Grazie al lavoro della nostra Gemma leggiamo questo brano tratto da un testo dell'allora cardinale Bergoglio a colloquio con il rettore del seminario rabbinico Skorka.
VIII
Sulla colpa
Bergoglio:
La colpa può essere intesa in due accezioni: come trasgressione e come sentimento psicologico. Questa seconda accezione non è religiosa; anzi, oserei dire che può addirittura sostituire un sentimento religioso, una sorta di voce interiore che segnala che mi sono sbagliato, che ho agito male. Ci sono persone che alimentano questo senso di colpa, perché hanno bisogno di vivere nella colpa; questo atteggiamento psicologico è morboso. Eppure, con questa accezione della colpa sembra molto più facile incontrare la misericordia di Dio, perché vado a confessarmi e sono a posto: il Signore mi ha già perdonato. Ma non è così facile, perché sono semplicemente andato a farmi togliere la macchia. E la trasgressione è qualcosa di più serio di una semplice macchia. C’è gente che gioca con questo concetto della colpa, e trasforma quindi l’incontro con la misericordia di Dio in qualcosa come andare in tintoria, un semplice ripulirsi dalle macchie. E così squalificano l’atto della confessione.
Skorka:
Sono assolutamente d’accordo. Una cosa è l’aneddotica – i consigli a livello popolare, l’immagine della madre ebrea colpevolizzante –, ma tutto ciò non ha niente a che vedere con l’essenza della concezione giudaico-cristiana della colpa, perché quando qualcuno compie una trasgressione, ha la possibilità di redimersi. Bisogna cambiare dentro per non tornare a ripeterla. Non basta dire: «Ho sbagliato» e fine della storia. Certamente aiuta recitare una preghiera, fare una donazione come atto profondo di carità, ma sempre e solo se sono manifestazioni di un ripensamento sincero. Dire che le religioni fanno leva sulla trasmissione della colpa ebraico-cristiana è un enorme equivoco, perché in questa concezione commettere una trasgressione non è la fine del mondo. Chiunque può sbagliare, ma bisogna riparare all’errore, correggersi. E soprattutto non tornare a commetterlo.
Bergoglio:
La semplice colpa appartiene al mondo dell’idolatria. È un ulteriore espediente umano. La colpa, senza riparazione, non mi fa crescere.
Skorka:
Non credo che la colpa sia esclusivamente un sentimento religioso. È una questione culturale. Si instillano sensi di colpa anche nel momento in cui si dice: «Non fare questo o quello». Si crea nel bambino una coscienza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, e in tal modo si genera in lui l’idea della colpa, un concetto che conduce alla nozione di castigo e a quella di ingiustizia. Noi aggiungiamo che la giustizia non si dà solo a livello umano, ma che un giorno ci sarà una resa dei conti davanti a Dio. Dopotutto è stato Lui a rivelarci i Comandamenti: «Non rubare», «Non uccidere». L’idea di colpa deve esistere per sapere che, se qualcuno commette qualcosa di distruttivo, dovrà renderne conto.
Bergoglio:
Una volta era molto comune ricorrere al Babau e all’Uomo Nero. Se oggi dici a un bambino che arriva il Babau, ti ride in faccia. Nella nostra infanzia ci parlavano del Babau. Limitarsi a incutere timore è un’esagerazione, un cattivo metodo educativo. In questo errore è caduta spesso la corrente puritana. Il problema è presentare la trasgressione come qualcosa che ti allontana da Dio. Mi rifaccio a sant’Agostino, quando parla della redenzione, dell’amore di Dio, e riferendosi al peccato di Adamo ed Eva dice: «Felix culpa». Lo prendo in parola. Come se Dio dicesse: «Io ho permesso ad alcuni di trasgredire, affinché il loro viso si copra di vergogna». Perché è lì che incontrano il Dio della misericordia. Altrimenti, sono quei cristiani di buone maniere ma di cattivi costumi nel cuore: i superbi. A volte la trasgressione ci rende umili al cospetto del Signore e ci induce a chiedere perdono.
Skorka:
Di nuovo, abbiamo la stessa opinione. La trasgressione serve a mostrarci che non siamo perfetti. Perfino chi dice di volerlo essere, in qualcosa sbaglierà. Deve trasgredire, per rendersi conto che non è autosufficiente; per quanto preciso e corretto, deve avere una frustrazione. L’autosufficienza distrugge mondi.
Da Jorge Mario Bergoglio, Abraham Skorka, "Il Cielo e La Terra", Mondadori 2013
giovedì 30 maggio 2013
Card. Bergoglio: Se oggi dici a un bambino che arriva il Babau, ti ride in faccia...Limitarsi a incutere timore è un’esagerazione, un cattivo metodo educativo...Il problema è presentare la trasgressione come qualcosa che ti allontana da Dio (da "Il Cielo e la Terra")
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3 commenti:
A volte la trasgressione ci rende umili al cospetto del Signore e ci induce a chiedere perdono.
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Cioè: qualche volta è bene peccare per incontrare la misericordia di Dio?
Forse se andiamo a leggere quanto stabilisce il concilio di Trento, quanto sostenuto dai documenti che condannano tesi del giansenismo e del Quesnel, sul timor di Dio, e sul baubau rappresentato dall'inferno - timor servile - impareremo come questo timore sia virtuoso e propedeutico all'amor filiale, e comunque valga ad ottener la salvezza.
Caro professore, non si limiti ad una sola frase, se da un discorso complesso prende solo una frase, allora farà dire all'interessato tutto quello che vuole, anche il contrario. Già la citazione di Agostino 'felix culpa' potrebbe far pensare quello che sostiene lei, solo che lei non lo pensa perchè sa che il pensiero agostiniano è più complesso, e mal sopporta le riduzioni a singole frasi ad effetto. Dovrebbe fare lo stesso con Bergoglio. In amicizia.
Purtroppo, a differenza di S. Agostino, il Papa parla, almeno l'ha fatto sino ad oggi, per frasi staccate, quasi per slogan ad effetto.
Da qui il problema, ed il pericolo per chi ignora la dottrina cattolica, pur ritenendosi cattolici. Non sarebbe l'ora che Francesco affrontasse via via un problema teologico, morale, sociale e lo approfondisse in modo tale da non suscitar dubbi?
Trovo, e lo ribadisco, pericoloso questo suo procedere. Ecco perché aspetto che "parli da Papa", come ho già detto: chiaro, conseguente e magari anche in modo solenne. Dev'esser lui che deve confermarci nella fede. Ma se professa la salvezza degli atei se fan del bene, in omelie "familiari" che tali non restano e non posson essere, per poi riscuoter le precisazioni e le smentite del portavoce vaticano, cosa devo pensare? Sono auotorizzato ad osservare che non son solo nella preoccupazione. E vorrei esserlo, credimi, in modo da poter dire: son io che non capisco. Ed invece no: sento preti, teologi, laici, sinceramente cattolici e, come me, uniti a Pietro, che son disorientati. Il Papa deve orientare o disorientare?
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