Carissimi amici, grazie a Gemma possiamo vedere una vera "chicca".
L'11 ottobre 2012, al termine della fiaccolata indetta a 50 anni dall'apertura del Concilio e del "discorso alla Luna" di Giovanni XXIII, Benedetto XVI pronunciava uno degli interventi più intensi del suo Pontificato. In questo video troviamo uno speciale fatto da Telepace.
Il testo dell'intervento del Papa è consultabile qui.
In quello stesso giorno, 11 ottobre 2012, il Santo Padre inaugurava l'Anno della Fede.
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giovedì 13 febbraio 2014
domenica 24 novembre 2013
Si conclude oggi l'Anno della Fede inaugurato l'11 ottobre 2012 da Benedetto XVI: i video
Cari amici, si conclude oggi l'Anno della Fede. Rivediamo questi due speciali preparati dalla nostra Gemma per ricordare l'inaugurazione di questo Anno.
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venerdì 11 ottobre 2013
Inaugurazione dell'Anno della Fede: omelia di Papa Benedetto XVI (video YouTube)
Grazie al lavoro della nostra Gemma rivediamo la registrazione dell'omelia tenuta da Benedetto XVI l'11 ottobre 2012. Di seguito trovate la trascrizione del testo.
Alle ore 10 di questa mattina, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica in occasione dell’apertura dell’Anno della fede. Concelebrano con il Santo Padre i Cardinali, i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, i Vescovi Padri Sinodali, i Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo e alcuni Vescovi che parteciparono in qualità di Padri ai lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II, che si aprirono esattamente 50 anni fa, l’11 ottobre 1962.
Alla Celebrazione Eucaristica sono presenti il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I e l’Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, Sua Grazia Rowan Williams.
Al termine della Santa Messa il Santo Padre consegna ad alcuni fedeli i messaggi del Concilio Ecumenico Vaticano II all’umanità e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo e il testo del saluto che il Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I rivolge al termine della Santa Messa:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Alla Celebrazione Eucaristica sono presenti il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I e l’Arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione Anglicana, Sua Grazia Rowan Williams.
Al termine della Santa Messa il Santo Padre consegna ad alcuni fedeli i messaggi del Concilio Ecumenico Vaticano II all’umanità e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo e il testo del saluto che il Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I rivolge al termine della Santa Messa:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Venerati Fratelli,
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale.
Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne.
cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede.
Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali.
Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la sua vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel 1967.
Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni all'inizio del Concilio.
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo.
Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.
Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale.
Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, ai tempi del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne.
Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo.
Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.
Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.
Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.
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Inaugurazione dell'Anno della Fede: i momenti più emozionanti con sottofondo musicale (video YouTube)
Grazie al lavoro della nostra Gemma rivediamo le immagini con sottofondo musicale risalenti esattamente ad un anno fa.
L'11 ottobre 2012 Benedetto XVI inaugurava l'Anno della Fede in occasione del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II.
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L'11 ottobre 2012 Benedetto XVI inaugurava l'Anno della Fede in occasione del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II.
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domenica 23 giugno 2013
Anno della Fede. I vescovi sudcoreani promuovono le piccole comunità cristiane. Il Vietnam celebra i 25 anni di Canonizzazione dei suoi martiri
Anno della Fede. I vescovi sudcoreani promuovono le piccole comunità cristiane
In occasione dell’Anno della Fede, rivitalizzare e dare nuovo slancio alla fede attraverso le piccole comunità cristiane. È l'idea della Conferenza episcopale della Corea del Sud, che ha promosso un seminario per invitare i sacerdoti a coltivare e sviluppare questa forma di aggregazione e di esperienza spirituale, destinata sia ai laici che alle famiglie. Come riferisce l’agenzia Fides, le piccole comunità cristiane sono formate da laici che promuovono una spiritualità incentrata sulla condivisione del Vangelo e sull’Eucaristia. Nei giorni scorsi, è stata anche organizzata un’iniziativa dall’Istituto Pastorale della Corea diretto da mons. Peter Kang U-il, vescovo di Cheju e attuale presidente della Conferenza episcopale locale, che ha presentato le comunità come “modello concreto per la Chiesa in Corea”, capace di portare nuova linfa vitale alle diocesi coreane. “Un appello a cambiare il paradigma della Chiesa locale allontanandosi da clericalismo e laicismo – è l’interpretazione di un parroco di Seul, padre Bartolomeo Jun Won – le piccole comunità incarnano una visione pastorale per la Chiesa locale, che realizza lo spirito del Concilio Vaticano II”. (R.B.)
© Copyright Radio Vaticana
Anno della Fede. Il Vietnam celebra i 25 anni di Canonizzazione dei suoi martiri
Ricade proprio nel corso del 2013, Anno della Fede, il 25.mo anniversario della Canonizzazione dei Martiri vietnamiti: 117 persone, tra cui 8 vescovi, 50 sacerdoti, un seminarista e 42 fedeli laici, che assieme ad altri 300 mila cristiani furono uccisi in “odium fidei” tra il 1638 e il 1886. Si tratta di giovani, anziani e bambini massacrati per il diritto alla libertà religiosa, che Giovanni Paolo II decise di canonizzare il 19 giugno 1988. E proprio il 19 giugno scorso, in occasione di questo anniversario, sono state celebrate diverse Messe nelle parrocchie delle diocesi vietnamite di Hanoi e Hue. Durante le omelie, i sacerdoti hanno insistito sull’esempio dei martiri per i cristiani perseguitati di oggi. Su questo tema, si è concentrata anche la lettera pastorale di giugno dell’arcivescovo di Saigon, il cardinale Jean Batiste Pham Minh Mân, che ha esaltato le figure di “coloro che hanno dato la vita e sono morti per la missione in Vietnam”. La festa dei Martiri vietnamiti si celebra ogni anno il 24 novembre e l’anniversario di quest’anno – riferisce AsiaNews – si colloca in un periodo particolarmente delicato per la Chiesa del Paese. (R.B.)
© Copyright Radio Vaticana
In occasione dell’Anno della Fede, rivitalizzare e dare nuovo slancio alla fede attraverso le piccole comunità cristiane. È l'idea della Conferenza episcopale della Corea del Sud, che ha promosso un seminario per invitare i sacerdoti a coltivare e sviluppare questa forma di aggregazione e di esperienza spirituale, destinata sia ai laici che alle famiglie. Come riferisce l’agenzia Fides, le piccole comunità cristiane sono formate da laici che promuovono una spiritualità incentrata sulla condivisione del Vangelo e sull’Eucaristia. Nei giorni scorsi, è stata anche organizzata un’iniziativa dall’Istituto Pastorale della Corea diretto da mons. Peter Kang U-il, vescovo di Cheju e attuale presidente della Conferenza episcopale locale, che ha presentato le comunità come “modello concreto per la Chiesa in Corea”, capace di portare nuova linfa vitale alle diocesi coreane. “Un appello a cambiare il paradigma della Chiesa locale allontanandosi da clericalismo e laicismo – è l’interpretazione di un parroco di Seul, padre Bartolomeo Jun Won – le piccole comunità incarnano una visione pastorale per la Chiesa locale, che realizza lo spirito del Concilio Vaticano II”. (R.B.)
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Anno della Fede. Il Vietnam celebra i 25 anni di Canonizzazione dei suoi martiri
Ricade proprio nel corso del 2013, Anno della Fede, il 25.mo anniversario della Canonizzazione dei Martiri vietnamiti: 117 persone, tra cui 8 vescovi, 50 sacerdoti, un seminarista e 42 fedeli laici, che assieme ad altri 300 mila cristiani furono uccisi in “odium fidei” tra il 1638 e il 1886. Si tratta di giovani, anziani e bambini massacrati per il diritto alla libertà religiosa, che Giovanni Paolo II decise di canonizzare il 19 giugno 1988. E proprio il 19 giugno scorso, in occasione di questo anniversario, sono state celebrate diverse Messe nelle parrocchie delle diocesi vietnamite di Hanoi e Hue. Durante le omelie, i sacerdoti hanno insistito sull’esempio dei martiri per i cristiani perseguitati di oggi. Su questo tema, si è concentrata anche la lettera pastorale di giugno dell’arcivescovo di Saigon, il cardinale Jean Batiste Pham Minh Mân, che ha esaltato le figure di “coloro che hanno dato la vita e sono morti per la missione in Vietnam”. La festa dei Martiri vietnamiti si celebra ogni anno il 24 novembre e l’anniversario di quest’anno – riferisce AsiaNews – si colloca in un periodo particolarmente delicato per la Chiesa del Paese. (R.B.)
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giovedì 13 giugno 2013
Benedetto XVI: Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell'amore
Clicca qui per rileggere il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI il 9 gennaio scorso.
Grazie a Luisa per la segnalazione.
Grazie a Luisa per la segnalazione.
domenica 2 giugno 2013
Adorazione Eucaristica in contemporanea mondiale: video
Clicca qui per vedere la registrazione.
Papa Francesco in Basilica con la ferula per l'adorazione mondiale. Inedita mobilitazione spirituale per l'Anno della Fede (Izzo)
PAPA: IN BASILICA CON LA FERULA PER ADORAZIONE MONDIALE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 2 giu.
Papa Francesco ha fatto ingresso nella Basilica di San Pietro con la ferula di Pio IX (utilizzata da Benedetto XVI nella seconda parte del suo Pontificato) e sulle spalle un piviale chiuso da due borchie dorate. Un diacono ha posto la particola consacrata nell'ostensorio collocato sull'altare della Confessione. Dopo un prolungato momento di silenzio, un'arpa ha fatto da sottofondo alle prime letture previste per questa straordinaria preghiera che guidata dal Pontefice nella Basilica vaticana coinvolge - in occasione dell'Anno della Fede - tutte le Cattedrali delle diocesi del mondo.
Erano presenti nella Basilica - insieme ad alcune migliaia di fedeli - numerosi cardinali, tra i quali il decano Angelo Sodano, il prefetto emerito della Congregazione dei vescovi Giovanni Battista Re e il segretario di Stato Tarcisio Bertone, che sono i primi tre porporati del Sacro Collegio per ordine di precedenza.
Papa Francesco - che e' stato per tutto il tempo dell'adorazione con il capo scoperto - si e' poi avvicinato all'altare, che ha incensato, prima di impartire la benedizione eucaristica con l'ostensorio.
Infine gli sono state riportate la ferula e la mitria, con le quali ha sostato davanti all'immagine della Vergine con il Bambino.
Papa Francesco aveva stabilito che la preghiera di questa in San Pietro e contemporaneamente in tutte le cattedrali del mondo fosse "per la Chiesa sparsa in tutto il mondo e oggi in segno di unita' raccolta nell'Adorazione della SS. Eucaristia", "per quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitu' e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro 'schiavo', per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza". "Queste intenzioni - ha spiegato il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi - erano state indicate dal Papa e rese note in precedenza, per questo non sono state rilette ad alta voce nel corso dell'Adorazione che ha rispettato il rituale previsto".
Dal messaggio di Pasqua in avanti, ogni settimana Papa Francesco e' tornato sul dramma della tratta e del "lavoro schiavo", fino alle fortissime parole pronunciate a commento della beatificazione di don Puglisi: "Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitu', ci sono mafie. Preghiamo il Signore perche' converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo. Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perche' questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio".
© Copyright (AGI)
PAPA: UN'INEDITA MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER L'ANNO DELLA FEDE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 2 giu.
"Un solo Signore, una sola fede". E' stato questo lo "slogan" con il quale il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione ha lanciato l'Adorazione Eucaristica che Papa Francesco ha guidato questa sera nella Basilica di San Pietro e, contemporaneamente, 5000 vescovi nelle loro Cattedrali. Abbiamo scelto - ha spiegato il presidente del dicastero, arcivescovo Rino Fisichella - questa espressione per dare significato all'evento, per testimoniare il senso di profonda unita' che caratterizza questo momento" testimoniata da "un'adesione massiccia che si e' estesa oltre le cattedrali e ha coinvolto intere Conferenze Episcopali, le parrocchie, le congregazioni religiose, specialmente i monasteri di clausura, e le associazioni". "Difficile - ha ammesso il presule - dare il numero esatto dei presenti nelle Cattedrali e nelle altre chiese per l'adorazione in contemporanea, ma sono certamente migliaia e migliaia le adesioni" e cio' "attesta la profonda pieta' che nella Chiesa e' presente nei confronti dell'Eucaristia il cui mistero rappresenta la fonte e il culmine di tutta la vita della Chiesa".
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Salvatore Izzo
Papa Francesco ha fatto ingresso nella Basilica di San Pietro con la ferula di Pio IX (utilizzata da Benedetto XVI nella seconda parte del suo Pontificato) e sulle spalle un piviale chiuso da due borchie dorate. Un diacono ha posto la particola consacrata nell'ostensorio collocato sull'altare della Confessione. Dopo un prolungato momento di silenzio, un'arpa ha fatto da sottofondo alle prime letture previste per questa straordinaria preghiera che guidata dal Pontefice nella Basilica vaticana coinvolge - in occasione dell'Anno della Fede - tutte le Cattedrali delle diocesi del mondo.
Erano presenti nella Basilica - insieme ad alcune migliaia di fedeli - numerosi cardinali, tra i quali il decano Angelo Sodano, il prefetto emerito della Congregazione dei vescovi Giovanni Battista Re e il segretario di Stato Tarcisio Bertone, che sono i primi tre porporati del Sacro Collegio per ordine di precedenza.
Papa Francesco - che e' stato per tutto il tempo dell'adorazione con il capo scoperto - si e' poi avvicinato all'altare, che ha incensato, prima di impartire la benedizione eucaristica con l'ostensorio.
Infine gli sono state riportate la ferula e la mitria, con le quali ha sostato davanti all'immagine della Vergine con il Bambino.
Papa Francesco aveva stabilito che la preghiera di questa in San Pietro e contemporaneamente in tutte le cattedrali del mondo fosse "per la Chiesa sparsa in tutto il mondo e oggi in segno di unita' raccolta nell'Adorazione della SS. Eucaristia", "per quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitu' e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro 'schiavo', per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza". "Queste intenzioni - ha spiegato il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi - erano state indicate dal Papa e rese note in precedenza, per questo non sono state rilette ad alta voce nel corso dell'Adorazione che ha rispettato il rituale previsto".
Dal messaggio di Pasqua in avanti, ogni settimana Papa Francesco e' tornato sul dramma della tratta e del "lavoro schiavo", fino alle fortissime parole pronunciate a commento della beatificazione di don Puglisi: "Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitu', ci sono mafie. Preghiamo il Signore perche' converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo. Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perche' questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio".
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PAPA: UN'INEDITA MOBILITAZIONE SPIRITUALE PER L'ANNO DELLA FEDE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 2 giu.
"Un solo Signore, una sola fede". E' stato questo lo "slogan" con il quale il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione ha lanciato l'Adorazione Eucaristica che Papa Francesco ha guidato questa sera nella Basilica di San Pietro e, contemporaneamente, 5000 vescovi nelle loro Cattedrali. Abbiamo scelto - ha spiegato il presidente del dicastero, arcivescovo Rino Fisichella - questa espressione per dare significato all'evento, per testimoniare il senso di profonda unita' che caratterizza questo momento" testimoniata da "un'adesione massiccia che si e' estesa oltre le cattedrali e ha coinvolto intere Conferenze Episcopali, le parrocchie, le congregazioni religiose, specialmente i monasteri di clausura, e le associazioni". "Difficile - ha ammesso il presule - dare il numero esatto dei presenti nelle Cattedrali e nelle altre chiese per l'adorazione in contemporanea, ma sono certamente migliaia e migliaia le adesioni" e cio' "attesta la profonda pieta' che nella Chiesa e' presente nei confronti dell'Eucaristia il cui mistero rappresenta la fonte e il culmine di tutta la vita della Chiesa".
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Adorazione Eucaristica. Le preghiere dei Papi da Pio XII a Benedetto XVI
Clicca qui per leggere il libretto della celebrazione predisposto per l'Adorazione di stasera.
Il mondo intero per un'ora unito a Papa Francesco per l'Adorazione Eucaristica
Il mondo intero per un'ora unito a Papa Francesco per l'Adorazione Eucaristica
Nella solennità del Corpus Domini, e nel contesto dell’Anno della Fede, Papa Francesco ha presieduto oggi pomeriggio, dalle 17 alle 18, nella Basilica di San Pietro, una speciale Adorazione Eucaristica in comunione con le cattedrali e le parrocchie di tutto il mondo, per un’ora unito in preghiera in adorazione del Santissimo Sacramento. Servizio di Francesca Sabatinelli :
Il coro della cappella Sistina ha accompagnato il cammino di Papa Francesco attraverso la navata centrale di San Pietro, fino all’altare, dove ha presieduto un’ora di adorazione eucaristica, in comunione con i fedeli di tutto il mondo che nelle chiese e nelle cattedrali di ogni paese, collegati con Roma, si sono uniti al Santo Padre. “Un solo signore una sola fede”: il titolo scelto per questo evento unico, voluto da Benedetto XVI in occasione dell’Anno della Fede, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. Si è pregato per il bene della Chiesa, perché “il Signore la renda sempre obbediente all’ascolto della sua Parola, per presentarsi dinanzi al mondo sempre più bella, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” e poi si è pregato per "quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro schiavo; per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza; per tutti coloro che si trovano nella precarietà economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l'emarginazione”.
I canti e le invocazioni sono stati intervallati dalle letture, accompagnate dal suono di un’arpa, delle preghiere dei Papi predecessori: Pio XII, il beato Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, il beato Giovanni Paolo II, il Papa emerito Benedetto XVI.
L’intenso sguardo di Papa Francesco non ha mai abbandonato l’ostensorio con il Corpo di Cristo, poggiato sull’altare. E con il suo, quello di tutti i fedeli raccolti in preghiera nella basilica. Al termine dell’adorazione eucaristica il momento più solenne: Papa Francesco ha preso tra le mani l’ostensorio e ha benedetto i presenti con il Santissimo Sacramento.
Su questo straordinario evento, Antonella Palermo ha intervistato don Alberto Pacini, rettore della Basilica di Sant'Anastasia al Palatino, dove da dodici anni si svolge l’adorazione perpetua:
R. - Questa iniziativa è una gioiosa occasione, ma non una sorpresa perché è perfettamente in linea di continuità con il Magistero di Giovanni Paolo II, il quale diceva: “Le nostre comunità cristiane devono diventare scuole di preghiera” e Benedetto XVI che scrive, nella Sacramentum Caritatis, “Peccheremmo se non adorassimo Colui che andiamo a ricevere”. Quindi, questo senso di tornare all’Eucarestia da celebrare bene, sicuramente in sintonia con lo Spirito, ma anche da adorare perché è la viva presenza del Signore.
D. – Che scaccia ogni forma di idolatria...
R. - Che scaccia ogni forma di idolatria perché quando il nostro cuore non è preso da Dio, è preso da qualunque altra forma di idolatria.
D. – Cosa significa “adorare”?
R. – Adorare è un atto di amore. Quando nelle parrocchie andiamo a fare le Settimane eucaristiche chiediamo ai bambini: “Cosa vuol dire adorare?” e loro dicono “amare!”- perché nella terminologia corrente si usa in maniera un po’ equivoca: “Adoro questa cosa” - allora, spiego subito: “Si adora solo il Signore”! Però è vero, è un atto di amore: un cuore che si sintonizza con un altro cuore ed il nostro cuore è sintonizzato con il cuore di Dio.
D. – Se non ci si educa a questa "scuola" del restare di fronte a Gesù, probabilmente non lo si riesce neanche a “gustare” nel momento in cui si fa la Comunione...
R. – La nostra mentalità “fast food” – mordi e fuggi – ci porta a tempi affrettati, a tempi nei quali c’è poco silenzio ed invece è fondamentale questo stare nel silenzio. “Rimanete con me” e “rimani con noi”, come disse Giovanni Paolo II. “Rimani con noi o divino viandante, Mane nobiscum Domine - rimani con noi Signore perché si fa sera”, sono le parole dei pellegrini di Emmaus - Luca capitolo XXIV - cioè, questo stare con il Signore, perché noi senza di Lui non possiamo far nulla. Noi da questa esperienza dell’Adorazione Perpetua abbiamo sviluppato un ministero di ascolto, di confessione, di riconciliazione delle persone: vengono persone con le vite “frantumate”, vengono persone con la crisi dei valori più assurda, vengono persone che sono in cerca di un’identità e lì il Signore ci svela la nostra vera identità. Stando con il Signore riscopriamo la nostra chiamata. Allora: misericordia nell’accogliere le miserie, le povertà e quindi esperienza di una Chiesa Santa. Abbiamo purtroppo testimonianze della nostra non-santità come sacerdoti, ma l’Eucarestia ci ridà la vera identità: il perché io sono prete, perché io sono sposato, perché sono consacrato, o consacrata…
© Copyright Radio Vaticana
Nella solennità del Corpus Domini, e nel contesto dell’Anno della Fede, Papa Francesco ha presieduto oggi pomeriggio, dalle 17 alle 18, nella Basilica di San Pietro, una speciale Adorazione Eucaristica in comunione con le cattedrali e le parrocchie di tutto il mondo, per un’ora unito in preghiera in adorazione del Santissimo Sacramento. Servizio di Francesca Sabatinelli :
Il coro della cappella Sistina ha accompagnato il cammino di Papa Francesco attraverso la navata centrale di San Pietro, fino all’altare, dove ha presieduto un’ora di adorazione eucaristica, in comunione con i fedeli di tutto il mondo che nelle chiese e nelle cattedrali di ogni paese, collegati con Roma, si sono uniti al Santo Padre. “Un solo signore una sola fede”: il titolo scelto per questo evento unico, voluto da Benedetto XVI in occasione dell’Anno della Fede, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. Si è pregato per il bene della Chiesa, perché “il Signore la renda sempre obbediente all’ascolto della sua Parola, per presentarsi dinanzi al mondo sempre più bella, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” e poi si è pregato per "quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro schiavo; per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza; per tutti coloro che si trovano nella precarietà economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l'emarginazione”.
I canti e le invocazioni sono stati intervallati dalle letture, accompagnate dal suono di un’arpa, delle preghiere dei Papi predecessori: Pio XII, il beato Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, il beato Giovanni Paolo II, il Papa emerito Benedetto XVI.
L’intenso sguardo di Papa Francesco non ha mai abbandonato l’ostensorio con il Corpo di Cristo, poggiato sull’altare. E con il suo, quello di tutti i fedeli raccolti in preghiera nella basilica. Al termine dell’adorazione eucaristica il momento più solenne: Papa Francesco ha preso tra le mani l’ostensorio e ha benedetto i presenti con il Santissimo Sacramento.
Su questo straordinario evento, Antonella Palermo ha intervistato don Alberto Pacini, rettore della Basilica di Sant'Anastasia al Palatino, dove da dodici anni si svolge l’adorazione perpetua:
R. - Questa iniziativa è una gioiosa occasione, ma non una sorpresa perché è perfettamente in linea di continuità con il Magistero di Giovanni Paolo II, il quale diceva: “Le nostre comunità cristiane devono diventare scuole di preghiera” e Benedetto XVI che scrive, nella Sacramentum Caritatis, “Peccheremmo se non adorassimo Colui che andiamo a ricevere”. Quindi, questo senso di tornare all’Eucarestia da celebrare bene, sicuramente in sintonia con lo Spirito, ma anche da adorare perché è la viva presenza del Signore.
D. – Che scaccia ogni forma di idolatria...
R. - Che scaccia ogni forma di idolatria perché quando il nostro cuore non è preso da Dio, è preso da qualunque altra forma di idolatria.
D. – Cosa significa “adorare”?
R. – Adorare è un atto di amore. Quando nelle parrocchie andiamo a fare le Settimane eucaristiche chiediamo ai bambini: “Cosa vuol dire adorare?” e loro dicono “amare!”- perché nella terminologia corrente si usa in maniera un po’ equivoca: “Adoro questa cosa” - allora, spiego subito: “Si adora solo il Signore”! Però è vero, è un atto di amore: un cuore che si sintonizza con un altro cuore ed il nostro cuore è sintonizzato con il cuore di Dio.
D. – Se non ci si educa a questa "scuola" del restare di fronte a Gesù, probabilmente non lo si riesce neanche a “gustare” nel momento in cui si fa la Comunione...
R. – La nostra mentalità “fast food” – mordi e fuggi – ci porta a tempi affrettati, a tempi nei quali c’è poco silenzio ed invece è fondamentale questo stare nel silenzio. “Rimanete con me” e “rimani con noi”, come disse Giovanni Paolo II. “Rimani con noi o divino viandante, Mane nobiscum Domine - rimani con noi Signore perché si fa sera”, sono le parole dei pellegrini di Emmaus - Luca capitolo XXIV - cioè, questo stare con il Signore, perché noi senza di Lui non possiamo far nulla. Noi da questa esperienza dell’Adorazione Perpetua abbiamo sviluppato un ministero di ascolto, di confessione, di riconciliazione delle persone: vengono persone con le vite “frantumate”, vengono persone con la crisi dei valori più assurda, vengono persone che sono in cerca di un’identità e lì il Signore ci svela la nostra vera identità. Stando con il Signore riscopriamo la nostra chiamata. Allora: misericordia nell’accogliere le miserie, le povertà e quindi esperienza di una Chiesa Santa. Abbiamo purtroppo testimonianze della nostra non-santità come sacerdoti, ma l’Eucarestia ci ridà la vera identità: il perché io sono prete, perché io sono sposato, perché sono consacrato, o consacrata…
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Una preghiera all'unisono per i cattolici di tutto il pianeta nell'ambito dell'Anno della Fede voluto da Benedetto XVI
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mercoledì 29 maggio 2013
Il 16 giugno grande Messa in difesa della vita (Izzo)
PAPA: IL 16 GIUGNO GRANDE MESSA IN DIFESA DELLA VITA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 mag.
Papa Francesco presiedera' una grande celebrazione domenica 16 giugno alle ore 10,30 con tutto il "popolo della vita". La liturgia rappresenta uno dei principali appuntamenti dell'Anno della Fede e sara' preceduto il giorno prima da un raduno dal titolo: "Credendo abbiano la vita".
"Lo abbiamo chiamato l'incontro dell''Evangelium vitae' - dal titolo della celebre Enciclica di Giovanni Paolo II che proclama il diritto-dovere dei credenti di difendere la vita dal momento del concepimento fino al suo naturale tramonto - per attestare tutta la grande tematica che si sviluppa intorno all'impegno della Chiesa sulla promozione, rispetto e difesa della dignita' della vita umana". Lo afferma il presdente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
L'iniziativa offrira' a tutti i credenti sparsi per il mondo - spiega il presule - l'opportunita' di sentirsi rappresentati in questo momento di comunione tra le tante forze che si dedicano al "Vangelo della vita". Ed a Francesco quella di "rivolgere il suo messaggio e la sua attenzione anche ai tanti malati presenti alla celebrazione". Alla vigilia della celebrazione, i partecipanti potranno ascoltare una serie di catechesi sul tema della difesa della vita offerta dal cardinale Camillo Ruini; per la lingua inglese dal cardinale Raymond Burke, prefetto della Segnatura Apostolica; per il francese dall'arcivescovo di Rennes, monsignor Pierre d'Ornellas, mentre in lingua polacca da monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, dicastero che ha dato il suo significativo contributo nella realizzazione di questo evento insieme all'Accademia per la Vita.
Il gruppo americano si e' organizzato inoltre, nella mattinata di sabato, per un breve convegno condotto da Francis Beckwith, professore alla Baylor University in Texas e da Robert Royal, Presidente di Faith and Reason Institute in Washington D.C. La sera del sabato 15 alle ore 20:30 - infine - si snodera' per via della Conciliazione una fiaccolata silenziosa per richiamare l'attenzione sul tema della vita umana e del suo valore intangibile. Raggiungera' piazza san Pietro dove si concludera' con alcune significative testimonianze. Ad oggi hanno gia' fatto pervenire la loro consistente adesione diversi gruppi provenienti da Italia, Usa, Germania, Giappone, Ungheria, Romania, Spagna, Francia, Canada, Nuova Zelanda, Argentina, Gran Bretagna, Belgio, Slovacchia, Costa Rica, Portogallo e Australia. Saranno presenti famiglie, conferenze episcopali, diocesi, parrocchie, ordini religiosi, seminaristi, organizzazioni umanitarie e sanitarie come l'Ordine di Malta, movimenti, universitari, associazioni dall'Unitalsi alla Croce Rossa, organizzazioni Pro-Life e tanti gruppi e persone che hanno a cuore la promozione e difesa della vita senza una particolare appartenenza associativa o confessionale.
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 mag.
Papa Francesco presiedera' una grande celebrazione domenica 16 giugno alle ore 10,30 con tutto il "popolo della vita". La liturgia rappresenta uno dei principali appuntamenti dell'Anno della Fede e sara' preceduto il giorno prima da un raduno dal titolo: "Credendo abbiano la vita".
"Lo abbiamo chiamato l'incontro dell''Evangelium vitae' - dal titolo della celebre Enciclica di Giovanni Paolo II che proclama il diritto-dovere dei credenti di difendere la vita dal momento del concepimento fino al suo naturale tramonto - per attestare tutta la grande tematica che si sviluppa intorno all'impegno della Chiesa sulla promozione, rispetto e difesa della dignita' della vita umana". Lo afferma il presdente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
L'iniziativa offrira' a tutti i credenti sparsi per il mondo - spiega il presule - l'opportunita' di sentirsi rappresentati in questo momento di comunione tra le tante forze che si dedicano al "Vangelo della vita". Ed a Francesco quella di "rivolgere il suo messaggio e la sua attenzione anche ai tanti malati presenti alla celebrazione". Alla vigilia della celebrazione, i partecipanti potranno ascoltare una serie di catechesi sul tema della difesa della vita offerta dal cardinale Camillo Ruini; per la lingua inglese dal cardinale Raymond Burke, prefetto della Segnatura Apostolica; per il francese dall'arcivescovo di Rennes, monsignor Pierre d'Ornellas, mentre in lingua polacca da monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, dicastero che ha dato il suo significativo contributo nella realizzazione di questo evento insieme all'Accademia per la Vita.
Il gruppo americano si e' organizzato inoltre, nella mattinata di sabato, per un breve convegno condotto da Francis Beckwith, professore alla Baylor University in Texas e da Robert Royal, Presidente di Faith and Reason Institute in Washington D.C. La sera del sabato 15 alle ore 20:30 - infine - si snodera' per via della Conciliazione una fiaccolata silenziosa per richiamare l'attenzione sul tema della vita umana e del suo valore intangibile. Raggiungera' piazza san Pietro dove si concludera' con alcune significative testimonianze. Ad oggi hanno gia' fatto pervenire la loro consistente adesione diversi gruppi provenienti da Italia, Usa, Germania, Giappone, Ungheria, Romania, Spagna, Francia, Canada, Nuova Zelanda, Argentina, Gran Bretagna, Belgio, Slovacchia, Costa Rica, Portogallo e Australia. Saranno presenti famiglie, conferenze episcopali, diocesi, parrocchie, ordini religiosi, seminaristi, organizzazioni umanitarie e sanitarie come l'Ordine di Malta, movimenti, universitari, associazioni dall'Unitalsi alla Croce Rossa, organizzazioni Pro-Life e tanti gruppi e persone che hanno a cuore la promozione e difesa della vita senza una particolare appartenenza associativa o confessionale.
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Presentate alla stampa le prossime celebrazioni per l'Anno della fede
In adorazione
E a metà giugno l'incontro dell'«Evangelium vitae»
Manca solo l'Alaska, ma è questione di ore. Poi «avremo la conferma che tutti i fusi orari del mondo saranno utilizzati per collegare la basilica di San Pietro con tutte le cattedrali del mondo dalle ore 17 alle 18 di domenica prossima 2 giugno per l'adorazione eucaristica». Lo dice con soddisfazione l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, presentando questa mattina, martedì 28 maggio, nella Sala Stampa della Santa Sede, il programma dei due prossimi avvenimenti in calendario per la celebrazione dell'Anno della fede: l'adorazione eucaristica, appunto, e l'incontro dell'Evangelium vitae previsto per sabato 15 e domenica 16 giugno. «Ancora nessuna risposta -- ha aggiunto -- dalla Siria».
«Un solo Signore, una sola fede» è il tema scelto per l'adorazione eucaristica in contemporanea mondiale. «Abbiamo avuto un'adesione massiccia a questa iniziativa -- ha detto il presule -- che si è estesa oltre le cattedrali e ha coinvolto intere conferenze episcopali, le parrocchie, le congregazioni religiose, specialmente i monasteri di clausura, e le associazioni. Difficile dare il numero esatto, ma sono certamente migliaia e migliaia le adesioni».
Hanno aderito anche Chiese che si trovano in condizioni non proprio ottimali per diverse ragioni, non ultime quelle dovute a disastri naturali come frane, alluvioni e quant'altro. «Non sarà per queste Chiese solo un problema di veglia notturna -- ha sottolineato il presule -- ma di superamento di tali e tante difficoltà, per la mancanza di elettricità e di clima, che lasciano sbalorditi nel desiderio di adesione». Difficoltà ben presenti a Papa Francesco, il quale ha voluto che tra le intenzioni di preghiera fossero contenuti due speciali pensieri per le Chiese locali, per quelle in difficoltà soprattutto. La prima è «per la Chiesa sparsa in tutto il mondo e oggi in segno di unità raccolta nell'adorazione della Santissima Eucaristia. Il Signore la renda sempre obbediente all'ascolto della sua Parola per presentarsi dinanzi al mondo sempre “più bella, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Efesini 5, 28). Attraverso il suo fedele annuncio, possa la Parola che salva risuonare ancora come apportatrice di misericordia e provocare un rinnovato impegno nell'amore per offrire senso pieno al dolore, alla sofferenza e restituire gioia e serenità».
La seconda è più specificamente «per quanti, nelle diverse parti del mondo, vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro “schiavo”, per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza. Possa il loro silenzioso grido di aiuto trovare vigile la Chiesa, perché tenendo lo sguardo fisso su Cristo crocifisso non dimentichi tanti fratelli e sorelle lasciati in balia della violenza. Per tutti coloro, inoltre, che si trovano nella precarietà economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l'emarginazione. La preghiera della Chiesa e la sua attiva opera di vicinanza sia loro di conforto e di sostegno nella speranza, di forza e audacia nella difesa della dignità della persona».
Il secondo avvenimento si svolgerà il 15 e il 16 giugno e avrà come tema «Credendo abbiano la vita». È stato chiamato «l'incontro dell'Evangelium vitae -- spiega l'arcivescovo Fisichella -- per attestare tutta la grande tematica che si sviluppa intorno all'impegno della Chiesa sulla promozione, rispetto e difesa della dignità della vita umana». Papa Francesco presiederà la messa della domenica alle 10.30 con tutto il «popolo della vita» per rivolgere il suo messaggio e la sua attenzione anche ai tanti malati presenti alla celebrazione. «Come per gli altri eventi -- ha precisato il presidente del dicastero organizzatore -- anche questo seguirà lo svolgimento ormai tradizionale per l'Anno della fede. Anzitutto, il pellegrinaggio alla tomba di Pietro, che si terrà nel pomeriggio dalle 14 alle 17, mentre nel contempo chi lo desidera potrà avere il tempo per la celebrazione del sacramento della riconciliazione e l'adorazione eucaristica. Nella mattina i diversi gruppi linguistici avranno una catechesi in differenti chiese di Roma. La sera del sabato 15, alle 20.30, si snoderà per via della Conciliazione una fiaccolata silenziosa per richiamare l'attenzione sul tema della vita umana e del suo valore intangibile. Raggiungerà piazza San Pietro dove si concluderà con alcune significative testimonianze».
Alla presentazione dei due appuntamenti era presente anche il segretario del dicastero, arcivescovo José Octavio Ruiz Arenas, il quale ha posto l'accento sui significati delle intenzioni per la preghiera dettate dal Papa «sia per la Chiesa ad intra, ma anche e soprattutto per la Chiesa ad extra, laddove cioè si incontra la gente più sofferente e bisognosa della vicinanza della Chiesa universale e della sua preghiera».
Il segretario ha poi illustrato le potenzialità del sito del dicastero, il suo costante aggiornamento e dunque «la possibilità per chiunque lo voglia di conoscere dettagliatamente la mappa dei collegamenti previsti».
(©L'Osservatore Romano 29 maggio 2013)
Preti convertiti e convinti (Mauro Piacenza)
Preti convertiti e convinti
di Mauro Piacenza
Nei racconti delle apparizioni del Risorto colpisce sempre il legame tra effusione dello Spirito e annuncio, Pentecoste e missione. Il sacerdote, come ci ha efficacemente ricordato Papa Francesco, non riceve lo Spirito, l'unzione, per se stesso, ma per ungere il popolo. Il dono dello Spirito, ricevuto nel giorno della nostra ordinazione, non è premessa della missione, ma è esso stesso la missione. Nella misura in cui si rinnova il dono della fede, nella chiarezza di una ecclesiale appartenenza, nella misura in cui ciascun sacerdote, sempre e continuamente, si converte a Dio, la missione diviene straordinariamente dinamica e portatrice di imprevisti frutti.
Solo chi ha una reale, profonda cura della propria fede, chi è realmente, davvero convertito, può farsi carico della fede altrui. La missione può essere compresa proprio in questo modo: noi siamo uomini di fede, che, non per mera filantropia, né per migliorare il mondo, ma per divino, soprannaturale mandato, accompagniamo e sosteniamo la fede dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nell'unico Signore Gesù e nella santa Chiesa, che di lui, in lui e per lui vive. In un contesto, dove l'individualismo la fa da padrone e dove nessuno sembra più capace di prendersi cura di alcuno, la rilevanza di una tale vocazione può essere straordinariamente efficace.
Essendo quello religioso il fattore straordinariamente sintetico della personalità umana e della stessa vita, prendendoci cura della fede delle persone, inevitabilmente ci prendiamo cura di tutto ciò che riguarda i nostri fratelli. In questo senso, non c'è alcuna precedenza, come taluni potevano pensare nei decenni passati, tra promozione umana ed evangelizzazione, ma la più grande evangelizzazione è anche, necessariamente, promozione umana, e il concetto stesso di promozione umana sarebbe impensabile, se Dio non avesse “mosso” l'umanità, facendosi egli stesso uomo.
Convertirsi nell'Anno della fede significa, allora, vivere un'intensa passione per la fede dei nostri fratelli, nella docilità al mandato ecclesiale e nella consapevolezza che gli strumenti, per sostenere tale opera, non sono, in alcun caso, arbitrariamente stabiliti e scelti da noi, ma donati da Dio e resi attuali e operanti dallo Spirito Santo.
Ciò che è straordinariamente sorprendente, in tale contesto, è la imprescindibile, mutua relazionalità tra conversione personale e missione.
Possiamo tutti testimoniare di aver personalmente sperimentato come il popolo a noi affidato guardi, con particolare interesse, alla nostra fede e ne possa essere autenticamente edificato. Allo stesso modo, non è difficile riconoscere come il vivere la missione e l'essere realmente al servizio della fede dei fratelli sia, non raramente, motivo e causa seconda della nostra rinnovata conversione a Dio. Quante volte la confessione del più semplice dei penitenti, il candore del più piccolo dei bambini, o l'offerta consapevole della sofferenza dei malati, il sensus Ecclesiae di tante povere persone semplici, ci colpiscono, ci chiamano a conversione e ci fanno toccare Dio.
Il ministero, che ci è stato affidato, è quanto di più straordinario possa essere dato di vivere a un uomo nel breve tratto umano della terrena esistenza, poiché, costantemente, grazie proprio al fedele esercizio del nostro ministero, possiamo contemplare le opere di Dio, che chiama, converte, plasma e santifica le anime. E contemplare le opere di Dio, il suo reale agire nel mondo, significa contemplare Dio stesso; significa annunciare non un'idea, o un precetto, ma colui che i nostri occhi hanno visto, che i nostri orecchi hanno udito, che le nostre mani hanno toccato: il Verbo della vita.
Anche solo dal punto di vista della gratificazione umana che ne deriva, l'accompagnamento della fede e nella fede, verso i fratelli, è opera straordinariamente alta e nobile. Se aggiungiamo, poi, che questo è compiuto nel nome e per mandato esplicito del Signore del cielo e della terra, del Risorto, del Salvatore e Sacerdote eterno, ecco che l'Anno della fede diviene occasione di profonda conversione da uno sguardo solo umano, troppo umano, sulle nostre realtà ecclesiali, a uno sguardo davvero realista, cioè soprannaturale e, perciò, sempre nuovo, misericordioso e autenticamente pastorale.
Prendersi cura della fede altrui, allora, non sfianca la nostra fede, ma la irrobustisce. Non è da interpretare come una sequenza di atti, ma l'atto stesso di curare la fede dei fratelli incrementa la nostra fede e la nostra conversione; e la nostra conversione è il primo alimento della fede dei fratelli. Se un cristiano non convertito può dare scandalo, quanto più radicale e nefasto è lo scandalo di un sacerdote non convertito.
È sempre necessario tenere insieme, come richiama il motuproprio Porta fidei di Benedetto XVI, con il quale è stato indetto l'Anno della fede, le due dimensioni “cognitiva” e “oblativa” della fede, la fede come conoscenza e la fede come abbandono. Le varie epoche storiche e le differenti influenze culturali possono vedere un certo prevalere ora dell'una, ora dell'altra dimensione, ma la saggezza della Chiesa e la reale conversione di un sacerdote le tiene sempre, graniticamente unite.
Che sciagura sarebbe un sacerdote convinto, ma non convertito, che aderisse al cristianesimo come ad una delle umane ideologie. E che disorientamento sarebbe, per se stesso e per gli altri, un sacerdote convertito, ma non convinto, che non abbia fatto sue, interiorizzato autenticamente e amato profondamente le ragioni della fede e la stessa immedesimazione con Cristo. Oggi più che mai, in un contesto così gravemente secolarizzato come quello occidentale, essere missionari, prendersi cura della fede altrui significa, innanzitutto, essere autenticamente convertiti e, quindi, convinti. Nello stesso tempo, significa accompagnare tutte le persone a noi affidate a compiere, sia personalmente, sia nella comunità ecclesiale, quella indispensabile sintesi tra fede come conoscenza e fede come abbandono, senza la quale non c'è reale esperienza cristiana. Dobbiamo sempre ricordare che, per il mandato divino ricevuto, i buoni e il popolo ci guardano come esempio, attendendosi da noi una parola certa, una testimonianza cristallina e una paternità capace di accompagnare. Questa paternità si impara alla scuola di una Madre: la Beata Vergine Maria.
(©L'Osservatore Romano 29 maggio 2013)
Domenica Adorazione Eucaristica in San Pietro ed in tutte le cattedrali. Papa Francesco: pregare per una Chiesa senza macchie e per la liberazione degli schiavi di oggi (Izzo)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 mag.
Papa Francesco guidera' l'Adorazione Eucaristica che domenica pomeriggio si svolgera' nella Basilica di San Pietro e contemporaneamente nelle Cattedrali di tutto il mondo che saranno collegate con Roma in mondo visione o via web. "Un solo Signore, una sola fede", e' il titolo scelto per testimoniare il senso di profonda unita' che caratterizza questo momento inserito da Benedetto XVI nel programma dell'Anno della Fede. Francesco sara' in ginocchio nella Basilica Vaticana dalle 17 alle 18, davanti all'ostensorio poggiato sull'altare della Confessione, non e' previsto che pronunci un'omelia.
"Sara' un evento che per la prima volta si realizza nella storia della Chiesa e abbiamo motivo di definirlo storico", sottolinea monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, precisando che "le cattedrali del mondo per un'ora saranno sincronizzate sull'ora di Roma e saranno in comunione con il Papa nell'Adorazione Eucaristica". "Abbiamo avuto - assicura il presule - un'adesione massiccia a questa iniziativa che si e' estesa oltre le cattedrali e ha coinvolto intere Conferenze Episcopali, le parrocchie, le congregazioni religiose, specialmente i monasteri di clausura, e le associazioni". "Difficile spiega i lcapo dicastero - dare il numero esatto di quanti saranno presenti nelle Cattedrali e nelle altre chiese per l'adorazione in contemporanea, ma sono certamente migliaia e migliaia le adesioni" e cio' "attesta la profonda pieta' che nella Chiesa e' presente nei confronti dell'Eucaristia il cui mistero rappresenta la fonte e il culmine di tutta la vita della Chiesa". (AGI)
"Con vera commozione - confida l'arcivescovo - abbiamo letto le lettere di adesione giunte da diversi Pastori. Da Carpi (colpita proprio un anno fa dal terremoto) il vescovo ci ha scritto che "nella chiesa che sostituisce la cattedrale, nelle pochissime chiese parrocchiali agibili e in tutte le tende dove vivono tuttora le nostre parrocchie, si terra' l'adorazione".
"Le Isole Cook, Samoa e Honolulu - riferisce Fisichella ai giornalisti - si uniranno alle loro cinque del mattino, mentre nel punto piu' al nord, a Reykiavik in Islanda, saranno le quindici. A queste Chiese particolari corrisponderanno le diocesi piu' australi come Sudafrica, Cile e Nuova Zelanda". "Tutte le diocesi del Vietnam - fa sapere ancora il capo dicastero - saranno unite a noi alle ventidue, ora locale, mentre tutte le chiese di Corea lo saranno a mezzanotte. Dall'Oceania ci giunge l'adesione per l'Adorazione che sara' fatta mentre saranno gia' nel 3 giugno, dall'una alle due del mattino; tra queste ci sara' Papua Nuova Guinea, le Isole Salomone, la diocesi di Agana in Guam e di Wewak".
Il presule sottolinea in merito il fatto che per alcune diocesi organizzare una veglia notturna comporta "il superamento di tali e tante difficolta' per la mancanza di elettricita' e di clima, che lasciano sbalorditi nel desiderio di adesione". Infatti, "la gente nei villaggi non ha elettricita' e in molte parrocchie e' pericoloso camminare nel buio, in alcuni Paesi questa e' anche la stagione delle piogge ma, si compiace Fisichella, "non saranno assenti all'appuntamento le diocesi nelle Isole Galapagos o nel cuore della foresta Amazzonica, come il Vicariato di San Jose' del Amazonas, cosi' come tante Chiese dove la presenza dei cattolici e' in forte minoranza come in Norvegia, Bangladesh, Irak, Burkina Faso, Russia, Giappone: tutti saranno sincronizzati sull'ora di san Pietro. Lo saranno le diocesi degli Stati Uniti e del Canada cosi' come quelle dell'America Latina: dal Peru' all'Argentina passando per il Nicaragua, la Colombia, l'Honduras, l'Ecuador e il Mexico. Tutte le diocesi asiatiche, dall'India a Taiwan, da Singapore alle Filippine per giungere a Israele, nei diversi fusi orari saranno unite a Roma". Piu' agevole sara' la partecipazione delle chiese dell'Europa che, conclude Fisichella, "si estende alla Lituania, all'Ucraina e alla Bielorussia e alle Diocesi Italiane che pressoche' al completo, secondo le differenti tradizioni locali, parteciperanno all'Adorazione estendendo poi la preghiera alla processione tradizionale del Corpus Domini".
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VATICANO: GIA' PIU' DI 4 MILIONI I FEDELI A INIZIATIVE ANNO FEDE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 mag.
Hanno superato i 4 milioni 300mila i fedeli presenti agli appuntamenti dell'Anno della Fede convocato da Benedetto XVI e confermato da Papa Francesco. Il dato e' stato comunicato ai giornalisti dal presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella, per il quale tuttavia piu' del numero - indubbiamente elevato - "va considerata l'attiva partecipazione alla preghiera, alla riflessione e al coinvolgimento spirituale, che ha evidenziato la maturita' con la quale le diverse realta' ecclesiali coinvolte e i pellegrini in genere si inseriscono in questa esperienza ecclesiale".
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PAPA: PREGARE PER CHIESA SENZA MACCHIE E LIBERAZIONE SCHIAVI OGGI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 mag.
Papa Francesco ha deciso che in occasione dell'Adorazione Eucaristica in programma domenica pomeriggio in San Pietro e in tutte le Cattedrali del mondo come momento centrale dell'Anno della Fede, si preghera' per le vittime della tratta e delle altre forme odierne di schiavitu' e per la Chiesa affinche si purifichie diventi "senza ne' macchia ne' ruga" ma "santa e immacolata".
Di grande impatto emotivo l'intenzione sugli "schiavi di oggi". "Per quanti nelle diverse parti del mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitu' e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro schiavo, per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza". "Possa - chiede Francesco - il loro silenzioso grido di aiuto trovare vigile la Chiesa, perche' tenendo lo sguardo fisso su Cristo crocifisso non dimentichi tanti fratelli e sorelle lasciati in balia della violenza. Per tutti coloro, inoltre, che si trovano nella precarieta' economica, soprattutto i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i senzatetto, i carcerati e quanti sperimentano l'emarginazione. La preghiera della Chiesa e la sua attiva opera di vicinanza sia loro di conforto e di sostegno nella speranza, di forza e audacia nella difesa della dignita' della persona". La preghiera "per la Chiesa sparsa in tutto il mondo e oggi in segno di unita' raccolta nell'Adorazione della Santissima Eucaristia" e' anch'essa un'invocazione che non lascia indifferenti: "Il Signore - e' il testo dell'intenzione dettata da Francesco - la renda sempre obbediente all'ascolto della sua Parola per presentarsi dinanzi al mondo sempre 'piu' bella, senza macchia ne' ruga, ma santa e immacolata'". "Attraverso il suo fedele annuncio - invoca Francesco - possa la Parola che salva risuonare ancora come apportatrice di misericordia e provocare un rinnovato impegno nell'amore per offrire senso pieno al dolore, alla sofferenza e restituire gioia e serenita'".
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sabato 11 maggio 2013
Preti del concilio. Come la riforma nella continuità si realizza nel ministero presbiterale (Marchetto)
Come la riforma nella continuità si realizza nel ministero presbiterale
Preti del concilio
di Agostino Marchetto
Il cardinale François Marty, nel suo Vatican ii. Les prêtres, formation, ministère et vie, già nel 1968 indicava con chiarezza come i due decreti conciliari riguardanti il sacerdozio -- Presbyterorum ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri e Optatam totius sulla formazione sacerdotale -- non possano venire letti separatamente.
I due decreti, scriveva il porporato francese, sono inseparabili «e l'insieme degli studi che si riferiscono più direttamente al primo valgono per la corretta comprensione del secondo.
Così il decreto sulla formazione sacerdotale ne sottolinea la finalità pastorale, ma è quello sul ministero e la vita dei preti che ci manifesta soprattutto il vero contenuto della pastorale, il suo orientamento essenzialmente missionario, la duplice dimensione teocentrica e antropocentrica, l'esigenza di presenza fra gli uomini [e le donne] che esso comporta, la maniera di nutrire e unificare tutta la vita del presbitero».
Una sottolineatura di cui è utile tenere conto se si vuole comprendere il tema della riforma (o del rinnovamento) nella continuità dell'unico soggetto Chiesa indicata da Benedetto XVI come la corretta ermeneutica conciliare, nel famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005.
In questo senso, è anche importante soffermarsi su quanto è scritto nel proemio di Presbyterorum ordinis: «Più di una volta questo sacro sinodo ha ricordato a tutti l'alta dignità dell'ordine dei presbiteri. Ma poiché questo ordine ha un compito estremamente importante e sempre più arduo da svolgere nell'ambito del rinnovamento della Chiesa di Cristo, è parsa di sommo interesse una trattazione più completa e più approfondita sui presbiteri».
Per comprendere chi sono i presbiteri bisogna quindi mantenere gli occhi fissi su Cristo, mediatore unico. Essi sono, infatti, i ministri di Cristo Capo, servitori del Popolo di Dio, ministri nella Chiesa (cfr. Presbyterorum ordinis, 1), cooperatori dell'ordine episcopale (cfr. Presbyterorum ordinis, 2, 4, 5, 7, 14, 15). Da ciò nasce anche la necessità di una comunione che è definita gerarchica. Un aggettivo, quest'ultimo, che non è più usato anche quando si parla della Chiesa-comunione, concetto e mistero-chiave nella visione conciliare, come risulta dall'ermeneutica che ci fu proposta dal Sinodo dei vescovi del 1985, convocato appunto in occasione del ventesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. In effetti, però, solo con tale qualifica si possono mettere insieme il primo e il secondo millennio di vita della Chiesa cattolica. E il termine appare anche altrove e pure nella Nota explicativa praevia al terzo capitolo della Lumen gentium che riuscì a creare finalmente la quasi unanimità tra i padri conciliari anche sul tema dibattuto della collegialità.
Un altro punto di riforma (o rinnovamento) nella continuità, nel contesto del primo ufficio presbiterale, quello dell'annuncio del Vangelo (finalità dello stesso Vaticano II), è l'attenzione stabilita per la Chiesa particolare (locale) e universale, a un tempo, legata pure alla questione della incardinazione. Qui ci troviamo davanti a un'altra caratteristica del concilio, proprio nella linea della riforma nella continuità, e cioè dell'et-et, congiunzione eminentemente cattolica, che conferma appunto quella continuità dell'unico soggetto Chiesa a cui ci riferiamo nella corretta ermeneutica conciliare che non è di rottura e discontinuità. Nella stessa linea penso vada il riflesso su Presbyterorum ordinis della rivalutazione conciliare dei rapporti diciamo Chiesa-mondo contemporaneo. I presbiteri non sono dei separati perché devono «vivere con gli altri uomini come fratelli» (n. 3), ma per il celibato (n. 16), la povertà volontaria (n. 17) e l'obbedienza, basata sull'umiltà (n. 15) non sono del mondo (cfr. Giovanni, 17, 14-16, Presbyterorum ordinis, 17).
Da rilevare è pure che essi, i presbiteri, formano il “presbiterio”, un corpo, un ordo sacerdotale attorno al vescovo. Un altro punto di rilievo è poi il fatto che Presbyterorum ordinis mostra, sì, con chiarezza un ministero presbiteriale interamente ordinato all'evangelizzazione, ma che scaturisce e trova il suo compimento nella celebrazione del sacrificio di Cristo. Vi è qui (al n. 2) il legame inscindibile tra consacrazione e missione e pure, come si può costatare, la presenza di quel et-et. In questo senso, si può pertanto rilevare come il dinamismo pastorale del decreto risolverebbe anche la questione della frammentarietà quotidiana della vita dei presbiteri che troveranno in esso non solo l'unità e l'armonia nel loro agire, ma anche la santificazione. Si tratta di «carità pastorale» che ha la sua fonte anzitutto (da ciò, al n. 13, la viva raccomandazione della messa quotidiana) nel sacrificio eucaristico, centro e radice di tutta la vita dei presbiteri, la cui celebrazione dev'essere sempre più messa a fuoco nella preghiera (n. 5), con menzione anche all'Ufficio divino (nn. 5 e 13).
È interessante adesso notare come il decreto Optatam totius corrisponda ai capisaldi segnalati per Presbyterorum ordinis. Sottolineerei anzitutto «la funzione ecclesiale d'iniziazione al ministero», richiamando qui una convinzione profonda di Romano Guardini: «La scelta cristiana non viene propriamente compiuta riguardo alla concezione di Dio e nemmeno alla figura di Cristo, bensì riguardo alla Chiesa. Un'autentica efficacia è possibile soltanto in unione con essa. Ciò che può convincere l'uomo moderno non è un cristianesimo modernizzato in senso storico o psicologico o in qualsivoglia altro modo, ma soltanto l'annuncio senza limiti e interruzioni della rivelazione. Naturalmente è poi compito di chi insegna porre questo annuncio in relazione ai problemi e alle necessità del nostro tempo. Ciò che l'uomo contemporaneo desidera udire è il totale e puro annuncio cristiano. Forse risponderà negativamente all'annuncio, ma almeno sa di che cosa si tratta».
Questo va nella linea dell'edificazione di una Chiesa missionaria. In effetti gli aspiranti al sacerdozio contribuiscono a rinnovare la Chiesa nel suo slancio missionario introducendo al centro della sua vita un'aria di esigenze nuove. È un dato spirituale di cui bisogna trovare le componenti psicosociologiche e storiche. Si può dunque dire, a quest'ultimo riguardo, che le ragioni della entrata in seminario maggiore sono per lo più missionarie, corrispondono cioè all'ideale di sacerdote di Presbyterorum ordinis e che la funzione ecclesiale d'«iniziare all'ordine offre una possibilità permanente di rinnovarsi nella coscienza della sua missione».
Quali le condizioni per l'esercizio di questa funzione ecclesiale? Émile Marcus sintetizza così: «Il sacramento dell'ordine aggrega all'ordine dei ministri, a titolo di cooperatori dei vescovi, per il servizio del Popolo di Dio in crescita. Tale servizio è suscettibile di assumere dei volti diversi, tenuto conto delle condizioni nelle quali si esercita, in particolare per quanto concerne i rapporti Chiesa - mondo». Ma la vita dei presbiteri deve unificarsi nella carità pastorale in riferimento a Cristo pastore, concretamente soprattutto nella rettitudine delle sue relazioni con i diversi “prossimi” che risultano, dallo stesso Optatam totius, alla luce dei cerchi di dialogo indicati dall'Ecclesiam suam.
La formazione dovrà quindi essere a carattere pastorale, ma accettare al tempo stesso che siano apertamente poste le questioni più fondamentali sulla fede in un percorso che tocchi l'insieme del mistero cristiano, nel primo ciclo degli studi. In questo senso varrà dare un equipaggiamento piuttosto che un bagaglio, un metodo di lavoro. In genere però i preti trovano abbastanza difficoltà nell'impegno intellettuale. L'invenzione (creatività) pastorale, poi, dimensione della carità pastorale, non può che realizzarsi “nella Chiesa”. Essa ha delle norme alle quali i seminaristi devono imparare a sottomettersi. Ne segnalo due fra le più importanti, e cioè l'agire in unione con gli altri membri del presbyterium del vescovo e la lucidità teologica. Né la struttura gerarchica della Chiesa, né quella collegiale permettono d'inventare da soli. Il progredire della pastorale suppone un confronto permanente dei membri del presbyterium sotto la presidenza del vescovo (nel fedele ossequio all'autorità del vescovo dice Optatam totius, 4). Per quanto riguarda la lucidità teologica cito ancora Marcus su un tema a me caro: la continuità nella tradizione vivente della Chiesa. Egli attesta: «È particolarmente urgente educare a questa lucidità [teologica] nella necessità in cui ci troviamo, in tempi di cambiamenti, di render conto dell'unità della Tradizione vivente della Chiesa. Si preverrebbero [dunque] delle difficoltà [per dei fedeli spaesati] se si mostrasse in che [e come] la Chiesa, attraverso discipline che evolvono, mette in opera il mistero della salvezza. Allora anche quando i pastori fanno prova di spirito creativo, devono render conto di questa continuità: un solo Corpo di Cristo che cresce lungo lo scorrere dei secoli».
A tale proposito, anche nel decreto Optatam totius si possono individuare alcuni punti in cui è presente quel et-et che abbiamo già visto in Presbyterorum ordinis. E questo fin dal proemio in cui riaffermando «le leggi già collaudate dall'esperienza dei secoli», si ingiunge di inserire «elementi nuovi rispondenti al tenore dei decreti e delle costituzioni conciliari e alle mutate condizioni dei tempi». È il segno della riforma nella continuità che è il filo rosso della nostra ricerca e che mette anche insieme i principi di formazione sacerdotale applicabile a tutti i Paesi, l'universale dunque (presente al n. 20), e l'adattamento alle necessità pastorali delle varie regioni (nn. 1 e 2), perciò il locale.
Ciò vale pure per l'opera che favorisce le vocazioni sacerdotali per la quale il decreto in primo luogo raccomanda i mezzi «tradizionali di comune cooperazione, nonché una istruzione cristiana anche con i vari mezzi di comunicazione sociale» (Optatam totius, 2). Il discorso dell'adattamento è ripreso altresì, in relazione ai seminari minori, per quanto riguarda la direzione spirituale e quella dei superiori per i quali si richiamano «le norme di una sana psicologia» (Optatam totius, 3). Il decreto prosegue così al n. 6: «Con vigile cura, proporzionata all'età dei singoli (…) si indaghi sulla retta intenzione e la libera volontà dei candidati, sulla loro idoneità spirituale, morale e intellettuale, sulla necessaria salute fisica e psichica, considerando anche le eventuali inclinazioni ereditarie. Si ponderi altresì la capacità dei candidati a sopportare gli oneri sacerdotali e ad esercitare i doveri pastorali».
Lo stesso spirito del mettere insieme nova et vetera troviamo nell'auspicata formazione spirituale di cui al n. 8, nel quale si incoraggiano «gli esercizi di pietà raccomandati dalla veneranda tradizione della Chiesa, ma si eviterà che la formazione spirituale consista solo in questi esercizi, né si diriga al solo sentimento religioso. Gli alunni imparino piuttosto a vivere secondo il Vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità in modo che attraverso di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera, ottengano forza e difesa per la loro vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo».
In questo contesto osserviamo che tutto il n. 10 è dedicato alla «tradizione venerabile» del celibato sacerdotale per il regno dei cieli. Vi è qui un unicum, rispetto a tutti i testi conciliari, che desidero notare, vale a dire «la superiorità della verginità consacrata a Cristo» in relazione al matrimonio cristiano. Pure il n. 11 congiunge nova et vetera nell'invito a osservare scrupolosamente (nel contesto del dominio di sé, della disciplina, della maturità) «le norme della educazione cristiana, convenientemente perfezionate coi dati recenti della sana psicologia e pedagogia».
Al n. 16 è introdotto altresì l'aspetto ecumenico e pure un altro unicum, nel contesto della conoscenza delle altre religioni, e cioè la finalità del «riconoscere quel che per disposizione di Dio, vi è in esse di buono e di vero», ma con l'aggiunta «imparino a confutare gli errori, e siano in grado di comunicarne la pienezza della verità a coloro che non la possiedono». Imparino a confutare gli errori è un unicum.
La conclusione del decreto ritorna a mettere insieme Tradizione e riforma o rinnovamento, così: «I Padri di questo sacro concilio, proseguendo l'opera iniziata dal concilio Tridentino, mentre con fiducia affidano ai superiori e maestri dei seminari il compito di formare i futuri sacerdoti di Cristo secondo lo spirito di rinnovamento promosso dal concilio stesso, esortano vivamente coloro che si preparano al ministero sacerdotale, affinché abbiano piena consapevolezza che la speranza della Chiesa e la salvezza delle anime sono affidate in mano loro». Cioè nelle mani dei seminaristi.
Una conferma, infine, della giustezza del nostro parlare di riforma nella continuità la si può trovare consultando le note di Optatam totius, dove la citazione di Pio XII è prevalente. Non è caratteristica di questo solo documento poiché il predecessore di Giovanni XXIII è l'autore più citato nei testi conciliari, dopo le Sacre Scritture. È un ulteriore elemento atto a sgonfiare il mito della novità in pur ben noti interpreti del concilio, come se esso fosse vero e ricevibile solo nei suoi aspetti di novità. Giustamente oggi, poco a poco, le cose si stanno riequilibrando nella ricerca di una storia conciliare veritiera e di una corretta ermeneutica per una giusta ricezione del concilio ecumenico Vaticano II.
(©L'Osservatore Romano 10-11 maggio 2013)
Preti del concilio
di Agostino Marchetto
Il cardinale François Marty, nel suo Vatican ii. Les prêtres, formation, ministère et vie, già nel 1968 indicava con chiarezza come i due decreti conciliari riguardanti il sacerdozio -- Presbyterorum ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri e Optatam totius sulla formazione sacerdotale -- non possano venire letti separatamente.
I due decreti, scriveva il porporato francese, sono inseparabili «e l'insieme degli studi che si riferiscono più direttamente al primo valgono per la corretta comprensione del secondo.
Così il decreto sulla formazione sacerdotale ne sottolinea la finalità pastorale, ma è quello sul ministero e la vita dei preti che ci manifesta soprattutto il vero contenuto della pastorale, il suo orientamento essenzialmente missionario, la duplice dimensione teocentrica e antropocentrica, l'esigenza di presenza fra gli uomini [e le donne] che esso comporta, la maniera di nutrire e unificare tutta la vita del presbitero».
Una sottolineatura di cui è utile tenere conto se si vuole comprendere il tema della riforma (o del rinnovamento) nella continuità dell'unico soggetto Chiesa indicata da Benedetto XVI come la corretta ermeneutica conciliare, nel famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005.
In questo senso, è anche importante soffermarsi su quanto è scritto nel proemio di Presbyterorum ordinis: «Più di una volta questo sacro sinodo ha ricordato a tutti l'alta dignità dell'ordine dei presbiteri. Ma poiché questo ordine ha un compito estremamente importante e sempre più arduo da svolgere nell'ambito del rinnovamento della Chiesa di Cristo, è parsa di sommo interesse una trattazione più completa e più approfondita sui presbiteri».
Per comprendere chi sono i presbiteri bisogna quindi mantenere gli occhi fissi su Cristo, mediatore unico. Essi sono, infatti, i ministri di Cristo Capo, servitori del Popolo di Dio, ministri nella Chiesa (cfr. Presbyterorum ordinis, 1), cooperatori dell'ordine episcopale (cfr. Presbyterorum ordinis, 2, 4, 5, 7, 14, 15). Da ciò nasce anche la necessità di una comunione che è definita gerarchica. Un aggettivo, quest'ultimo, che non è più usato anche quando si parla della Chiesa-comunione, concetto e mistero-chiave nella visione conciliare, come risulta dall'ermeneutica che ci fu proposta dal Sinodo dei vescovi del 1985, convocato appunto in occasione del ventesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. In effetti, però, solo con tale qualifica si possono mettere insieme il primo e il secondo millennio di vita della Chiesa cattolica. E il termine appare anche altrove e pure nella Nota explicativa praevia al terzo capitolo della Lumen gentium che riuscì a creare finalmente la quasi unanimità tra i padri conciliari anche sul tema dibattuto della collegialità.
Un altro punto di riforma (o rinnovamento) nella continuità, nel contesto del primo ufficio presbiterale, quello dell'annuncio del Vangelo (finalità dello stesso Vaticano II), è l'attenzione stabilita per la Chiesa particolare (locale) e universale, a un tempo, legata pure alla questione della incardinazione. Qui ci troviamo davanti a un'altra caratteristica del concilio, proprio nella linea della riforma nella continuità, e cioè dell'et-et, congiunzione eminentemente cattolica, che conferma appunto quella continuità dell'unico soggetto Chiesa a cui ci riferiamo nella corretta ermeneutica conciliare che non è di rottura e discontinuità. Nella stessa linea penso vada il riflesso su Presbyterorum ordinis della rivalutazione conciliare dei rapporti diciamo Chiesa-mondo contemporaneo. I presbiteri non sono dei separati perché devono «vivere con gli altri uomini come fratelli» (n. 3), ma per il celibato (n. 16), la povertà volontaria (n. 17) e l'obbedienza, basata sull'umiltà (n. 15) non sono del mondo (cfr. Giovanni, 17, 14-16, Presbyterorum ordinis, 17).
Da rilevare è pure che essi, i presbiteri, formano il “presbiterio”, un corpo, un ordo sacerdotale attorno al vescovo. Un altro punto di rilievo è poi il fatto che Presbyterorum ordinis mostra, sì, con chiarezza un ministero presbiteriale interamente ordinato all'evangelizzazione, ma che scaturisce e trova il suo compimento nella celebrazione del sacrificio di Cristo. Vi è qui (al n. 2) il legame inscindibile tra consacrazione e missione e pure, come si può costatare, la presenza di quel et-et. In questo senso, si può pertanto rilevare come il dinamismo pastorale del decreto risolverebbe anche la questione della frammentarietà quotidiana della vita dei presbiteri che troveranno in esso non solo l'unità e l'armonia nel loro agire, ma anche la santificazione. Si tratta di «carità pastorale» che ha la sua fonte anzitutto (da ciò, al n. 13, la viva raccomandazione della messa quotidiana) nel sacrificio eucaristico, centro e radice di tutta la vita dei presbiteri, la cui celebrazione dev'essere sempre più messa a fuoco nella preghiera (n. 5), con menzione anche all'Ufficio divino (nn. 5 e 13).
È interessante adesso notare come il decreto Optatam totius corrisponda ai capisaldi segnalati per Presbyterorum ordinis. Sottolineerei anzitutto «la funzione ecclesiale d'iniziazione al ministero», richiamando qui una convinzione profonda di Romano Guardini: «La scelta cristiana non viene propriamente compiuta riguardo alla concezione di Dio e nemmeno alla figura di Cristo, bensì riguardo alla Chiesa. Un'autentica efficacia è possibile soltanto in unione con essa. Ciò che può convincere l'uomo moderno non è un cristianesimo modernizzato in senso storico o psicologico o in qualsivoglia altro modo, ma soltanto l'annuncio senza limiti e interruzioni della rivelazione. Naturalmente è poi compito di chi insegna porre questo annuncio in relazione ai problemi e alle necessità del nostro tempo. Ciò che l'uomo contemporaneo desidera udire è il totale e puro annuncio cristiano. Forse risponderà negativamente all'annuncio, ma almeno sa di che cosa si tratta».
Questo va nella linea dell'edificazione di una Chiesa missionaria. In effetti gli aspiranti al sacerdozio contribuiscono a rinnovare la Chiesa nel suo slancio missionario introducendo al centro della sua vita un'aria di esigenze nuove. È un dato spirituale di cui bisogna trovare le componenti psicosociologiche e storiche. Si può dunque dire, a quest'ultimo riguardo, che le ragioni della entrata in seminario maggiore sono per lo più missionarie, corrispondono cioè all'ideale di sacerdote di Presbyterorum ordinis e che la funzione ecclesiale d'«iniziare all'ordine offre una possibilità permanente di rinnovarsi nella coscienza della sua missione».
Quali le condizioni per l'esercizio di questa funzione ecclesiale? Émile Marcus sintetizza così: «Il sacramento dell'ordine aggrega all'ordine dei ministri, a titolo di cooperatori dei vescovi, per il servizio del Popolo di Dio in crescita. Tale servizio è suscettibile di assumere dei volti diversi, tenuto conto delle condizioni nelle quali si esercita, in particolare per quanto concerne i rapporti Chiesa - mondo». Ma la vita dei presbiteri deve unificarsi nella carità pastorale in riferimento a Cristo pastore, concretamente soprattutto nella rettitudine delle sue relazioni con i diversi “prossimi” che risultano, dallo stesso Optatam totius, alla luce dei cerchi di dialogo indicati dall'Ecclesiam suam.
La formazione dovrà quindi essere a carattere pastorale, ma accettare al tempo stesso che siano apertamente poste le questioni più fondamentali sulla fede in un percorso che tocchi l'insieme del mistero cristiano, nel primo ciclo degli studi. In questo senso varrà dare un equipaggiamento piuttosto che un bagaglio, un metodo di lavoro. In genere però i preti trovano abbastanza difficoltà nell'impegno intellettuale. L'invenzione (creatività) pastorale, poi, dimensione della carità pastorale, non può che realizzarsi “nella Chiesa”. Essa ha delle norme alle quali i seminaristi devono imparare a sottomettersi. Ne segnalo due fra le più importanti, e cioè l'agire in unione con gli altri membri del presbyterium del vescovo e la lucidità teologica. Né la struttura gerarchica della Chiesa, né quella collegiale permettono d'inventare da soli. Il progredire della pastorale suppone un confronto permanente dei membri del presbyterium sotto la presidenza del vescovo (nel fedele ossequio all'autorità del vescovo dice Optatam totius, 4). Per quanto riguarda la lucidità teologica cito ancora Marcus su un tema a me caro: la continuità nella tradizione vivente della Chiesa. Egli attesta: «È particolarmente urgente educare a questa lucidità [teologica] nella necessità in cui ci troviamo, in tempi di cambiamenti, di render conto dell'unità della Tradizione vivente della Chiesa. Si preverrebbero [dunque] delle difficoltà [per dei fedeli spaesati] se si mostrasse in che [e come] la Chiesa, attraverso discipline che evolvono, mette in opera il mistero della salvezza. Allora anche quando i pastori fanno prova di spirito creativo, devono render conto di questa continuità: un solo Corpo di Cristo che cresce lungo lo scorrere dei secoli».
A tale proposito, anche nel decreto Optatam totius si possono individuare alcuni punti in cui è presente quel et-et che abbiamo già visto in Presbyterorum ordinis. E questo fin dal proemio in cui riaffermando «le leggi già collaudate dall'esperienza dei secoli», si ingiunge di inserire «elementi nuovi rispondenti al tenore dei decreti e delle costituzioni conciliari e alle mutate condizioni dei tempi». È il segno della riforma nella continuità che è il filo rosso della nostra ricerca e che mette anche insieme i principi di formazione sacerdotale applicabile a tutti i Paesi, l'universale dunque (presente al n. 20), e l'adattamento alle necessità pastorali delle varie regioni (nn. 1 e 2), perciò il locale.
Ciò vale pure per l'opera che favorisce le vocazioni sacerdotali per la quale il decreto in primo luogo raccomanda i mezzi «tradizionali di comune cooperazione, nonché una istruzione cristiana anche con i vari mezzi di comunicazione sociale» (Optatam totius, 2). Il discorso dell'adattamento è ripreso altresì, in relazione ai seminari minori, per quanto riguarda la direzione spirituale e quella dei superiori per i quali si richiamano «le norme di una sana psicologia» (Optatam totius, 3). Il decreto prosegue così al n. 6: «Con vigile cura, proporzionata all'età dei singoli (…) si indaghi sulla retta intenzione e la libera volontà dei candidati, sulla loro idoneità spirituale, morale e intellettuale, sulla necessaria salute fisica e psichica, considerando anche le eventuali inclinazioni ereditarie. Si ponderi altresì la capacità dei candidati a sopportare gli oneri sacerdotali e ad esercitare i doveri pastorali».
Lo stesso spirito del mettere insieme nova et vetera troviamo nell'auspicata formazione spirituale di cui al n. 8, nel quale si incoraggiano «gli esercizi di pietà raccomandati dalla veneranda tradizione della Chiesa, ma si eviterà che la formazione spirituale consista solo in questi esercizi, né si diriga al solo sentimento religioso. Gli alunni imparino piuttosto a vivere secondo il Vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità in modo che attraverso di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera, ottengano forza e difesa per la loro vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo».
In questo contesto osserviamo che tutto il n. 10 è dedicato alla «tradizione venerabile» del celibato sacerdotale per il regno dei cieli. Vi è qui un unicum, rispetto a tutti i testi conciliari, che desidero notare, vale a dire «la superiorità della verginità consacrata a Cristo» in relazione al matrimonio cristiano. Pure il n. 11 congiunge nova et vetera nell'invito a osservare scrupolosamente (nel contesto del dominio di sé, della disciplina, della maturità) «le norme della educazione cristiana, convenientemente perfezionate coi dati recenti della sana psicologia e pedagogia».
Al n. 16 è introdotto altresì l'aspetto ecumenico e pure un altro unicum, nel contesto della conoscenza delle altre religioni, e cioè la finalità del «riconoscere quel che per disposizione di Dio, vi è in esse di buono e di vero», ma con l'aggiunta «imparino a confutare gli errori, e siano in grado di comunicarne la pienezza della verità a coloro che non la possiedono». Imparino a confutare gli errori è un unicum.
La conclusione del decreto ritorna a mettere insieme Tradizione e riforma o rinnovamento, così: «I Padri di questo sacro concilio, proseguendo l'opera iniziata dal concilio Tridentino, mentre con fiducia affidano ai superiori e maestri dei seminari il compito di formare i futuri sacerdoti di Cristo secondo lo spirito di rinnovamento promosso dal concilio stesso, esortano vivamente coloro che si preparano al ministero sacerdotale, affinché abbiano piena consapevolezza che la speranza della Chiesa e la salvezza delle anime sono affidate in mano loro». Cioè nelle mani dei seminaristi.
Una conferma, infine, della giustezza del nostro parlare di riforma nella continuità la si può trovare consultando le note di Optatam totius, dove la citazione di Pio XII è prevalente. Non è caratteristica di questo solo documento poiché il predecessore di Giovanni XXIII è l'autore più citato nei testi conciliari, dopo le Sacre Scritture. È un ulteriore elemento atto a sgonfiare il mito della novità in pur ben noti interpreti del concilio, come se esso fosse vero e ricevibile solo nei suoi aspetti di novità. Giustamente oggi, poco a poco, le cose si stanno riequilibrando nella ricerca di una storia conciliare veritiera e di una corretta ermeneutica per una giusta ricezione del concilio ecumenico Vaticano II.
(©L'Osservatore Romano 10-11 maggio 2013)
lunedì 6 maggio 2013
Il teologo Ratzinger: l’orizzonte ultimo del Concilio rimaneva «sempre l’ordinarietà quotidiana vissuta dai credenti e dai loro contemporanei» (Falasca)
Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
Le omelie papali nell'Anno della fede
Quotidianità viva che attua il Concilio
Stefania Falasca
L’Anno della fede passa anche per Santa Marta. È ormai evidente, infatti, che le omelie delle messe feriali celebrate da papa Francesco presso la sua residenza non sono solo una parte importante della sua tipica oratoria ma costituiscono un riferimento, un appuntamento atteso, seguito come stimolo, anzitutto, per il cammino alla fede di tutti.
Cada dia, ogni giorno. «Proponendosi», secondo le stesse parole pronunciate da papa Francesco all’inizio del suo pontificato nella ripresa delle catechesi del mercoledì, come «una sorta di pellegrinaggio verso ciò che per ogni cristiano rappresenta l’essenziale: il rapporto personale e trasformante con Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza».
La cadenza di queste omelie è nella strada dell’ordinarietà, della dimensione familiare, perché è la quotidianità della fede che aiuta la fede. Ed è proprio in questa scelta del vissuto ordinario la loro forza, che le rende paradigmatiche del magistero di Francesco.
Sono omelie caratterizzate dalla brevitas, mai più di otto minuti, secondo il criterio da sempre adottato da Bergoglio, e che egli prepara ogni mattino dalle sei alle sei e trenta, dopo il tempo non breve dedicato alla preghiera e alla meditazione personale.
Traggono tutte ispirazione dalle letture della liturgia del giorno e si articolano alla luce dei passi delle Sacre Scritture per aprire al mistero delle fede e della vita cristiana, al cammino della Chiesa nella storia degli uomini. Secondo l’intento che è stato centrale anche per l’avvio della Riforma liturgica affinché questa potesse riattivare la sua funzione di annuncio evangelico: dare al Popolo di Dio la ricchezza e la forza attrattiva che è propria della Parola di Dio, portarla, seminarla nella ferialità. Un aspetto, questo, che era rimasto offuscato dai contrasti postconciliari sull’applicazione della Riforma e anche dalle successive tendenze che della liturgia hanno fatto un terreno di battaglia di diverse sensibilità ecclesiali. Ma proprio l’ordinarietà quotidiana dei credenti è stato ed è l’orizzonte del Concilio stesso.
Al culmine dell’avventura conciliare l’allora teologo bavarese Ratzinger affermava che l’orizzonte ultimo del Concilio rimaneva «sempre l’ordinarietà quotidiana vissuta dai credenti e dai loro contemporanei». Per lui, già allora, «nessun Concilio per quanto grande sia il suo impeto può di per se portare il rinnovamento della cristianità. Esso è piuttosto il punto di partenza, l’impulso iniziale che deve prolungarsi nella ordinarietà della vita cristiana quotidiana.
Un Concilio non porta da nessuna parte se poi ognuno di noi non vive della fede, della speranza, della carità». Seguire anche da lontano le messe feriali di papa Francesco è allora uscire dai propri recinti, trovarsi o ritrovarsi nel bel mezzo della fede, nel bel mezzo del vento conciliare, senza nessun incantesimo, nessuna chiusura farisaica, senza fatica. Portati, semplicemente, così.
Nel discorso a braccio ai parroci e al clero di Roma del 14 febbraio scorso Benedetto XVI aveva detto: «Mi sembra che cinquant’anni dopo il Concilio appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa». Anche questo è il magistero di Santa Marta.
© Copyright Avvenire, 5 maggio 2013
Le omelie papali nell'Anno della fede
Quotidianità viva che attua il Concilio
Stefania Falasca
L’Anno della fede passa anche per Santa Marta. È ormai evidente, infatti, che le omelie delle messe feriali celebrate da papa Francesco presso la sua residenza non sono solo una parte importante della sua tipica oratoria ma costituiscono un riferimento, un appuntamento atteso, seguito come stimolo, anzitutto, per il cammino alla fede di tutti.
Cada dia, ogni giorno. «Proponendosi», secondo le stesse parole pronunciate da papa Francesco all’inizio del suo pontificato nella ripresa delle catechesi del mercoledì, come «una sorta di pellegrinaggio verso ciò che per ogni cristiano rappresenta l’essenziale: il rapporto personale e trasformante con Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza».
La cadenza di queste omelie è nella strada dell’ordinarietà, della dimensione familiare, perché è la quotidianità della fede che aiuta la fede. Ed è proprio in questa scelta del vissuto ordinario la loro forza, che le rende paradigmatiche del magistero di Francesco.
Sono omelie caratterizzate dalla brevitas, mai più di otto minuti, secondo il criterio da sempre adottato da Bergoglio, e che egli prepara ogni mattino dalle sei alle sei e trenta, dopo il tempo non breve dedicato alla preghiera e alla meditazione personale.
Traggono tutte ispirazione dalle letture della liturgia del giorno e si articolano alla luce dei passi delle Sacre Scritture per aprire al mistero delle fede e della vita cristiana, al cammino della Chiesa nella storia degli uomini. Secondo l’intento che è stato centrale anche per l’avvio della Riforma liturgica affinché questa potesse riattivare la sua funzione di annuncio evangelico: dare al Popolo di Dio la ricchezza e la forza attrattiva che è propria della Parola di Dio, portarla, seminarla nella ferialità. Un aspetto, questo, che era rimasto offuscato dai contrasti postconciliari sull’applicazione della Riforma e anche dalle successive tendenze che della liturgia hanno fatto un terreno di battaglia di diverse sensibilità ecclesiali. Ma proprio l’ordinarietà quotidiana dei credenti è stato ed è l’orizzonte del Concilio stesso.
Al culmine dell’avventura conciliare l’allora teologo bavarese Ratzinger affermava che l’orizzonte ultimo del Concilio rimaneva «sempre l’ordinarietà quotidiana vissuta dai credenti e dai loro contemporanei». Per lui, già allora, «nessun Concilio per quanto grande sia il suo impeto può di per se portare il rinnovamento della cristianità. Esso è piuttosto il punto di partenza, l’impulso iniziale che deve prolungarsi nella ordinarietà della vita cristiana quotidiana.
Un Concilio non porta da nessuna parte se poi ognuno di noi non vive della fede, della speranza, della carità». Seguire anche da lontano le messe feriali di papa Francesco è allora uscire dai propri recinti, trovarsi o ritrovarsi nel bel mezzo della fede, nel bel mezzo del vento conciliare, senza nessun incantesimo, nessuna chiusura farisaica, senza fatica. Portati, semplicemente, così.
Nel discorso a braccio ai parroci e al clero di Roma del 14 febbraio scorso Benedetto XVI aveva detto: «Mi sembra che cinquant’anni dopo il Concilio appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa». Anche questo è il magistero di Santa Marta.
© Copyright Avvenire, 5 maggio 2013
sabato 4 maggio 2013
mercoledì 24 aprile 2013
Udienza generale: il testo della catechesi di Papa Francesco
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mercoledì 17 aprile 2013
Un testo del Patriarca Albino Luciani per l'anno della fede indetto da Paolo VI -1967
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