Storica visita del Patriarca Kirill a Pechino. Giovagnoli: colmato distacco di decenni
Poche migliaia di fedeli di discendenza russa. È questa la realtà attuale della Chiesa ortodossa cinese. In questo contesto si colloca la visita, di sapore storico, che da alcuni giorni il Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, sta compiendo a Pechino e in alcune località della Cina. L’obiettivo è quello di rafforzare la struttura della comunità ortodossa, ottenendo lo status di “religione riconosciuta” da parte del governo. Alessandro De Carolis ne ha parlato con lo storico della Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli:
R. – Al momento, la Chiesa ortodossa cinese è il frutto di una separazione politica, nel 1956, tra la Cina e l’Unione Sovietica, da cui appunto è nata questa Chiesa che in quel modo si è staccata da Mosca. Di qui, il tentativo del Patriarcato di Mosca di recuperare questo legame e, in effetti, dopo questa visita le premesse per fare questa operazione ci sono. In realtà, si tratta di una presenza religiosa piuttosto minoritaria: si parla di qualche migliaio di ortodossi senza nessun sacerdote – perché è morto l’unico sacerdote ortodosso cinese – discendenti per lo più da immigrati russi dei secoli scorsi.
D. – Quindi, si tratta in sostanza di ricostruire un tessuto ecclesiale ortodosso in Cina?
R. – Sì, e di affermare la giurisdizione di Mosca su questa realtà. E questa è un’operazione che supera la quantità, piuttosto ridotta, dei credenti ortodossi in questo momento. Si tratta di riprendere un legame antico e soprattutto di affermare l’autorità di un Patriarcato, che è radicato fuori dal territorio cinese, su credenti cinesi: questo sarebbe un evento di enorme portata, così come è stato un evento sicuramente di grande rilievo storico la visita stessa di Kirill, ricevuto dal presidente cinese Xi Jinping. Direi che questo, forse, è il risultato più sorprendente di questa visita: mai il presidente della Repubblica popolare cinese – dal 1949 in poi, da Mao in poi – ha ricevuto un’autorità religiosa di questo livello e in particolare il leader straniero di una Chiesa cristiana. Quindi, si tratta di un’apertura che, al di là delle sue conseguenze concrete, è già di per sé decisamente sorprendente.
D. – Come si pone la situazione della Chiesa ortodossa in Cina rispetto alla questione della libertà religiosa?
R. – Per certi versi, la questione è simile a quello della Chiesa cattolica. Oltre ai problemi più complessivi che riguardano tutte le fedi religiose in Cina – cioè il controllo da parte dello Stato nei confronti delle religioni – si pone il problema supplementare di questo legame con un’autorità spirituale, un’autorità religiosa che si colloca al di là dei confini nazionali. Questo è qualcosa che, come sappiamo, ha turbato notevolmente la vita dei cattolici cinesi che sono guardati con sospetto da parte delle autorità, perché rispondono ad un’autorità spirituale “straniera”, dal punto di vista cinese, cioè al Papa, e per questo sono quindi considerati una forma di interferenza con la loro attività nella realtà della società cinese. Analogamente, gli ortodossi che intendono mantenere questo legame con Mosca – per esempio, per ciò che riguarda la formazione dei sacerdoti ortodossi, che può avvenire solo a Mosca, perché ovviamente non ci sono strutture in Cina per la formazione di ortodossi cinesi – questo tipo di legami è visto con grande ostilità, perché fuoriesce dal quadro delle religioni così come è concepito dal regime comunista di Pechino.
D. – Tra l’altro, rispetto alla Chiesa cattolica, quella ortodossa non ha una unica autorità di riferimento…
R. – Questo è vero. In realtà, però, nessuno mette in discussione che un eventuale legame con un’autorità religiosa non cinese sia – nel caso degli ortodossi in Cina – il Patriarcato di Mosca, proprio perché gli ortodossi che sono attualmente presenti in Cina e che sono poche migliaia, sono in realtà discendenti di russi, e quindi sono storicamente legati alla Chiesa di Mosca, tanto che fino al 1956 questo legame ancora era ufficialmente riconosciuto.
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