fronte, ad esempio, alle urgentissime sfide poste dall’Africa, alle immani tragedie di quel Continente, quali il flagello dell’AIDS, la situazione nel Darfur, l’ingiusto sfruttamento delle risorse naturali e il preoccupante traffico di armi. Così pure l’impegno politico e diplomatico dell’Europa e dei suoi Paesi non può dimenticare la permanente grave situazione del Medio Oriente, dove è necessario il contributo di tutti per favorire la rinuncia alla violenza, il dialogo reciproco e una convivenza veramente pacifica. Deve anche continuare a crescere il rapporto con le Nazioni dell’America latina e con quelle del Continente asiatico, mediante opportuni legami di interscambio.

Conclusione

Onorevole Signor Presidente Federale, illustri Signore e Signori! L’Austria è un Paese ricco di molte benedizioni: grandi bellezze paesaggistiche che, anno dopo anno, attirano milioni di persone per un soggiorno di riposo; un’inaudita ricchezza culturale, creata e accumulata da molte generazioni; molte persone dotate di talento artistico e di grandi forze creative. Dappertutto si possono vedere le testimonianze delle prestazioni prodotte dalla diligenza e dalle doti della popolazione che lavora. È questo un motivo di gratitudine e di fierezza. Ma certamente l’Austria non è un’“isola felice” e neppure crede di esserlo. L’autocritica fa sempre bene e, senz’altro, è diffusa in Austria. Un Paese che ha ricevuto tanto deve anche dare tanto. Può contare molto su se stesso e anche esigere da se stesso una certa responsabilità nei confronti dei Paesi vicini, dell’Europa e del mondo.

Molto di ciò che l’Austria è e possiede, lo deve alla fede cristiana ed alla sua ricca efficacia sulle persone. La fede ha formato profondamente il carattere di questo Paese e la sua gente. Deve perciò essere nell’interesse di tutti non permettere che un giorno in questo Paese siano forse ormai solo le pietre a parlare di cristianesimo! Un’Austria senza una viva fede cristiana non sarebbe più l’Austria.

Auguro a Voi e a tutti gli Austriaci, soprattutto agli anziani e ai malati, come anche ai giovani che hanno la vita ancora davanti a sé, speranza, fiducia, gioia e la benedizione di Dio! Vi ringrazio.


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giovedì 8 dicembre 2016