venerdì 12 aprile 2013

L'attività diplomatica di Roncalli e Montini durante la seconda guerra mondiale (O.R.)

Quella tela silenziosa tessuta per salvare vite umane

L'attività diplomatica di Roncalli e Montini durante la seconda guerra mondiale

di Roberto Morozzo della Rocca

Negli anni successivi al Vaticano II non era raro vedere Giovanni XXIII e Paolo VI contrapposti, quasi l'uno fosse Papa profetico e l'altro Papa che disciplinava e frenava il rinnovamento conciliare. Proiezioni ideologiche, certo. Molte consimili grida del dissenso cattolico, rilette con distacco storico, oggi fanno sorridere. A spiegare questa divaricazione di giudizi, allora prodottasi, soccorre il ricordo della temperie storica, così diversa tra inizio e fine degli anni Sessanta, quasi passassero non sei anni ma un secolo tra il 1962, quando iniziò il concilio, e il 1968, quando l'Occidente, inconsapevolmente, scambiandola per una rivoluzione politica, imboccò la svolta antropologica della modernità secolare liberale.
Mi è stato chiesto di guardare alle loro sintonie e differenze in un periodo cruciale, la seconda guerra mondiale. Vi troviamo almeno parzialmente una risposta all'interrogativo posto. Inizio dalle sintonie, che sono innanzitutto di ambiente. Sia Roncalli sia Montini lavorano nella diplomazia vaticana. Ed entrambi stanno nel mainstream novecentesco di questa diplomazia che giustamente è stata definita diplomazia pastorale.
Lo studio delle relazioni fra Roncalli e Montini negli anni della seconda guerra mondiale, nel quadro di una comune diplomazia pastorale, smentisce poi un altro luogo comune della storiografia roncalliana. E cioè che il delegato apostolico a Istanbul fosse un outsider del mondo vaticano, un incompreso da parte dei superiori. Interpretazione fondata su qualche espressione di disagio appuntata da Roncalli negli anni d'Oriente rispetto agli organi centrali della Chiesa; ma chi non si lamenta ogni tanto delle persone con cui lavora, magari a ragione?
Sul tema della pace, un'analogia di lavoro e di preoccupazioni tra Montini e Roncalli riguarda i tentativi di entrambi di aprire spiragli di cambiamento, mediazione o pacificazione per giungere alla fine del conflitto. Tuttavia sono contatti molto diversi: Roncalli lavora con von Papen e von Lersner, Montini con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede, o con personaggi non a lui abituali, come la principessa Maria José.
Più simili appaiono Montini e Roncalli nell'impegno umanitario. Montini trascorre la guerra impegnato, oltre che nel lavoro diplomatico in senso stretto, nel coordinare l'Ufficio informazioni della Santa Sede, che ricerca notizie soprattutto sui prigionieri di guerra. Inoltre, tra il 1943 e il 1944, durante l'occupazione tedesca di Roma, Montini è l'anima dell'ospitalità ecclesiastica nei conventi e nelle case religiose romane, dove trovano asilo migliaia di ebrei, ricercati politici, renitenti alla leva repubblichina, badogliani. La vicenda è nota. Dopo gli ultimi studi di Enzo Forcella e Andrea Riccardi si può ben dire che fu Pio XII, sebbene mai rilasciasse ordini scritti, a volere questa rischiosa ospitalità. Montini ebbe un ruolo decisivo nel trasmettere la volontà del Papa, con le sue frequenti visite nei luoghi d'asilo. Continuamente Montini riceveva da Pio XII, e gli sottoponeva a sua volta, nomi di persone cui trovare protezione. Il Sostituto è attivissimo su questo delicato fronte, così come in generale nell'assistenza alla popolazione romana. È lui ad accompagnare a San Lorenzo il Papa che esce dal Vaticano dopo i bombardamenti. Una nota speciale mi pare quella dell'attenzione di Montini ai rifugiati per motivi politici: in Laterano, oltre a ebrei, renitenti, militari badogliani, si nasconde in questi mesi quasi l'intero Comitato di liberazione nazionale. Montini, che già progetta quella che sarà la Democrazia Cristiana, cura i rapporti con le personalità politiche.
Parimenti Roncalli si impegna sul piano umanitario. Da una parte cerca di aiutare gli ebrei che passano per la Turchia in cerca di salvezza. Utilizza per questo i suoi numerosi contatti, e si vede dalle sue agende la fitta rete di incontri e relazioni con esponenti di organizzazioni ebraiche di soccorso. Nel raggio d'azione di Roncalli entrano volta a volta ebrei di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e di altri Paesi balcanici, mentre il quadro della Shoah gli si fa gradualmente chiaro, accrescendo il suo orrore. «Poveri figli di Israele. Io sento quotidianamente il loro gemito attorno a me. Li compiango e faccio il mio meglio per aiutarli».
D'altro verso Roncalli si occupa attivamente del soccorso alla popolazione della Grecia. Qui nel 1941 e 1942 imperversa la fame, con migliaia di vittime soprattutto fra i bambini. Il delegato apostolico trascorre soggiorni di parecchi mesi sul suolo greco e organizza distribuzioni di cibo e mense popolari. Anche a Istanbul organizza collette fra i cattolici per l'infanzia greca. Intensa è la sua attività diplomatica, ancorché informale, per consentire i rifornimenti via mare della Grecia, sottoposta a blocco navale dagli Alleati. La sua capacità di relazioni e di persuasione ragionevole produce un successo (i britannici sospendono il blocco) che gli procura grande soddisfazione sebbene altri ne prendano il merito.
Sia Montini che Roncalli s'improvvisano agenti umanitari: anche questo li accomuna. Occasionalmente hanno pure contatti operativi, ma l'affinità intrinseca, in questi anni, sta nel dedicarsi a compiti simili con le stesse modalità. Ossia, con l'idea che discrezione, riserbo e silenzio consentano di lavorare più fruttuosamente e di salvare più vite.
Un'ultima analogia fra Roncalli e Montini. Entrambi lavorano tantissimo. Di Montini è ben noto. Per dirla con il trasteverino cardinale Ottaviani: «Montini ci fregava tutti. Era una macchina da lavoro. Era in ufficio prima di noi e se ne andava dopo». Il sostituto iniziava a leggere i documenti al mattino presto, preparandosi alla quotidiana udienza del Papa che neppure il segretario di Stato vedeva così spesso e lungamente. Poi iniziava a ricevere, per almeno tre ore. Nel primo pomeriggio si dedicava al ministero sacerdotale, a Sant'Anna oppure alla Chiesa Nuova dagli oratoriani. A metà pomeriggio tornava in ufficio e lo lasciava a notte inoltrata dopo aver parlato con i collaboratori e lavorato sulla documentazione nella solitudine notturna.
Roncalli aveva un altro approccio al lavoro ma era ugualmente attivissimo. La sua calma e serenità non confliggevano con una grande capacità di lavoro, svolto con una certa inclinazione per gli affari e gli incontri che più gli piacevano. Le agende di Roncalli a Istanbul e Atene attestano un grande impegno di relazioni pubbliche e amicali, con uno scrupolo a far bene evidentemente dettato dalla coscienza e non da interessi politici personali. Senza essere irrequieto, Roncalli amava conoscere volti e situazioni nuove come un pellegrino.
Montini era romano solo d'adozione, e la Curia gli costava adattamento forzoso. Sentiva «il bisogno crescente di studio, di regolarità, di solitudine, di libertà». Il lavoro esigeva da lui una pazienza che non gli veniva naturale. Molto diverse le inclinazioni di Roncalli, che non provava nessun martirio della pazienza nell'incontro umano e anche con interlocutori difficili era abile a orientare i discorsi verso lidi positivi. Certo anche Roncalli si costringeva allo studio e alla riflessione dinanzi a persone e dossier. La sua spontaneità stava in un'attitudine di fiducia confidente nel bene e nella Provvidenza, non in un laisser aller degli affari e dei rapporti umani. Molto diversi erano Montini e Roncalli nella maniera di lavorare e può forse dirsi che ciascuno era adatto al ruolo che in quegli anni ricopriva.
Paradossalmente, a me pare che Roncalli, con il suo rispetto per Roma, con le sue relazioni deferenti e riguardose con tutti in Curia, dai vertici a quelli che chiama «astri minori», fosse più romano e più curiale di Montini. Quest'ultimo doveva conciliare la sua alta collocazione nel governo della Chiesa, essendo il primo interlocutore operativo di Pio XII, con una sensibilità anticuriale che gli veniva da un'insopprimibile indipendenza di pensiero. Montini aveva poi tanti legami con il mondo cattolico italiano extra curiale: il suo orizzonte non era esclusivamente romano, aveva una vasta riserva di relazioni fuori dalla Curia, fino alla Francia. Il Sostituto riteneva «l'accettazione della modernità e della democrazia come una condizione positiva ed ottimale per la Chiesa» in Italia e nel mondo. Antifascista in una Curia dove molti erano al più afascisti o, del tutto legittimamente peraltro, non volevano avere a che fare con la politica, Montini durante gli anni della guerra non perdeva di vista l'obiettivo di una ricostruzione democratica dell'Italia e di un progetto sociale cristiano che fosse terza via tra socialismo e capitalismo. In questo senso era un punto di riferimento per la classe dirigente democristiana in gestazione, da quella sua parte proveniente dal partito Popolare, tra cui si stagliava De Gasperi, a quella più giovane, con Moro e molti ex fucini. La fede di Montini era intrisa di umanesimo, di confronto con la storia, di tensione affinché l'unum necessarium, il Vangelo, grazie alle dovute mediazioni, penetrasse in ogni realtà umana. Era una fede protesa alla lucidità. Montini avrebbe ben potuto far suo il motto di Benedetto XV, «in te Signore ho sperato, non sarò confuso in eterno».
Molto diverso il plafond culturale di Roncalli. Assai meno vibrante di fronte alla politica, alieno da riformismi ecclesiastici, cercatore di tradizioni, sentimenti, antichità e bellezza, più che di culture e modernità, Roncalli assegna a ciascuno un posto nella storia, cui guarda con minore attivismo e inquietudine.
Siamo ormai al cuore del capitolo delle differenze. E allora va detto che Roncalli vive in Oriente un'esperienza particolare, molto lontana dagli abituali orizzonti italiani. La sua visione diventa ecumenica, e lo si può dire al di là delle minuziose verifiche che in ogni sua parola e discorso hanno cercato di stabilire se erano più vicine all'unionismo o all'ecumenismo. Roncalli non rigetta la missione cattolica fra chi cattolico non è, ma in Oriente conosce e accetta il pluralismo delle culture e delle fedi. Spesso li ritiene misteri, ma li accoglie come volontà di Dio. La coabitazione tra genti diverse per etnia, cultura e religione gli appare una realtà positiva, altrimenti sarebbero conflitti permanenti. Vale a questo proposito la famosa omelia della Pentecoste del 1944, quasi a suggello della sua esperienza d'Oriente: «Noi cattolici Latini di Istanbul, e cattolici di altro rito Armeno, Greco, Siriano, ecc., siamo qui una modesta minoranza che vive alla superficie di un vasto mondo con cui abbiamo solo contatti di carattere esteriore. Noi amiamo distinguerci da chi non professa la nostra fede: fratelli ortodossi, protestanti, israeliti, musulmani, credenti o non credenti di altre religioni (...) Nella luce del Vangelo e del principio cattolico questa è una logica falsa. Gesù è venuto per abbattere queste barriere; egli è morto per proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo insegnamento è la carità, cioè l'amore che lega tutti gli uomini a lui come primo dei fratelli, e che lega lui con noi al Padre».
Per concludere. Fra Montini e Roncalli tra il 1939 e il 1945 c'è molta comunanza di storia e di lavoro. Ci sono anche evidenti differenze di cultura, di temperamento, di sensibilità. Ritornando alle considerazioni iniziali, alla divaricazione tra i due denunciata nel post-concilio, gli anni della guerra non danno affatto l'impressione di una qualche contrapposizione, né di visione e d'idee né di carattere personale. C'è stima reciproca, c'è collaborazione. E ciascuno dei due matura, nella fatica d'un intenso lavoro e nella vista di un mondo in guerra, una pietà e una fortezza d'animo che ispireranno i passi successivi, per entrambi indirizzati al pontificato.

(©L'Osservatore Romano 12 aprile 2013)

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