giovedì 11 aprile 2013

Non può esistere senza verità. La Pacem in Terris di Giovanni XXIII ed il Magistero di Benedetto XVI (Scaraffia)


Cinquant'anni dopo

Non può esistere senza verità

di Lucetta Scaraffia

Nel messaggio per la quarantaseiesima giornata della pace, il 1° gennaio 2013, Benedetto XVI ricordando la ricorrenza del cinquantesimo dell'enciclica Pacem in terris, ha ripreso la tesi fondamentale di questo documento, e cioè che condizione della pace sia lo stabilirsi di condizioni di verità, giustizia e amore. Per la tradizione cristiana infatti pace non significa solo assenza di guerra fra le nazioni, ma armoniosa convivenza fra tutti gli esseri umani, e di ciascuno con se stesso.
In coerenza con l'affermazione che la verità è uno dei presupposti per la pace, il Papa ha inserito, fra le condizioni favorevoli al mantenimento della pace, il riconoscimento e la promozione della «struttura naturale del matrimonio, quale unione fra un uomo e una donna». Cosa c'entra questa affermazione, che suona come una critica implicita al matrimonio omosessuale, con la pace, hanno obiettato stupiti molti giornali, abituati a considerare la pace solo come questione politica e militare, che non ha nulla a che fare con la cultura e i valori di una società.
È lo stesso stupore che aveva colto il mondo quando madre Teresa di Calcutta, nel ritirare a Stoccolma il premio Nobel per la pace nel 1979, aveva denunciato la diffusione dell'aborto come minaccia per la pace: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l'aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa». Aggiungendo subito dopo che «se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me».
L'enciclica lo spiega invece con chiarezza: «La convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità». L'idea sottesa è quindi che la pace si fondi sulla qualità della convivenza fra gli esseri umani, e non solo su patti e alleanze fra entità politiche, e che debba cominciare da ciascuno di noi, dal suo porsi in rapporto con la verità.
Per questo intralci alla pace sono tutte quelle ideologie che al loro fondo hanno una rappresentazione dell'essere umano indifferente alle leggi di Dio, a quei precetti naturali che Dio ha iscritto nel cuore umano.
Se nel 1963, come insegna l'enciclica, la menzogna più pericolosa era la negazione del carattere naturale della proprietà privata, da alcuni decenni si è aperto un fronte ulteriore di negazione della verità, quello delle questioni bioetiche che vanno dalla legittimazione dell'aborto all'apertura del matrimonio e della filiazione alle coppie omosessuali. 
Nella Caritas in veritate Benedetto XVI mette in guardia sul vero rischio che corriamo: la fine di qualunque forma di umanesimo, grazie alla manipolazione non solo del corpo, ma delle relazioni fondamentali, come quelle tra genitori e figli, e all'indebolirsi di quei rapporti che attraverso la gratuità e il dono affermano la fratellanza e l'uguaglianza tra le persone. Scrive infatti il Papa: «Come ci si potrà stupire dell'indifferenza per le situazioni umane di degrado se l'indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è?».
Dire che il feto è solo un agglomerato di cellule, e non un essere umano, è andare contro un'evidenza naturale, così come il riconoscere lo status di famiglie a unioni che non possono essere fertili matrici di generazione, e che aprono la porta a forme di sfruttamento del corpo femminile come l'utero in affitto.
Una società che ammette tali menzogne al suo interno è una società lacerata, confusa, nella quale la vita umana non può trovare il giusto rispetto e l'adeguata protezione. Le quali sono proprio le condizioni indispensabili per lo stabilimento della pace.
Sono tutte teorie che danno un'immagine falsa della realtà, un'immagine che, proprio per questo, impedisce all'essere umano di realizzarsi e di costruire una comunità viva e spiritualmente ricca. La Chiesa le critica perché distorcono la comprensione dell'essere umano, i suoi progetti e le sue aspirazioni, conducendolo a una sicura infelicità. Infelicità che diventa ostacolo alla pace.
La verità va quindi coltivata nella cultura, va ricercata e insegnata nella pratica di ogni giorno. Lo ha sempre avuto molto chiaro Paolo VI, che ha scritto pagine bellissime sull'importanza dell'impegno intellettuale per la fede, come quelle sulla «carità intellettuale» in un testo del 1931 intitolato Spiritus veritatis da un'espressione del vangelo di Giovanni (16, 13: «Quando poi verrà lo spirito di verità v'insegnerà tutta la verità»). Rimaste quasi sconosciute fino alla morte del Papa, le note di Montini hanno come programma la ricerca e la difesa della verità: «verità -- scrive il futuro Papa -- confidatami da Dio, chiedendo a Lui la grazia di difenderla, senza esitazioni, restrizioni, compromessi, e di professarla, scevra da esibizioni, con pura libertà e cordiale fortezza di spirito, e di mostrarmi sempre coerente, nel pensiero, nella parola, nell'azione. Ma gli altri non si accorgano facilmente di questa interiore offerta alla verità, e solo s'avvedano che i miei rapporti con essi sono sempre improntati ad una grande umiltà, ad una grande bontà. Ed anche: ad una grande sincerità. Una primitiva sincerità di linguaggio e di modi deve essere riflesso esteriore dell'energia con cui voglio interiormente servire il vero».
Non possiamo allora accettare ideologie pronte a negare che la generazione richiede l'apporto di due diversi sessi, maschile e femminile, e che chiedendo la legalizzazione del matrimonio gay trasforma la filiazione non solo in una pratica desessualizzata, ma anche depersonalizzata, dal momento che uno dei genitori è ridotto a puro materiale biologico. Una famiglia che si fonda su una finzione simile non è vera. Così, con Sylviane Agacinski, «ci si può domandare in nome di cosa e di chi una società può imporre a un bambino la finzione di una nascita desessualizzata, che rischia tra l'altro di compromettere la costruzione della sua identità sessuata».
In definitiva, la negazione della verità porta divisioni nella società, rifiuto da parte di altre culture che non accettano questa finzione, nuove tensioni e conflitti. Perché la pace può realizzarsi solo se tutti convergono su alcune verità fondamentali ed evidenti.

(©L'Osservatore Romano 11 aprile 2013)

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