mercoledì 19 giugno 2013

Il culto di San Giuseppe nella tradizione della Chiesa (Barba)

Il culto nella tradizione della Chiesa

di Maurizio Barba*

È sorprendente il fatto che il culto di san Giuseppe sia stato introdotto ufficialmente nella Chiesa in epoca tardiva, mentre sin dai tempi più remoti il ricordo o la devozione del vir iustus sono stati sempre vivi nella mente e nel cuore dei Padri della Chiesa, degli scrittori ecclesiastici, dei Pontefici, degli autori cattolici e dei fedeli. Se una certa prudenza di non mettere in risalto la figura di san Giuseppe si è andata facendo strada in tempi nei quali la polemica in difesa della divinità del Figlio di Dio e della verginità della Madre di Dio era alquanto accesa, un riservato e silenzioso impulso maturava nell'animo umano verso lo sposo di Maria e padre putativo di Gesù.
I modesti accenni che la Sacra Scrittura riserva a san Giuseppe sono sviluppati dall'abbondante letteratura apocrifa e patristica. Il Protoevangelo di Giacomo (ii-III secolo) come anche la Storia di Giuseppe il falegname (iv secolo) e il Vangelo dello pseudo-Matteo (vi secolo) cercano di colmare il silenzio biblico con racconti carichi di devozione. Per la loro forma letteraria alcuni di questi testi apocrifi, come ad esempio la Storia di Giuseppe il falegname, nella quale sono state rinvenute tracce di una devozione popolare, pare fossero usati anche nella liturgia in occasione della festa di san Giuseppe, specialmente nei monasteri copti.
Anche nella letteratura patristica incontriamo una certa predilezione verso san Giuseppe da parte di alcuni esponenti come ad esempio san Girolamo, sant'Efrem il Siro, sant'Agostino, San Giovanni Crisostomo, anche se nei loro scritti la menzione del santo è sempre posta in relazione con Gesù, e Maria, nell'ottica del mistero della salvezza.
I primi indizi di un culto a san Giuseppe risalgono al VII secolo: il vescovo della Gallia Arculfo, durante il suo pellegrinaggio nella Terra Santa ne attesta la presenza a Nazaret nel 670; i calendari copti, dei secoli tra l'VIII e il ix, ne testimoniano la festa il 20 luglio e il Menologio di Basilio ii il 25 dicembre in relazione con i magi.
Dall'oriente pare che il culto a san Giuseppe fu portato in occidente: una chiesa era a lui dedicata a Bologna nel 1129, e nel XIII secolo il primo Ufficio proprio del santo appare nel codice 9598-606 di Bruxelles che attesta la data del 19 marzo; nei secoli XIV e XV il culto di san Giuseppe ebbe un notevole sviluppo a opera dei francescani -- si pensi a Ubertino da Casale e al cancelliere Gersone -- e dei carmelitani che lo inserirono nel loro Breviario.
Alla fine del XV secolo Sisto iv (1471-1484) ne approva la festa di grado simplex fissandola al 19 marzo. Gregorio XV nel 1621, in seguito alle istanze di alcuni sovrani devoti del santo, la dichiarò festa di precetto. Clemente x nel 1670 la elevò a festa doppia di seconda classe e ne approvò l'Ufficio proprio nel 1714. Pio IX nel 1847, con il decreto della Sacra Congregazione dei Riti Inclytus patriarcha Joseph (10 settembre 1847), estese a tutta la Chiesa la festa del patrocinio di san Giuseppe -- inizialmente accordata ai carmelitani di Francia e d'Italia nel 1680 -- fissandone la data alla III Domenica dopo Pasqua e nel 1870 lo proclamò patrono della Chiesa universale, al fine di ottenere per i suoi meriti e per la sua intercessione, con più efficacia la misericordia di Dio perché fossero allontanati tutti i mali che affliggevano da ogni parte la Chiesa; inoltre, con la lettera apostolica Inclytum patriarcham (7 luglio 1871) riconobbe a san Giuseppe il diritto a un culto specifico, con l'introduzione di particolari «privilegi e onori» che spettano ai patroni secondo le rubriche del Messale e del Breviario romano (cioè la recita del Credo, l'inserimento dell'invocazione Cum beato Joseph nell'orazione A cunctis da far seguire immediatamente quella della beata Vergine Maria, l'aggiunta dell'antifona ai vespri Ecce fidelis servus, quella alle lodi Ipse Iesus e l'orazione Deus, qui ineffabili providentia). Pio X trasferì la festa del patrocinio al mercoledì dopo la III Domenica dopo Pasqua e con decreto della Congregazione dei Riti (18 marzo 1809) ne approvò le litanie in suo onore con le relative indulgenze. Benedetto XV approvò e concesse (9 aprile 1919) di introdurre nel Messale romano il testo del Prefazio proprio per le messe di san Giuseppe, sia festive che votive, in occasione del cinquantesimo anniversario della proclamazione di san Giuseppe a patrono universale della Chiesa; con il decreto della Congregazione dei Riti (23 febbraio 1921) fece introdurre il nome di san Giuseppe nelle invocazioni «Dio sia benedetto»; infine, con decreto della Sacra Congregazione dei Riti (26 ottobre 1921), volle estendere alla Chiesa universale la festa della «Santa Famiglia», istituita da Leone XIII nel 1895, stabilendo che fosse celebrata con rito doppio maggiore la domenica nell'ottava dell'Epifania, con diritti e privilegi della stessa domenica. Pio XII nel 1955 trasferì la festa del patrocinio di san Giuseppe al 1° maggio cambiando il titolo in “San Giuseppe operaio”. Giovanni XXIII, alla fine del primo periodo del concilio ecumenico Vaticano II, con il decreto Novis hisce temporibus della Sacra Congregazione dei Riti (13 novembre 1962), ne inserì il nome nel Canone romano.
A differenza dei Padri della Chiesa che trattarono di san Giuseppe solo occasionalmente nel contesto dei commenti ai passi evangelici che lo nominano, gli scrittori ecclesiastici e i grandi teologi scolastici -- tra i quali vanno segnalati ad esempio san Bernardo, san Tommaso d'Aquino, san Bonaventura, san Vincenzo Ferrer, san Bernardino da Siena, santa Teresa di Gesù, san Pietro Canisio, san Francesco di Sales, san Giovanni Eudes, san Vincenzo de' Paoli, san Leonardo da Porto Maurizio, sant'Alfonso Maria de' Liguori -- si interessarono a lui più ampiamente, creando un vero e proprio pensiero teologico sulla sua figura e missione mediante uno sviluppo letterario diversificato.
Nell'ambito della tradizione ecclesiale si colloca anche tutto un filone di produzione letteraria a opera di autori e scrittori cattolici che vanno dall'epoca più antica, come ad esempio: Remigio di Autun (secolo x), Ubertino da Casale (secolo XIV), Bartolomeo da Pisa e Bernardino da Feltre (secolo XV), Bernardino de' Bustis (secolo XVI), Giovanni da Cartagine, a quella più moderna, come Jacquinot (1645), Olier, Richard (1698), Bossuet (1697), Houdry (1718), Hello (1875), Maréchaux (1910), Sauvé (1920), Éphraïm (1996).
Ma il forte impulso alla diffusione del pensiero teologico su san Giuseppe fu dato dalla voce autorevole dei Pontefici che nel Magistero hanno fissato le linee essenziali della teologia giuseppina.
Pio IX, con la lettera apostolica Inclytum patriarcham (7 luglio 1871), riassumeva il magistero pontificio precedente relativo a san Giuseppe, e presentava un primo breve trattato sulla sua figura, con riferimento ai suoi titoli, grandezza, dignità, santità e missione.
Leone XIII, nell'enciclica Quamquam pluries (15 agosto 1889), approfondiva la dottrina su san Giuseppe dai fondamenti della sua dignità sino alla ragione singolare per cui merita di essere proclamato patrono di tutta la Chiesa, modello e avvocato di tutte le famiglie cristiane. Autentico “teologo” di san Giuseppe, egli illuminava con questa enciclica la grandezza del santo come padre putativo di Gesù Cristo.
Benedetto XV, nel motu proprio Bonum sane (25 luglio 1920), ricordava l'efficacia della devozione a san Giuseppe come rimedio ai problemi del dopoguerra e raccomandava di supplicarlo in favore dei moribondi, poiché «egli è ritenuto meritatamente il loro più efficace protettore, essendo spirato con l'assistenza di Gesù e Maria».
Pio XII, nel discorso del 1° maggio 1955, in occasione del decimo anniversario delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli), proponeva la figura di san Giuseppe come patrono e modello degli operai.
Giovanni XXIII, nella lettera apostolica Le voci (19 marzo 1961), riassumeva gli atti dei precedenti Pontefici in onore di san Giuseppe e lo nominava protettore del concilio ecumenico Vaticano II.
Paolo VI, in diversi discorsi presentò la figura di san Giuseppe nella sua poliedrica ricchezza.
Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Redemptoris custos (15 agosto 1989) offriva un'ampia riflessione «sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa» e lo collocava chiaramente nel cuore del mistero della redenzione, sulla stessa linea delle grandi encicliche Redemptor hominis (4 marzo 1979) e Redemptoris mater (25 marzo 1987).
Non sfugge, infine, la particolare devozione anche degli ultimi due Papi: Benedetto XVI, che, oltre a portare il nome del santo come nome di battesimo, durante il suo pontificato più volte ha fatto riferimento al santo, e Papa Francesco, che nel suo stemma ha voluto esprimere la personale devozione verso il padre putativo di Gesù con l'inserimento del fiore di nardo, che nella tradizione araldica e iconografica rimanda al patrono della Chiesa universale. Per singolare coincidenza, poi, l'inizio del ministero petrino di Papa Francesco è stato celebrato proprio nel giorno della solennità di san Giuseppe.
In considerazione della volontà di Benedetto XVI, confermata da Papa Francesco, di inserire la menzione di san Giuseppe nelle Preghiere eucaristiche ii, III e iv del Messale romano, supportata anche dalla dottrina del recente magistero espresso nell'esortazione apostolica Redemptoris custos di Giovanni Paolo II, in cui viene presentato lo speciale vincolo di san Giuseppe con il mistero di Cristo, la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti ha proceduto a emanare il decreto con il quale si apporta tale intervento nel Messale romano.
Il documento, che riprende nel testo varie espressioni dell'esortazione apostolica Redemptoris custos di Giovanni Paolo II, porta la data del 1° maggio 2013, memoria di san Giuseppe lavoratore.
In esso viene espresso in maniera concisa il ruolo del santo nell'economia della salvezza, chiamato da Dio a esercitare la sua paternità a servizio della persona e della missione di Cristo con generosa umiltà e adorno di quelle virtù comuni, umane e semplici, che fungono da modello tipico per coloro che si mettono alla sequela di Cristo. L'esercizio della sua paternità è espresso mediante la duplice missione di prendersi amorevole cura della Beata Vergine Maria e di dedicarsi con gioioso impegno all'educazione di Gesù, divenendo in tal modo il “custode” dei tesori più preziosi di Dio. La sua paternità, poi, si manifesta anche nel sostegno che egli concede alla Chiesa, corpo mistico di Cristo, che beneficia della sua protezione.
Il documento, inoltre, sottolinea l'ininterrotta tradizione del culto che la Chiesa tributa al santo e la particolare devozione dei fedeli che da sempre ne hanno onorato la memoria di sposo castissimo della Madre di Dio e patrono celeste di tutta la Chiesa. Si fa, quindi, riferimento al fatto che durante il concilio ecumenico Vaticano II, il beato Giovanni XXIII ha voluto inserire il nome di san Giuseppe nel Canone romano, ponendo sotto il suo patrocinio la riuscita dell'assise conciliare.
Sulla scia di questo provvedimento e degli auspici pervenuti da più parti, il decreto mette in evidenza la benevola accoglienza di Benedetto XVI e la fattiva attuazione di Papa Francesco a introdurre nelle altre preghiere eucaristiche il nome di san Giuseppe con la formulazione appropriata del testo da inserire secondo lo stile delle diverse preghiere, considerata tipica per la lingua latina.
Infine, per quanto riguarda la traduzione delle medesime formule nelle altre lingue oltre al latino, il decreto afferma che per le lingue moderne occidentali di maggior diffusione se ne occuperà la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, mentre per quelle da redigere nelle altre lingue si demanda la preparazione, come stabilito dal diritto, alla relativa Conferenza dei vescovi con la seguente approvazione della Santa Sede.

*Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti

(©L'Osservatore Romano 20 giugno 2013)

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