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martedì 25 giugno 2013

Le radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Un articolo di Marco Anselmo del 1987


LE RADICI DELL'ASTIO NEI CONFRONTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI. LO SPECIALE DEL BLOG

Cari amici, su segnalazione del nostro Antonio leggeremo un altra pietra miliare nel percorso che stiamo tracciando a proposito delle radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
Si tratta di un articolo di Marco Anselmo del 15 giugno 1987! Sembra scritto oggi!
Le critiche a Ratzinger erano allora le stesse di oggi: e' un restauratore e un nemico della modernita' abituato a guardare all'indietro. Nulla di piu' falso! Vedremo ancora una volta il ruolo dei mass media e degli intellettuali che li controllano. Scopriremo l'estrema semplicita' dell'appartamento in cui l'allora cardinale viveva con la sorella ed il fatto che imponeva agli editori dei suoi libri di devolvere gli introiti in opere di carita'.
Ma soprattutto capiremo chi e' davvero Joseph Ratzinger che mai si e' difeso dalle critiche quando esse investivano la sua persona ma prese carta e penna quando qualcuno chiamo' in causa Giovanni Paolo II!
Che grande insegnamento per quei cardinali e vescovi che non hanno mosso un dito per sostenere Benedetto XVI e che, fino all'ultimo giorno, non si sono degnati di chiedergli perdono per la loro inadeguatezza!
Non si e' mai perdonato a Ratzinger di essere un uomo sincero che non ha mai avuto paura di dire cose scomode sapendo di esporsi al rischio dell'incomprensione e della calunnia.
Anche questo articolo, come quello di Messori, mette in luce la diversita' se non l'opposizione fra l'opinione pubblica e quella pubblicata.
Siamo alla seconda pietra miliare del nostro percorso...avanti cosi' :-)
Una vera chicca....grazie Antonio!
Raffaella

Lunedi 15 Giugno 1987

«CHIESA, ECUMENISMO E POLITICA»: IN UN LIBRO UN SERRATO CONFRONTO CON LA CULTURA CONTEMPORANEA ROMA

L'ultimo attacco del Panzer-Kardinal 

Dopo il «Rapporto sulla fede», Joseph Ratzinger, massima autorità vaticana dopo il Papa, torna in campo - Un intervento destinato ad accendere nuove discussioni e polemiche - Restauratore o difensore dell'ortodossia? - Due pareri opposti: Zizola e Del Noce 

Mauro Anselmo

Nessuno squillo di campana, stavolta la macchina pubblicitaria è rimasta silenziosa.
Davanti alle vetrine delle librerie l'occhio si posa distratto sul soliti titoli, eppure in un cantuccio, seminascosto su uno dei tavoli interni o allineato con altri volumi sugli scaffali, c'è un libro destinato a far discutere. "Chiesa, ecumenismo e politica" è il titolo dell'ultimo lavoro di Joseph Ratzinger pubblicato dalle Paoline. Dunque il cardinale prefetto della Sacra Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio), massima autorità vaticana dopo il Papa, scende di nuovo in campo. Ma stavolta in punta di piedi, quasi a non voler riaccendere le roventi polemiche che accompagnarono due anni fa l'uscita di un altro libro, "Rapporto sulla fede", prima e robusta sortita di Ratzinger in campo aperto, sul fronte insidioso della battaglia delle idee.
Un confronto a muso duro con la società e la cultura contemporanea, senza balbettii né cedimenti:
"Rapporto sulla fede", la lunga intervista rilasciata a Vittorio Messori, tradotta in 12 lingue e discussa in tutto il mondo fu una confessione schietta e sotto certi aspetti brutale.

Parole chiare

Ratzinger parlò chiaro. I cattolici sono ormai minoranza e non sembrano attrezzati per affrontare la sfida dei tempi. La Chiesa del dopo Concilio è diventata un grande cantiere, "ma un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto".
Dopo la fase delle "aperture indiscriminate è tempo che il cristiano ritrovi il coraggio dell'anticonformismo, .la capacità di opporsi, di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà post-conciliare".
E Ratzinger bollò con parole durissime l'ideologia liberal-radicale di stampo individualistico che imperversa nell'Occidente opulento, definì la teologia della liberazione una forma di « imperialismo culturale esportato dall'Occidente verso il Terzo Mondo, pronunciò sul marxismo un De Profundis senza appello: Solo dove il monismo-leninismo non è al potere c'è ancora qualcuno che prende sul serio le sue illusorie verità scientifiche.
All'uscita del volume la teologia progressista inorridì.
E la polemica divampò violenta, dividendo gli intellettuali cattolici.
Dov'erano finiti i fermenti del Vaticano II?
Perché tanti distinguo? Si voleva forse intonare il canto funebre per ogni «apertura.»
Oggi, nel suo ultimo libro, il prefetto dell'ex Sant'Uffizio ritorna sugli stessi temi. 
Fede e secolarizzazione, libertà nella Chiesa e impegno politico, marxismo e utopia sono al centro della riflessione. E ancora una volta il confronto con la cultura della modernità è serrato, spesso anche aspro, ma pur sempre sostenuto da un rigor di logica e da una finezza di analisi che rivelano in Ratzinger il teologo di razza. 
Anche quest'ultimo lavoro sembra tuttavia destinato a dividere: lineari e fermi i giudizi sulla perdita dei valori e la scristianizzazione della società, serrata la critica alle «forze disgreganti» all'interno del cattolicesimo.
Grande inquisitore, prefetto di ferro, "Panzer-Kardinal'.
Che cosa rappresenta oggi Ratzinger nella Chiesa?
Un grande restauratore o l'ultimo difensore di un'ortodossia assediata fuori dalle mura e vacillante all'interno nelle sue stesse certezze?
L'ultimo crociato' come lo hanno chiamato gli avversari, o il timoniere chiamato a governare la nave nel mare burrascoso di una società ormai post-cristiana? 
Ratzinger è un personaggio scomodo, Ratzinger divide.
Lo critica con asprezza un vaticanista come Giancarlo Zizola autore del volume La restaurazione di Papa Wojtyla. 
E lo difende con fermezza un filosofo come Augusto Del Noce, autore di libri importanti come II problema dell'ateismo e II suicidio della rivoluzione.
Zizola: "A vedere le cose con gli occhi di un laico credente, senza preconcetti e senza schemi mentali, credo che Ratzinger sia un restauratore e che una conferma piena venga anche dal suo ultimo libro. Nel suo percorso intellettuale il cardinale ha spostato progressivamente il suo pensiero: la sua lettura della realtà è passata da un polo teologico francescano-bonaventuriano a un polo teologico agostiniano, che consiste in una ricostruzione della metafisica classica all'interno di una società, — questa società segnata dalla modernità e dalla secolarizzazione —, che il cardinale non accetta. Ratzinger è un 'pessimista che vede il mondo in maniera duale, il bene da una parte e il male dall'altra. E' un pessimista secondo il quale l'unica possibilità di ricostruire una società sana, che sappia garantirsi il futuro, è quella di ritornare alla metafisica classica: in questo senso è "religioso", nel senso della "religio", del legame all'indietro".

L'eredità

Ratzinger guarda all'eredità dei secoli. Ma non è questo l'unico modo per difendere la cittadella cattolica assediata? Per attrezzarla ad affrontare la durissima sfida lanciata da una cultura profana sempre più forte e aggressiva?
Tutti gli scritti di Ratzinger anche quelli piu' recenti rivelalo una notevolissima capacita' di intendere i fatti. Ma questa percezione, secondo me, non è accompagnata da un sufficiente senso della storia. Ratzinger pensa che per affrontare la crisi della modernità l'unica chiave sia quella religiosa.
E questo è il suo limite. La storia non è negatività assoluta: ci sono certo nella crisi dei terribili dati negativi, però ci sono anche dei valori immanenti, parziali, frammentari, che possono essere completati. Non esiste una storia sacra e una profana: esiste una unità della storia come luogo di salvezza. Non si può pensare che la storia non abbia una capacità di ripresa etica.
In questo senso è anacronistico, oggi, che la Chiesa riproponga la validità della propria dottrina in termini manicheistici: tutto il bene di qua, tutto il mate di là...
Del Noce:  Nessuna restaurazione. Se per il pensiero di Ratzinger vogliamo usare questo termine, dobbiamo intenderlo nel significato di restaurazione della novità del cristianesimo che è andata perduta. 
A vent'anni dalla fine del Concilio un dato è incontestabile: il periodo non è stato favorevole alla Chiesa.
Tut'altro. E tuttavia ciò non è avvenuto per un'accresciuta potenza ideologica dei suoi avversari: è avvenuto per un progressivo processo di decadenza, che si è sviluppato proprio sotto il segno di un richiamo al Concilio. Perché questa decadenza? Si diceva che l'aggiornamento della Chiesa doveva consistere in un'accresciuta capacità di parlare all'uomo d'oggi. Niente di più giusto.
Occorreva pero' che l'interpretazione del mondo contemporaneo non fosse mutuata come certezza indiscutibile, dagli avversari del cattolicesimo.

Abbracci 

E proprio questo è avvenuto. "Modernizzazione" e "rivoluzione" sono state le parole d'ordine, positivismo e marxismo i punti di riferimento per il grande abbraccio. Un abbraccio che ha finito di scaricare sul cristianesimo la crisi che travagliava queste forme di pensiero, fino a oscurare la novità del messaggio cristiano. Oggi il marxismo non è più di moda, né credo che il consumismo e l'indifferenza ai valori che contraddistinguono le società occidentali offrano risposte soddisfacenti.
E allora? Per Ratzinger la ragione che sì sottrae allo spazio vitale della fede è destinata a farsi ragione strumentale o funzionale, è destinata a cadere nella sua umiliazione. Quello che il cardinale rivendica è la Novità cristiana contro processi che nell'apparenza del progresso segnano, come egli dice, "una svolta a rovescio nella scala della storia". 
Il rinnovamento proposto dal Concilio non può stare nel tentativo di un'impossibile composizione con forme di pensiero sorte in opposizione al cattolicesimo stesso. Altro che "restaurazione": è alla Novità cristiana che dobbiamo ritornare: E il cardinale indica la strada.
Ma che tipo d'uomo é Ratzinger?
Un intransigente, un duro, una volpe? Vittorio Messori, che gli è stato a fianco per alcuni giorni nel seminario di Bressanone dove il cardinale si reca in vacanza, ne parla cosi: Credo che sia un uomo sofferente, nel senso che ha accettato di fare per puro spirito di servizio un lavoro che certamente gli è molto ingrato
Lui è un professore nato, uno studioso che ama stare con i giovani: quando per spirito di obbedienza ha detto sì prima a Paolo VI che lo aveva nominato arcivescovo di Monaco di Baviera e poi a Giovanni Paolo II che lo aveva chiamato a dirigere l'ex Sant'Uffizio, deve avere indubbiamente sofferto.
Ratzinger è un uomo di scuola, non un uomo da Sant'Uffizio. Un uomo da Sant'Uffizio poteva esserlo Ottaviani, ma Ratzinger no. 
E' un religioso che con lealtà tutta tedesca ha accettato di svolgere questo servizio, ma che ammette anche di avere nostalgia per lo studio e l'insegnamento.
Una lealtà di ferro verso Wojtyla.
Dopo la pubblicazione del Rapporto sulla fede, il cardinale è stato sommerso da una valanga di critiche e di attacchi alla sua persona, anche pesanti. 
Ha accettato critiche e veleni, ma non é mai sceso nell'arena a replicare, se non in un'occasione. Un illustre professore universitario e cattolico dichiarò a un giornale che i rapporti fra Ratzinger e il Papa sono i soliti rapporti fra un tedesco e un polacco: è sempre il tedesco che comanda. Ratzinger si senti in dovere di intervenire. Prese carta e penna, si sedette a tavolino e spedì una lettera al professore. 
Disse che non gli importava che fosse stata chiamata in causa la sua persona, ma che considerava offensiva quell'affermazione verso il Pontefice.

Uomo di humor 

Se gli si chiede se non si sia mai pentito di avere dato l'intervista che è poi diventata il Rapporto sulla fede, il prefetto risponde che gli strilli più acuti sono venuti soprattutto fra gli intellettuali che controllano i mass media. 
Il nuovo potere del Principe, cioè dello Stato, è quello del mass-media, giornali e tv, dominati da una minoranza che dice di rappresentare l'opinione pubblica, ma che in realtà non la rappresenta.
E Ratzinger spiega: da quando è uscito il Rapporto sulla fede, la posta che arriva all'ex Sant'Uffizio si è più che quintuplicata: migliaia di messaggi dal mondo intero, dalla base ecclesiale, dai fedeli, dai non intellettuali, che esprimono gratitudine perché finalmente nella Chiesa si è fatta chiarezza.
E' un uomo di humor — aggiunge Messori — che ama i giochi di parole, gli aneddoti spiritosi, le battute intelligenti: è un uomo che sa ridere, e ridere di cuore.
La definizione di "grande inquisitore" è del tutto fuori posto'. 
Vive come un parroco di campagna e il suo alloggio non ha niente di principesco
La sorella gli fa da governante e a volte lo si incontra per le strade di Roma come un prete qualunque: il basco in testa, una cartella sdrucita piena di documenti. I libri che pubblica gli rendono decine di milioni l'anno in diritti d'autore, ma Ratzinger non li ritira. L'editore ha ricevuto un ordine: li consegni pure a opere di carità.

© Copyright La Stampa, 15 giugno 1987

lunedì 24 giugno 2013

Le radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Un articolo "profetico" di Messori del 1985


LE RADICI DELL'ASTIO NEI CONFRONTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI. LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di Gemma rileggiamo questo articolo di Vittorio Messori, scritto nell'ottobre del 1985, quasi trent'anni fa. 
Si tratta di un documento eccezionale per due motivi: innanzitutto perche' dimostra che l'atteggiamento di certi teologi, intellettuali e giornalisti non e' affatto cambiato in questi decenni. Non ti adatti allo spirito del tempo? Osi dire verita' scomode? E noi ti attacchiamo in ogni modo utilizzando innanzitutto i mass media.
Apprendiamo che Kung usava allora la stessa strategia di oggi: scriveva un articolo che poi veniva tradotto e ripreso dai maggiori quotidiani di tutto il mondo. Non vi ricorda qualcosa? Avete presente quei commenti che nascono in tedesco per poi essere tradotti in francese su Le Monde, in italiano su Repubblica ed in spagnolo su El Pais? Per non parlare delle traduzioni in inglese...
Qui una bella rinfrescatina alla memoria.
L'articolo e' importante anche per un secondo motivo ed e' questo che ci interessa maggiormente. Esso dimostra come l'astio e gli attacchi nei confronti di Joseph Ratzinger vengano da lontano e siano espressione di contestazioni che arrivano da "sinistra" come da "destra".
Non solo! Parliamo di attacchi che non provengono dall'esterno ma dall'interno del Cattolicesimo. Vi ricorda qualcosa?
Questo post e' la "prima pietra" di uno studio che il blog intende intraprendere sulle radici dell'astio (odio?) nei confronti del teologo e del cardinale Ratzinger, tensioni che si sono acuite con l'elezione al Soglio di Pietro.
Vi prego di non farmi mancare le vostre preziose segnalazioni su questo argomento. 
Intanto leggiamo questo articolo di Messori che sembra scritto oggi e non nell'ottobre 1985. 
Raffaella

«E' una campagna contro Ratzinger che mira però allo stesso Magistero»

Vittorio Messori,  Stampa Sera 07/10/1985

E' stato tradotto in italiano un intervento di Hans Kung, il prete svizzero-tedesco, da anni ridotto da docente cattolico a teologo "privato". 
Oggetto del chilometrico intervento il Rapporto sulla fede, il libro intervista del cardinal Ratzinger uscito in queste settimane anche in tedesco.
L'aggressione di Kung contro l'ex collega all'università di Tubingen, con l'insolito rilievo datogli da una catena internazionale di quotidiani, non è che uno tra i tanti episodi della campagna che, a livello mondiale, è in corso contro il prefetto della Congregazione per la Fede e contro il papa stesso che si è riconosciuto nell'intervista del suo principale collaboratore. 
Una vera guerra, che si dice condotta contro il Vaticano, ma che in realtà sembra mirare al magistero stesso della Chiesa e che si svolge, con manovra a tenaglia, su due fronti.
Da un lato muovono contro Roma le rumorose armate "di sinistra" (per quanto possano dirsi di sinistra uomini come un Kung, beniamino dei media dell'occidente opulento e profeta di certa borghesia tedesca). Sul fronte opposto, moltiplicano i loro attacchi gli insidiosi commandos dell'integrismo di destra. 
Tra frastuono di colubrine e scariche di archibugi, qualche colpo vagante finisce addosso anche all'intervistatore, reo di aver fatto il suo mestiere di cronista andando ad ascoltare il Prefetto dell'ex Sant'Uffizio e coperto per questo di contumelie sia da Kung che da monsignor Lefebvre e accoliti.
E' certo comunque che in tutto il mondo (le traduzioni già uscite o in preparazione sono una dozzina), il Rapporto sulla fede si è rivelato come test esemplare degli umori dentro la Chiesa. 
Scorrendo l'impressionante rassegna stampa internazionale colpisce subito un fatto:  le reazioni più virulente non vengono dall'esterno ma dall'interno stesso del cattolicesimo. 
Tanto che un commentatore ha osservato con qualche amarezza: «Il problema più grave della Chiesa d'oggi non è quello degli ex cattolici che se ne vanno ma quello degli ex cattolici che restano, dicendo che i veri credenti sono loro».
Ci sarebbe da temere che quanto sta succedendo giustifichi il lucido realismo del cardinal Ratzinger secondo il quale la Chiesa potrebbe rivelarsi ormai ingovernabile da Roma
Come ci disse allargando le braccia dopo averci elencato per giorni guasti e pericoli: «La Chiesa è di Cristo, alla fine tocca a lui salvarla in questa tempesta, noi siamo più che mai servi inutili».
Eppure, non è affatto detto che coloro che si sono autoproclamati "portavoci della base ecclesiale", "paldini del popolo di Dio", lo siano per davvero.
Per esempio, in una recente intervista, il direttore di Fayard-Hachette, il maggior gruppo editoriale di Francia ed editore della traduzione del rapporto di Ratzinger, confidava sconcertato: «Per nessun altro libro abbiamo dovuto registrare una campagna così sapientemente orchestrata di diffamazioni, falsità, calunnie da parte della lobby che con pugno di ferro controlla da noi l'informazione religiosa».
Ma, continuava quell'editore, «a questo fuoco di sbarramento ha fatto contrasto una diffusione di massa, davvero popolare con le prime quarantamila copie esaurite in agosto, a librerie in gran parte chiuse. 
Siamo sommersi da lettere e telefonate di lettori non specialisti, non teologi, non giornalisti che ci ringraziano: finalmente parole chiare e comprensibili a tutti, finalmente qualcuno si rivolge spiegando,  alle maggioranze, sprezzate dagli scribi di sempre».
La stessa forbice tra accoglienza ostile della intelligentia e favore, quando non entusiasmo, tra la gente comune, è segnalata dagli altri editori del mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti fino alla Germania.
Qui, lo sfogo di Kung non è casuale: si sa da fonte certa che, nel paese stesso di Ratzinger, l'ordine di scuderia era il silenzio
Ma, come confessa lo stesso teologo, non era più possibile tacere, vista la simpatia popolare che anche lì aveva circondato subito il libro.
C'è qualcuno che da tempo sospetta che non sia che un mito la convinzione che i giornali rappresentino l'opinione pubblica. 
Può darsi che questo sia vero in generale, è certamente vero nella Chiesa, legata a un Vangelo che qui è più che mai esplicito: «Queste cose saranno rivelate ai semplici e nascoste agli intellettuali». I quali intellettuali, i soli ad aver accesso ai media, giurano a ogni capoverso di "rappresentare la Chiesa dal basso", "di esporre la ragione degli ultimi". 
C'era da diffidare di queste autoinvestiture, ciò che sta avvenendo in questi mesi conferma la diffidenza. 
Chissà che chi più parla di "popolo di Dio" non sia il realtà il meno autorizzato a parlare a suo nome? Chi rappresenta chi nella Chiesa? E' forse la domanda più urgente che i cattolici dovrebbero porsi con sincerità nei loro tanti numerosi convegni e congressi.

© Copyright La Stampa, 7 ottobre 1985

sabato 15 giugno 2013

Che cosa ci insegna l'enciclica a quattro mani (Messori)

Quattro mani e una sola guida Che cosa ci insegna l'enciclica 

Vittorio Messori

I portavoce vaticani avevano cercato di smussare la realtà, avevano parlato di un documento di cui Benedetto XVI aveva abbozzato qualche parte e che Francesco avrebbe ripreso e completato;  dicevano di una traccia del Papa emerito che il Papa regnante avrebbe sviluppato di persona. 
Invece, sarà proprio una «enciclica a quattro mani»: così, testuale, lo schietto annuncio di Bergoglio in un'occasione ufficiale, il discorso alla Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi. Dunque, ecco un'altra «prima volta» del pontefice argentino: un documento dottrinale di primaria importanza, addirittura sulla fede— dunque, sulla base stessa della Chiesa — voluto, pensato e in gran parte scritto da un Papa e firmato da un altro. Un altro che ha annunciato nella stessa occasione che non mancherà di dire subito ai destinatari della lettera circolare alla cristianità (tale il significato di enciclica) di «avere ricevuto da Benedetto XVI un grande lavoro e di averlo condiviso, trovandolo un testo forte».
Certo, ogni Papa nei documenti a sua firma ha sempre citato i suoi predecessori: ma in nota, come  fonti, non certo come coautori. Anzi, viene subito da pensare — con un po' di ironia amara — che nel caso della rinuncia di Celestino V al pontificato, il suo successore Bonifacio VIII lo fece incarcerare in un luogo nascosto per paura di uno scisma e poi braccare quando fuggì. 
Ma cerchiamo di capire come si sia giunti a questa situazione inedita. Preoccupazione primaria di  Joseph Ratzinger — come studioso, poi come cardinale e infine come Papa — è stata sempre quella di tornare ai fondamenti, di ritrovare le basi del cristianesimo, di riproporre un'apologetica adatta  all'uomo contemporaneo. 
Per questo, aveva progettato una trilogia sulle virtù maggiori, quelle dette «teologali»: così, ecco un'enciclica sulla carità e una sulla speranza. Restava quella sulla fede, che contava di pubblicare entro l'autunno di questo 2013, al termine cioè dell'anno che aveva voluto dedicare proprio alla riscoperta delle ragioni per credere nel Vangelo. Il lavoro era già avanzato, quando ha dovuto constatare che l'avanzare dell'età non gli permetteva più di portare sulle spalle il fardello del pontificato.
Forse — libero dagli impegni di vescovo di Roma — le forze gli sarebbero bastate per concludere il testo e pubblicarlo, «declassandolo» da enciclica pontificia a opera di semplice studioso, come già ha fatto con i tre volumi dedicati alla storicità di Gesù. Volumi che non hanno valore magisteriale ma che sono aperti al dibattito degli esperti. È probabile che si sia consultato al proposito con Francesco ed è altrettanto probabile che sia stato lui ad assumersi ben volentieri il compito di utilizzare il lavoro già compiuto, portandolo a termine e firmandolo con il suo nome. 
In qualche ambiente ecclesiale c'è sconcerto: l'idea di un documento papale di questa importanza e su un tema tanto decisivo redatto insieme lascia perplessi molti. A noi invece, per quanto vale, la cosa piace, la novità ci sembra preziosa perché potrebbe aiutare a ritrovare una prospettiva che anche molti credenti sembrano aver dimenticato. Quella prospettiva di fede, cioè, secondo la quale ciò che importa non è il Papa in quanto persona, dunque con un nome, una storia, una cultura, una nazionalità, un carattere. Ciò che importa è il papato, l'istituzione voluta dal Cristo stesso con un compito: quello di condurre il gregge, da buoni pastori, nelle tempeste della storia, senza deviare dal giusto percorso. 
Il Papa (ovviamente sempre per gli occhi del credente) esiste perché sia maestro di fede e di morale, ma non dicendo cose sue, bensì aiutando a comprendere la volontà divina, annunciando la vita eterna che attende ciascuno al termine del cammino terreno, vigilando perché non si cada nel precipizio dell'errore. 
E per questo gli è assicurata l'assistenza dello Spirito Santo che lo preservi dallo smarrire egli stesso la strada. Nel suo insegnamento, il pontefice romano non è «un autore», di cui apprezzare le qualità: anzi tradirebbe il suo ruolo se dicesse cose affascinanti e originali ma fuori dalla linea indicata da Scrittura e Tradizione. A lui non è concesso il «secondo me», che è invece proprio dell'eresia.
Semplificando all'estremo, potremmo dire che «un Papa vale l'altro» in quanto alla fine non conta la sua personalità ma la sua docilità e fedeltà come strumento dell'annuncio evangelico. L'aneddotica sui pontefici, sulla loro vita quotidiana, può essere interessante, ma non è influente sulla loro missione. Ciò che importa davvero, lo dicevamo, è il papato come istituzione perenne sino alla Parusia, sino alla fine della storia e al ritorno del Cristo; istituzione, che per il cattolico non è un peso da sopportare ma un dono di cui essere grato. Ci sia o no, il pontefice del momento, «simpatico» a viste umane, amiamo o no il suo carattere e il suo stile, Joseph Ratzinger e Jorge Bergoglio hanno, come ogni uomo, grandi diversità tra loro ma non possono divergere (e il Cielo veglia proprio perché questo non avvenga) allorché parlano del Cristo e del suo insegnamento da maestri di fede e di morale. In quanto strumenti - «semplice e obbediente operaio nella vigna del Signore », disse di sé Benedetto XVI nel suo primo discorso — sono in qualche modo intercambiabili. Possono approfondire il significato del Vangelo, aiutare a comprenderlo meglio per il loro tempo, ma sempre nel solco di Scrittura e Tradizione: non è loro lecito essere «creativi». Non sono «scrittori» ma guide, guidate a loro volta da un Altro. 
Proprio per questo non ci dispiace affatto, anzi ci sembra preziosa l'occasione offerta ora da una di quelle che Hegel chiamerebbe «le astuzie della storia»: proprio per un documento che riannuncia la fede, cioè la base di tutto, un Pontefice emerito e uno regnante mostrano che gli uomini sono diversi ma che la prospettiva di chi è chiamato a condurre la Catholica è eguale, la direzione è la stessa. Ed  eguali sono, in fondo, anche le parole per riproporre la scommessa sulla verità del cristianesimo. 
Dunque, nessuno scandalo per le «quattro mani». 

© Copyright Corriere della sera, 15 giugno 2013

C'era una volta la mia ammirazione per Adriano Celentano... (Raffaella)

Clicca qui per leggere il sermone di Adriano in prima pagina su Repubblica.
Dispiace che nessuno abbia colto ed apprezzato la sottile ed intelligente provocazione di Messori su Gesu' che veste Armani o il richiamo al fatto che gli Apostoli tenessero una "cassa" dalla quale Giuda attingeva a piene mani essendone il custode.
Celentano ci fa oggi una predica che definire politicamente corretta e' un eufemismo :-)
C'era una volta la mia ammirazione per lui che considero uno dei piu' grandi artisti italiani.
Ora mi scivola sulle scarpe rosse e gli scarponi neri...
Troppo comodo...argomento mediaticamente corretto che porta solo applausi. Eh no, Adriano!
Mi fa francamente ridere questa storia anche perche' tutti i Papi hanno portato le scarpe rosse non per vezzo personale ma perche' il rosso e' il colore del martirio. Di qui anche la scelta della mozzetta rossa.
Celentano entri nella Basilica Vaticana e osservi le scarpe dei Papi i cui corpi sono esposti, Roncali compreso (camauro compreso).
E' facile confrontare Francesco sempre e solo con Papa Benedetto. Troppo comodo...troppo "corretto".
Quanto e' importante percio' che i Papi non facciano a gara a distinguersi dai predecessori!
La continuita' e' fondamentale anche negli abiti proprio per evitare questi giochini dei media a discapito dell'uno o dell'altro Pontefice.
E poi dove ci porta la continua distinzione?
Mah...magari il prossimo Papa potrebbe decidere di mettere le scarpe verdi con le lucette laterali.
Dove sta il rischio? Facile! Se sara' un Pontefice amato dai mass media, ci saranno elogi a non finire per la novita' e per il fatto che finalmente il Vicario di Cristo si adatta ai tempi moderni ed alle mode giovanili. Se, al contrario, sara' persona invisa ai mezzi di comunicazione, si dira' che e' eccentrico, vanitoso e demagogo perche' non porta gli scarponi neri :-))
E' tutta una questione di mass media, caro Adriano...
Raffaella

giovedì 13 giugno 2013

Messori: Non è intenzione di Francesco, però i suoi discorsi vengono dipinti con demagogia. Le scarpe nere? Problema fisico (Tecce)

Clicca qui per leggere l'intervista.
Vedo che Messori e in forma e me ne rallegro :-))
Anche una mia amica :-) aveva ipotizzato che la scelta delle scarpe nere (che Bergoglio non ha mai cambiato dopo l'elezione) fosse dettato da motivi diversi dal rifiuto di portare i mocassini rossi.
Se e' cosi' pero' perche' non dirlo chiaramente? Perche' permettere che anche la storia delle scarpe rosse (fra l'altro il colore non e' un vezzo ma il simbolo del martirio) diventi motivo di rallegrarsi per la discontinuita' fra Pontificati? Visto che si parla sempre chiaramente, lo si faccia anche per smentire cattiverie se non veri e propri insulti contro Benedetto XVI.

Messori: “Il problema è la doppia vita. I prelati sono a rischio ricatto” (Tornielli)

Clicca qui per leggere l'intervista.

mercoledì 22 maggio 2013

Joseph Ratzinger: Checché ne dicano certi teologi superficiali, il Diavolo è, per la fede cristiana, una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica. Ed è una realtà potente

Su segnalazione di MedievAle, che ringraziamo di cuore, rileggiamo i seguenti brani tratti da "Rapporto sulla fede", Joseph Ratzinger a colloquio con Vittorio Messori:

CAPITOLO DECIMO

SU ALCUNE "COSE ULTIME"

Il Diavolo e la sua coda

Tra le molte cose dettemi dal card. Ratzinger e anticipate nel servizio giornalistico che ha preceduto questo libro, è un aspetto non centrale che sembra avere monopolizzato l'attenzione di tanti commentatori. Molti articoli (con relativi titoli) sono stati dedicati non tanto alle severe analisi teologiche, esegetiche, ecclesiologiche del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, quanto, piuttosto, agli accenni (pochi capoversi su decine di cartelle) a quella realtà che la tradizione cristiana indica con il nome di "Diavolo Demonio Satana".

Perché questo accentrarsi dell'attenzione dei commentatori su un tema che pure, ripetiamo, non era affatto centrale nel discorso del Prefetto?

Gusto del pittoresco, curiosità divertita per quello che molti (magari anche tra i cristiani) considerano come una sopravvivenza folkloristica, come un aspetto comunque "inaccettabile per una fede divenuta adulta"? O qualcosa di più, di più profondo, un'inquietudine mascherata dal riso? Serena tranquillità o esorcismo che prende la forma dell'ironia?

Non tocca a noi rispondere. A noi tocca semmai registrare il fatto oggettivo: non c'è argomento come quello del "Diavolo" che risvegli subito il rimescolio frenetico dei mass media della società secolarizzata.

È difficile dimenticare l'eco - immensa e non soltanto ironica, anzi talvolta rabbiosa - suscitata da un papa, Paolo VI, il quale, nell'allocuzione durante l'udienza generale del 15 novembre 1972 ritornò su quanto aveva detto il 29 giugno precedente nella basilica di san Pietro dove, rifacendosi alle condizioni della Chiesa, confidava: "Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio". Aveva poi aggiunto che "se tante volte nel vangelo, sulle labbra di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini", anche per il nostro tempo egli, Paolo VI, credeva "in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico e per impedire alla Chiesa di prorompere nell'inno della gioia, seminando il dubbio, l'incertezza, la problematica, l'inquietudine, l'insoddisfazione".

Già a quei primi cenni si levarono nel mondo brontolii di protesta.

La quale esplose senza freni - durando mesi, nei media del mondo intero - in quel 15 novembre 1972 divenuto famoso: "Il male che è nel mondo è occasione e effetto d'un intervento in noi e nella nostra società d'un agente oscuro e nemico, il Demonio. Il male non è soltanto una deficienza, ma un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale fantastica delle cause ignote dei nostri malanni".

Dopo una serie di citazioni bibliche ad appoggio del suo discorso, Paolo VI aveva proseguito: "Il Demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e agisce ancora, è l'insidiatore sofistico dell'equilibrio morale dell'uomo, il perfido incantatore che in noi sa insinuarsi (per la via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica o dei disordinati contatti sociali) per introdurvi deviazioni...".

Il Papa aveva poi lamentato l'insufficiente attenzione al problema da parte della teologia contemporanea: "Sarebbe, questo sul Demonio e sull'influsso che egli può esercitare, un capitolo molto importante da ristudiare della dottrina cattolica, mentre oggi poco lo è".

Sull'argomento, a difesa ovviamente della dottrina ribadita dal papa, intervenne poi la Congregazione per la dottrina della fede con il documento del giugno 1975: "Gli enunciati sul Diavolo sono un'affermazione indiscussa della coscienza cristiana"; se "l'esistenza di Satana e dei demoni non è mai stata fatta oggetto di una dichiarazione dogmatica", è proprio perché sembrava superflua, essendo quella credenza ovvia "per la fede costante e universale della Chiesa basata sulla sua fonte maggiore: l'insegnamento del Cristo, oltre che su quell'espressione concreta della fede vissuta che è la liturgia, che sempre ha insistito sulla esistenza dei demoni e sulla minaccia che essi costituiscono".

A un anno dalla morte, Paolo VI volle ritornare ancora sull'argomento, in un'altra udienza generale: "Non è meraviglia se la nostra società degrada e se la Scrittura acerbamente ci ammonisce che " tutto il mondo (nel senso deteriore del termine) giace sotto il potere del "Maligno", quello che la stessa Scrittura chiama " il Principe di questo mondo "".

Ogni volta, dopo le parole del Papa, furono grida, proteste: e curiosamente, soprattutto in quei giornali e da parte di quei commentatori ai quali nulla dovrebbe importare della riaffermazione di un aspetto di una fede che dicono di rifiutare nella sua totalità. In questa loro prospettiva, l'ironia è giustificata. Ma l'ira, perché?

Un discorso sempre attuale

E stato così puntualmente, anche questa volta, dopo il nostro anticipo delle affermazioni su questo argomento del card. Ratzinger. Diceva quel sommario delle sue parole, inserite nel discorso su certa caduta della tensione missionaria, conseguente al fatto che alcuni autori portano oggi quella che egli chiama "un'enfasi eccessiva sui valori delle religioni non cristiane" (il riferimento del Prefetto era rivolto in quel momento in modo speciale all'Africa):

"Non sembra il caso di esaltare la condizione precristiana, quel tempo degli idoli che era anche il tempo della paura, in un mondo dove Dio è lontano e la terra è abbandonata ai demoni. Come già avvenne nel bacino del Mediterraneo al tempo degli apostoli, così in Africa l'annuncio del Cristo che può vincere le forze del male è stato un'esperienza di liberazione dal terrore. Il paganesimo innocente, sereno, è uno dei tanti miti dell'età contemporanea".

Ratzinger aveva poi continuato: "Checché ne dicano certi teologi superficiali, il Diavolo è, per la fede cristiana, una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica. Ed è una realtà potente ("il Principe di questo mondo", come lo chiama il Nuovo Testamento, che più e più volte ne ricorda l'esistenza), una malefica libertà sovrumana opposta a quella di Dio: come mostra una lettura realistica della storia, con il suo abisso di atrocità sempre rinnovate e non spiegabili soltanto con l'uomo. Il quale da solo non ha la forza di opporsi a Satana; ma questo non è un altro dio, uniti a Gesù abbiamo la certezza di vincerlo. E Cristo il "Dio vicino" che ha forza e volontà di liberarci: per questo il Vangelo è davvero "buona notizia". E per questo dobbiamo continuare ad annunciarlo a quei regimi di terrore che sono spesso le religioni non cristiane. Dirò di più: la cultura atea dell'Occidente moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo. Ma se questa luce redentrice del Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sapienza e con tutta la sua tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici".

È nostro dovere di informatori segnalare che simili dichiarazioni sono (com'è ovvio) del tutto nel quadro della dottrina tradizionale della Chiesa, quella stessa ribadita dal Vaticano II che di "Satana", "Demonio", "Maligno", " antico Serpente ", " Potere delle tenebre ", " Principe di questo mondo " parla in 17 passi e per ben cinque volte lo fa nella Gaudium et spes, il testo più " ottimista " dell'intero Concilio. Eppure, in quel documento i Padri non esitano a scrivere, tra l'altro: "Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le Potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno" (G.S., n. 37).

Quanto alle religioni non cristiane, e al Cristo liberatore anche dalla paura, è ben vero che il Vaticano II apre fortunatamente una nuova fase, di dialogo autentico, con le religioni non cristiane ("La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini", Nostra Aetate, n. 2). Ma lo stesso Concilio, nel Decreto sull'attività missionaria, per tre volte nel testo e una volta in una nota, ribadisce la dottrina tradizionale, che è direttamente biblica, come il Concilio stesso ricorda con abbondanza di citazioni scritturali: "Dio ( ... ) inviò suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre e di Satana (Col 1,13; Atti 10,38)" (Ad gentes, n. 3). "Cristo rovescia il regno del Demonio e allontana la multiforme malizia del peccato" (Ad gentes, n. 9). "Siamo liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal Potere delle tenebre"; e qui, "intorno a questa liberazione dalla schiavitù del demonio e delle tenebre" come dice il testo, una nota ufficiale rinvia a cinque passi del Nuovo Testamento e alla liturgia del Battesimo Romano (n. 14).

Questo constatiamo per dovere di informazione oggettiva, ben consapevoli tuttavia del fatto che è sempre rischioso (e talvolta fuorviante) andare raccogliendo citazioni isolate dal contesto.

Per quanto riguarda infine il riferimento di Ratzinger all'attualità ("crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici"), chi è informato sa bene che ciò che emerge nell'attualità ed appare sui giornali è già inquietante, ma non è che la punta di un iceberg che ha le sue basi proprio nelle zone del mondo più avanzate tecnologicamente, a cominciare dalla California e dal Nord Europa.

Tutte le precisazioni e le constatazioni che abbiamo fatto sono necessarie ma al contempo inutili, ignorate come sono a priori da commentatori per i quali ogni accenno a queste realtà inquietanti è "medievale". Dove Medio Evo, naturalmente, è inteso nell'accezione dell'uomo della strada, che di quella "età di mezzo" ha ancora la visione imposta dai libellisti anticristiani e dai romanzieri popolari del Settecento e dell'Ottocento europei.

" Un addio" sospetto

Joseph Ratzinger, forte anche dei suoi vastissimi studi teologici, non è uomo che si lasci impressionare dalle reazioni né di giornalisti né di certuni "specialisti". Si legge in un documento a sua firma questa esortazione tratta dalla Scrittura: "E necessario resistere, forti nella fede, all'errore, anche quando si manifesta sotto l'apparenza di pietà, per potere abbracciare gli erranti nella carità del Signore, professando la verità nella carità".

Non mette di certo al centro della sua riflessione il discorso sul Diavolo (ben consapevole che ciò che è decisivo è semmai la vittoria che su di esso ha riportato il Cristo), ma un simile discorso gli sembra esemplare perché gli permette di denunciare metodi di lavoro teologico che giudica inaccettabili. Anche per questo carattere di "esemplarità" non sembri eccessivo lo spazio dato all'argomento. Qui, del resto (lo vedremo) è in gioco anche l'escatologia, dunque la fondamentale, irrinunciabile fede cristiana nell'esistenza di un'aldilà.

È certo per questo che uno dei suoi libri più noti - Dogma e predicazione - inserisce la trattazione della dottrina tradizionale sul Demonio nei "temi basilari della predicazione". Ed è ancora per questo, crediamo, che - già Prefetto della Congregazione per la fede - ha steso la prefazione al libro di un suo collega nel cardinalato, Léon Joseph Suenens, intenzionato a ribadire la visione cattolica di Satana come "realtà non simbolica, ma personale".

Mi ha parlato del celebre libretto con il quale un suo collega, docente di esegesi all'università di Túbingen, ha voluto, sin dal titolo, dire "addio al Diavolo". (Tra l'altro - è un piccolo aneddoto raccontandomi il quale ha riso di gusto - quel volume gli fu donato dall'autore in occasione della festicciola tra professori per salutarlo dopo che il Papa lo aveva designato arcivescovo di Monaco. Diceva la dedica sul libro: "Al caro collega professor Joseph Ratzinger, dire addio al quale mi costa assai di più che dire addio al diavolo...").

L'amicizia personale con il collega non gli ha impedito allora né gli impedisce adesso di seguire la sua linea di azione: "Noi dobbiamo rispettare le esperienze, le sofferenze, le scelte umane, anche le esigenze concrete che si trovano dietro certe teologie. Ma dobbiamo però contestare con estrema risolutezza che si tratti ancora di teologie cattoliche".

Per lui, quel libro scritto per congedarsi dal Diavolo (e che prende ad esempio di una serie intera che da qualche anno giunge in libreria) non è "cattolico" perché "è superficiale l'affermazione nella quale culmina tutta l'argomentazione: " Nel Nuovo Testamento il concetto di diavolo sta semplicemente al posto del concetto di peccato, di cui il diavolo non è che un'immagine, un simbolo"". Ricorda, Ratzinger, che "quando Paolo VI sottolineò la reale esistenza di Satana e condannò i tentativi di dissolverlo in un concetto astratto, fu quello stesso teologo che - dando voce all'opinione di tanti suoi colleghi rimproverò al Papa di ricadere in una visione arcaica del mondo, di fare confusione tra ciò che nella Scrittura è struttura di fede (il peccato) e ciò che non è che espressione storica, transitoria (Satana)".

Osserva invece il Prefetto (rifacendosi del resto a ciò che già aveva scritto da teologo) che "se si leggono con attenzione questi libri che vorrebbero sbarazzarsi dell'ingombrante presenza diabolica, alla fine se ne esce convinti del contrario: gli evangelisti ne parlano molto e non intendono affatto parlarne in senso simbolico. 
Come Gesù stesso' erano convinti - e così volevano insegnare - che si tratta di una potenza concreta, non certo di un'astrazione. L'uomo è minacciato da essa e ne viene liberato per opera di Cristo, perché Egli solo, nella sua qualità di " più forte ", può legare l'uomo "forte" per usare le stesse parole evangeliche".

"Biblisti o sociologi?"

Ma allora, se l'insegnamento della Scrittura sembra così chiaro, come giustificare la sostituzione (oggi così diffusa tra gli specialisti) con l'astratto "peccato " del concreto "Satana"?

È proprio qui che individua un metodo utilizzato da molta esegesi e da molta teologia contemporanee e che vuole respingere: "In questo caso specifico, si ammette - non può farsi diversamente - che Gesù, gli apostoli, gli evangelisti erano convinti dell'esistenza delle forze demoniache. Ma, nello stesso tempo, si dà per scontato che in questa loro credenza erano " vittime delle forme di pensiero giudaiche di allora ". Ma, siccome si dà anche per scontato che "quelle forme di pensiero non sono più conciliabili con la nostra immagine del mondo ", ecco che per una sorta di gioco di prestigio ciò che si considera incomprensibile all'uomo medio di oggi viene cancellato".

Dunque, continua, "ciò significa che per dire "addio al Diavolo" non ci si appoggia sulla Scrittura (la quale, anzi, afferma proprio il contrario) ma si fa riferimento a noi, alla nostra visione del mondo. Per congedarsi da questo e da ogni altro aspetto della fede scomodo al conformismo contemporaneo non ci si comporta pertanto come esegeti, come interpreti della Scrittura, ma come uomini del nostro tempo".

Da questi metodi discende per lui una conseguenza grave: "Alla fine, l'autorità sulla quale simili specialisti della Bibbia basano il loro giudizio non è la Bibbia stessa, ma la visione del mondo contemporanea al biblista. Il quale parla dunque come filosofo o come sociologo e la sua filosofia non consiste che in una banale, acritica adesione alle sempre provvisorie persuasioni dell'epoca".

Dunque, se ho ben capito, sarebbe il rovesciamento del tradizionale metodo di lavoro teologico: non più la Scrittura che giudica il "mondo", ma il "mondo" che giudica la Scrittura.

"In effetti - dice -. È la ricerca continua di un annuncio che presenti ciò che già sappiamo o che comunque sia gradito a chi ascolta. Comunque, per quanto è del Diavolo, la fede anche di oggi ne confessa, come sempre ha fatto, la realtà misteriosa e insieme oggettiva, personale. Ma il cristiano sa che chi teme Dio non deve temere niente e nessuno: il timore di Dio è fede, qualcosa di ben diverso da un timore servile, da una paura dei demoni. Eppure, il timore di Dio è anche qualcosa di molto diverso da un coraggio millantatore che non vuole vedere la serietà della realtà. È proprio del vero coraggio non nascondersi le dimensioni del pericolo, ma considerarle con realismo".

Secondo il Cardinale, la pastorale della Chiesa deve "trovare il linguaggio adatto per un contenuto sempre valido: la vita è una questione estremamente seria, dobbiamo stare attenti a non rifiutare la proposta di vita eterna, di eterna amicizia col Cristo che viene fatta a ciascuno. Non dobbiamo adagiarci nella mentalità di tanti credenti d'oggi, i quali pensano che basti comportarsi più o meno come si comporta la maggioranza e per forza tutto andrà bene".

Continua: "La catechesi deve tornare ad essere non un'opinione accanto a un'altra ma una certezza che attinge alla fede della Chiesa, con i suoi contenuti che sorpassano di gran lunga l'opinione diffusa. Invece, in non poca catechesi moderna la nozione di vita eterna si trova appena accennata, la questione della morte è solo sfiorata e, la maggior parte delle volte, lo è solo per interrogarsi sul come ritardarne l'arrivo o per renderne meno penose le condizioni. Sparito in tanti cristiani il senso escatologico, la morte è stata circondata dal silenzio, dalla paura o dal tentativo di banalizzarla. Per secoli la Chiesa ci ha insegnato a pregare perché la morte non ci sorprenda all'improvviso, dandoci tempo per prepararci; ora è proprio la morte improvvisa che viene considerata una grazia. Ma non accettare e non rispettare la morte significa non accettare e non rispettare neppure la vita".

Dal purgatorio al limbo

Sembra, dico, che l'escatologia cristiana (quando ancora se ne parla) sia ridotta al solo " paradiso ", anche se questo nome stesso fa problema, lo si scrive tra virgolette; non mancano neppure qui le voci per dissolverlo in qualche mito orientale. Saremmo tutti contenti - è ben chiaro - se nel nostro futuro non fosse possibile altro che la felicità eterna. E in effetti, chi rilegge i vangeli vi trova innanzitutto la buona notizia per eccellenza, l'annuncio consolante dell'amore senza fine e misura di Dio. Ma, accanto a questo, nei vangeli troviamo anche la chiara indicazione che uno scacco è possibile, che un nostro rifiuto dell'amore non è impossibile. Proprio perché " veri ", i vangeli non sono testi al contempo consolanti e impegnativi, proposte rivolte a uomini liberi e quindi aperti a diversi destini? Il purgatorio, ad esempio che fine ha fatto?

Lo vedo scuotere il capo: "Il fatto è che oggi tutti ci crediamo talmente buoni da non potere meritare altro che il paradiso! Qui c'è certamente la responsabilità di una cultura che, a forza di attenuanti e alibi, tende a sottrarre agli uomini il senso della loro colpa, del loro peccato. Qualcuno ha osservato che le ideologie che oggi dominano sono tutte unite da un comune dogma fondamentale: l'ostinata negazione del peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all'inferno, al purgatorio. Ma nel silenzio attorno al purgatorio c'è anche qualche altra responsabilità".

Quale?

"Lo scritturismo di origine protestante che è penetrato anche nella teologia cattolica. Per cui si afferma che non sarebbero sufficienti e sufficientemente chiari i testi della Scrittura su quello stato che la Tradizione ha chiamato " purgatorio " (forse il termine è tardivo, ma la realtà appare subito creduta dai cristiani). Ma questo scritturismo, ho già avuto occasione di dirlo, ha poco a che fare con il concetto cattolico di Scrittura, che va letta nella Chiesa e con la sua fede. lo dico che se il purgatorio non esistesse, bisognerebbe inventarlo".

E per qual motivo?

"Perché poche cose sono così spontanee, umane, universalmente diffuse - in ogni tempo, in ogni cultura - della preghiera per i propri cari defunti".

Calvino, il riformatore di Ginevra, fece frustare una donna sorpresa a pregare sulla tomba del figlio e dunque, secondo lui, colpevole di "superstizione".

"La Riforma in teoria non ammette purgatorio, dunque non ammette preghiera per i defunti. In realtà, almeno i luterani tedeschi nella pratica vi sono ritornati e trovano anche delle argomentazioni teologiche degne di attenzione per darle un fondamento. Pregare per i propri cari è un moto troppo spontaneo per soffocarlo; è una testimonianza bellissima di solidarietà, di amore, di aiuto che va al di là delle barriere della morte. Dal mio ricordo o dalla mia dimenticanza dipende un poco della felicità e dell'infelicità di chi mi fu caro ed è passato ora all'altra sponda ma non cessa di avere bisogno del mio amore".

Però, il concetto di " indulgenza -, ottenibile per se stessi in vita o per qualcuno in morte, sembra sparito dalla pratica e forse anche dalla catechesi ufficiale.

"Non direi sparito, direi indebolito, perché non ha evidenza nel pensiero attuale. La catechesi, però, non ha il diritto di ometterne il concetto. Non ci si dovrebbe vergognare di riconoscere che - in certi contesti culturali - la pastorale ha difficoltà a rendere comprensibile una verità della fede. Forse questo è il caso dell' "indulgenza". Ma i problemi di ritraduzione in linguaggio contemporaneo non significano certo che la verità di cui si tratta non sia più tale. E ciò valga per molti altri aspetti della fede".

Sempre a proposito di escatologia, è però sparito il "limbo", quel luogo intermedio dove andrebbero i bambini morti senza battesimo, dunque con la sola "macchia" del peccato originale. Non ce ne è più traccia, ad esempio, nei catechismi ufficiali dell'episcopato italiano.

"Il limbo non è mai stata verità definita di fede. Personalmente - parlando più che mai come teologo e non come Prefetto della Congregazione lascerei cadere questa che è sempre stata soltanto un'ipotesi teologica. Si trattava di una tesi secondaria a servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede: l'importanza del battesimo. Per dirla con le parole stesse di Gesù a Nicodemo: " In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio " (Gv 3,5). Si lasci pure cadere il concetto di " limbo " se è necessario (del resto, gli stessi teologi che lo sostenevano affermavano al contempo che i genitori potevano evitarlo al figlio con il desiderio del suo battesimo e la preghiera); ma non si lasci cadere la preoccupazione che lo sosteneva. Il battesimo non è mai stato, non è né mai sarà cosa accessoria per la fede".

Un servizio al mondo

E qui, dal battesimo risaliamo al peccato e dal peccato allo scomodo argomento da cui eravamo partiti.

Dice, per completare il suo pensiero: "Quanto più si capisce la santità di Dio, tanto più si capisce l'opposizione a ciò che è santo: e cioè, le ingannevoli maschere del Demonio. Esempio massimo di questo è Gesù Cristo stesso: accanto a Lui, il Santo per eccellenza, Satana non poteva nascondersi e la sua realtà era costretta continuamente a rivelarsi. Per questo si potrebbe forse dire che la sparizione della consapevolezza del demoniaco segnala una caduta parallela della santità. Il Diavolo può rifugiarsi nel suo elemento preferito, l'anonimato, quando non risplende, a svelarlo, la luce di chi è unito a Cristo".

Temo proprio, cardinal Ratzinger, che con simili discorsi l'aggrediranno ancora e ancor più violentemente con l'accusa di "oscurantismo".

"Non so che farci. Posso solo ricordare che un teologo così " libero da pregiudizi ", così " moderno " come Harvey Cox scrisse - ed era ancora nella sua fase secolarizzante, demitizzante -che " i mass media (specchio della nostra società) presentando certi modelli di comportamento, proponendo certi ideali umani, fanno appello ai demoni non esorcizzati che stanno in noi e attorno a noi ". Tanto che, per Cox stesso, da parte dei cristiani sarebbe "necessario tornare a chiare parole di esorcismo"".

Dunque, azzardo, la riscoperta dell'esorcismo come una sorta di "servizio sociale"?

Dice: "Chi vede con lucidità i baratri della nostra era vi vede all'opera potenze che si adoperano per disgregare i rapporti tra gli uomini. Il cristiano può allora scoprire che il suo compito di esorcista deve riacquistare quell'attualità che possedette agli inizi della fede. Il termine "esorcismo" non deve evidentemente essere inteso, qui, in senso tecnico ma indicare l'atteggiamento complessivo della fede che " vince il mondo " e ne scaccia il suo " Principe ".
Il cristiano sa - se giunge a scorgere davvero l'abisso - che è debitore di un servizio al mondo. Non lasciamoci contagiare da quella mentalità corrente secondo la quale " con un po' di buona volontà possiamo risolvere tutti i problemi ". In realtà, anche se non avessimo la fede ma fossimo davvero realisti, ci renderemmo conto che senza l'aiuto di una forza superiore - che per il cristiano è solo il suo Signore - siamo prigionieri di una storia insanabile".

Tutto questo non rischia di essere tacciato di pessimismo "?

"No di certo - risponde -, perché se restiamo uniti a Cristo siamo certi di ottenere la vittoria. Ce lo ripete anche Paolo: " Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio per potere resistere alle insidie del Diavolo... " (Ef 6,10 s.). Se guardiamo alla cultura laica più moderna, attenta, ci accorgiamo come l'ottimismo facile, ingenuo si stia rovesciando nel suo contrario: il pessimismo radicale, il nichilismo disperato. Può darsi dunque che quei cristiani accusati sino ad ora di essere " pessimisti " debbano aiutare i fratelli ad uscire dalla disperazione, proponendo loro l'ottimismo radicale - non ingannevole, questo - il cui nome è Gesù Cristo".

Degli angeli da non dimenticare

"Del Diavolo - ha detto qualcuno - si finisce sempre col parlare troppo o troppo poco". Denunciato il " troppo poco " di oggi, il Cardinale ci tiene a tornare sul rischio opposto del " troppo ": "Il mistero dell'iniquità è da inserire nella prospettiva cristiana fondamentale, quella della Risurrezione di Gesù Cristo e della vittoria sulle Potenze del Male. In un'ottica del genere, la libertà del cristiano e la sua tranquilla sicurezza " che scaccia il timore " (1 Gv 4,18) assumono tutta la loro dimensione: la verità esclude il timore e, per ciò stesso, consente di riconoscere la potenza del Maligno.
Se l'ambiguità è la caratteristica del fenomeno demoniaco, l'essenza del combattimento del cristiano contro il Demonio consiste nel vivere giorno per giorno alla chiarezza della luce della fede".

È stato poi notato che, per non squilibrare la verità cattolica, va ricordata ai credenti l'altra faccia della verità che la Chiesa, in accordo con la Scrittura, ha sempre professato: l'esistenza cioè degli angeli buoni di Dio, quegli spiriti che vivono in comunione con gli uomini con il compito di aiutarli nella quotidiana lotta.

Siamo naturalmente anche qui nel regno dello "scandaloso" per una mentalità moderna che crede di tutto sapere. Ma nella fede tout se tient, non si possono isolare o espellere mattoni del complesso edificio: agli angeli misteriosamente " decaduti " e ai quali è stato concesso un oscuro ruolo di tentatori, si affianca "la visione luminosa di un popolo spirituale unito agli uomini nella carità. Un mondo che ha grande spazio nella liturgia dell'Occidente e dell'Oriente cristiani e del quale fa parte la fiducia in quell'ulteriore prova di sollecitudine di Dio per gli uomini che è " l'angelo custode " dato a ciascuno al quale si rivolge una delle preghiere più amate e diffuse della cristianità. È una presenza benefica che la coscienza del popolo di Dio ha sempre colto come un segno concreto e ulteriore della Provvidenza, dell'interesse del Padre per i suoi figli".

Ma il Cardinale sottolinea che "la Realtà opposta alle categorie del demoniaco è la Terza Persona della Trinità, è lo Spirito Santo". Spiega: "Satana è per eccellenza il disgregatore, è il dissolutore di ogni rapporto: quello dell'uomo con se stesso e quelli degli uomini tra loro. È dunque il contrario esatto dello Spirito Santo, " Intermediario " assoluto che assicura il Rapporto sul quale tutti gli altri si fondano e dal quale derivano: il Rapporto trinitario, per mezzo del quale il Padre e il Figlio costituiscono una cosa sola, l'unico Dio nell'unità dello Spirito".

Il ritorno dello Spirito

Oggi, osservo, è in atto una riscoperta dello Spirito Santo, forse troppo dimenticato dalla teologia occidentale. È una riscoperta non solo teorica, ma che coinvolge crescenti masse popolari nei movimenti detti di "Rinnovamento carismatico" o "nello Spirito".

"È così - conferma -. Il periodo postconciliare è sembrato corrispondere ben poco alle speranze di Giovanni XXIII che si riprometteva una "novella Pentecoste". Tuttavia, la sua preghiera non è rimasta inascoltata: nel cuore di un mondo inaridito dallo scetticismo razionalistico è nata una nuova esperienza dello Spirito Santo che ha assunto l'ampiezza di un moto di rinnovamento su scala mondiale. Quanto il Nuovo Testamento scrive a proposito dei carismi che apparvero come segni visibili della venuta dello Spirito, non è più soltanto storia antica, finita per sempre: questa storia ridiventa oggi fremente di attualità".

Non è un caso - sottolinea a conferma della sua visione dello Spirito come antitesi al demoniaco che "mentre una teologia riduzionista tratta il Demonio e il mondo degli spiriti cattivi come una semplice etichetta, nel contesto del Rinnovamento è spuntata una nuova, concreta presa di coscienza delle Potenze del male, beninteso accanto alla serena certezza della Potenza di Cristo che tutte le sottomette".

Dovere istituzionale del Cardinale è però - qui come altrove - esaminare le possibili altre facce della medaglia. Per quanto attiene al movimento carismatico, avverte: "Bisogna innanzitutto salvaguardare l'equilibrio, guardarsi da un'enfasi esclusiva sullo Spirito che, lo ricorda Gesù stesso, non " parla da se stesso" ma vive e opera all'interno della vita trinitaria". Una simile enfasi, dice, "potrebbe portare ad opporre a una Chiesa organizzata sulla gerarchia (fondata a sua volta sul Cristo) una Chiesa " carismatica ", basata soltanto sulla "libertà dello Spirito ", una Chiesa che consideri se stessa come d'avvenimento sempre rinnovato".

"Salvaguardare l'equilibrio - continua - significa anche mantenere il giusto rapporto tra istituzione e carisma, tra fede comune della Chiesa ed esperienza personale. Una fede dogmatica senza esperienza personale resta vuota; una pura esperienza senza legami con la fede della Chiesa è cieca. Alla fine, non è il " noi " del gruppo che conta, bensì il grande " noi " della grande Chiesa universale; la quale, essa sola, può fornire il quadro adeguato per Il non spegnere lo Spirito e tenere ciò che è buono secondo l'esortazione dell'Apostolo".

Inoltre, per esaurire il panorama dei "rischi" "occorre guardarsi da un ecumenismo troppo facile per cui gruppi carismatici cattolici possono perdere di vista la loro identità e unirsi in modo acritico a forme di pentecostalismo di origine non cattolica, in nome appunto dello " Spirito " visto come opposto all'istituzione". I gruppi cattolici di Rinnovamento nello Spirito devono dunque "più che mai sentire cum Ecclesia, agire in ogni caso in comunione con il vescovo, anche per evitare i guasti che si presentano ogni volta che la Scrittura è sradicata dal suo contesto comunitario: il fondamentalismo, l'esoterismo, il settarismo".

Dopo avere messo in guardia dai rischi, il Prefetto vede comunque favorevolmente l'irrompere alla ribalta della Chiesa del movimento di Rinnovamento nello Spirito? "Certamente - conferma - si tratta di una speranza, di un positivo segno dei tempi, di un dono di Dio alla nostra epoca. È la riscoperta della gioia e della ricchezza del pregare contro teorie e prassi sempre più irrigidite e rinsecchite nel razionalismo secolarizzato. lo stesso ne ho constatato di persona l'efficacia: a Monaco, dal movimento mi sono giunte alcune buone vocazioni al sacerdozio. Come dicevo, alla pari di ogni realtà affidata all'uomo, anche questa è esposta a equivoci, a fraintendimenti, a esagerazioni. Il pericolo però sarebbe vedere solo i pericoli e non il dono offertoci dello Spirito. La necessaria cautela non cambia dunque il giudizio positivo di fondo".