Riceviamo e con piacere e gratitudine pubblichiamo:
Perchè la luce risplenda nelle tenebre
Lorenzo Bertocchi
Luce. E luce fu. Con ampi riferimenti alla luce vera che illumina il cammino dell'uomo è stata presentata la prima enciclica di Papa Francesco, o meglio, l'ultima di Benedetto XVI. Non è un segreto per nessuno che questa enciclica – Lumen Fidei - sia in gran parte frutto del lavoro di Papa Ratzinger che così porta a compimento la trilogia sulle virtù teologali.
Ad una prima lettura appare evidente la mano del “papa emerito”, infatti, emergono temi a lui cari: fede, amore e verità sono le tre parole chiave del testo, tre parole che non si possono comprendere separandole totalmente, così come non si possono confondere: non c'è fede senza carità e non c'è carità senza verità.
Lungo le pagine del testo si insiste sul valore trasformante che la fede ha per il cuore dell'uomo e come questa trasformazione conduce in quella comunità di credenti che è la Chiesa: “non si possono pronunciare con verità le parole del Credo – si legge in Lumen Fidei - senza immettersi nella storia d'amore che lo abbraccia, che dilata il suo essere rendendolo parte di una comunione grande, del soggetto ultimo che pronuncia il Credo che è la Chiesa”.
All'interno di questa Chiesa, inutile negarselo, non mancano problemi che purtroppo sembrano essere soltanto di carattere morale, come ad esempio le tristi vicende legate allo Ior, oppure le “lobby gay” che infesterebbero i sacri palazzi. Ma, la morale ha un legame con la fede e una fede debole o malcompresa produce spesso questa immoralità. Perciò, oltre a promuovere una sana vita spirituale, “è importante vigilare perchè si trasmetta tutto il deposito della fede, perchè si insista opportunamente su tutti gli aspetti della confessione di fede”, e non manca un riferimento alla teologia (e quindi indirettamente anche ai seminari e alle facoltà teologiche) perchè non consideri il Magistero ecclesiale come una palla al piede, ma come qualcosa di costitutivo. Insomma, per vivere una vera fede non si può proporre il dubbio a dogma, mentre è necessario corroborare i fedeli con una sana dottrina che nasce da quella comunità credente la cui origine è garantita dalla successione apostolica e, innanzitutto, dal successore di Pietro.
Anche il bene comune, posto a fondamento della società, trae la sua linfa vitale dalla fede che permette di edificare “una città costruita sui rapporti in cui l'amore di Dio è il fondamento”. E questo lo si vede particolarmente nella famiglia, perchè è dall'amore affidabile di Dio che è possibile costruire un amore altrettanto affidabile, nonostante la debolezza dell'uomo. Questa esperienza vissuta in famiglia viene poi ad essere portata nel mondo e lì produce frutto, come ci insegna la storia. Proprio al cristianesimo, infatti, si deve la principale delle conquiste sociali, vale a dire l'uguale dignità di tutti gli uomini in quanto figli di Dio.
Quando la fede si ammala, allora anche il vivere comune fatica a trovare il suo fondamento e il caposaldo dell'uguale dignità vacilla. Ne abbiamo vari esempi: modelli di sviluppo economico egoistici, crimini come aborto ed eutanasia, l'ideologia di genere. Viviamo un mondo in cui la luce sembra affievolirsi e le tenebre riacquistare grandi spazi.
La causa può essere individuata in un'idea di fede monca: “la fede è stata intesa come un salto nel vuoto”, ridotta “ad un sentimento cieco”, o “come una luce soggettiva capace di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva”. Questa luce, invece, “non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, in definitiva, da Dio”, da un Altro.
La fede non consiste nel “sentire” o nel “provare”, ma nel credere che ciò che è Rivelato è vero, perchè Dio che è la Verità non può ingannarsi, né ingannarci. La fede quindi, pur non essendo frutto della ragione, ha un contenuto che è conforme alla ragione, e la ragione ci guida verso di essa. Torniamo quindi ad un tema caro a Benedetto XVI, vale a dire quel rapporto tra fede e ragione che non può essere eluso se si vuole che la luce risplenda nella tenebre. “Lux in tenebris lucet” (Gv 1,5): per questo c'è bisogno, oggi più che mai, di una ragione non ottenebrata da una sua presunta sufficienza tecnoscientifica. Se no, “rimane solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo la domanda su Dio, non interessa più”.
© Copyright La Voce di Romagna, 6 luglio 2013
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