L'amore imperfetto
di Claudio Risé
Si moltiplicano le riflessioni orali e scritte su l'amore imperfetto. Il recente seminario della Pontificia Commissione per la Famiglia su «L'amore imperfetto. La madre e il padre nell'educazione dei figli», così come i recenti libri della psicologa Grazia Attili (L'amore imperfetto. Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo, Bologna, Il Mulino, 2012, pagine 217, euro 14), o della neuropsichiatra Mariolina Ceriotti (La coppia imperfetta, Milano, Ares, 2012, pagine 184, euro 14), accettano di lasciarsi provocare dall'imperfezione dell'amore. Sia quello che abbiamo ricevuto che quello che siamo chiamati a dare, in particolare nei rapporti tra generazioni e nel processo educativo di cui proprio l'amore è indispensabile veicolo. Questi lavori si impegnano a rispondere alla forte domanda d'amore, insoddisfatta da modelli culturali sterili e utilitaristici oggi proposti in modo sempre più pervasivo. Ciò richiede però di andare oltre l'analisi della scena familiare.
L'attuale disorientamento della famiglia e dei suoi membri, infatti, non nasce solo al suo interno. Così il suo superamento non è ottenibile solo con una dettagliata descrizione delle dinamiche familiari. Esse rimandano sempre, infatti, a una ferita più profonda, più ampia. Il malessere della modernità è di natura antropologica.
Oggi è in questione lo stesso statuto dell'uomo nelle sue caratteristiche fondamentali: per esempio se sia una creatura oppure (come viene sempre più spesso descritto) un creatore, se sia un soggetto dotato di libertà o un oggetto prodotto e continuamente aggiornabile e manipolabile dalle tecnoscienze.
La madre, il padre, i figli di cui si parla e si scrive a proposito dell'amore imperfetto, vengono oggi invasi dal modello di cultura dominante nei loro affetti e vissuti attraverso controlli e proposte pervasive e storicamente inedite. Per convincersene (oltre a seguire le notizie) basta guardare -- come ha fatto nei suoi lavori Michel Foucault -- alla straordinaria moltiplicazione dei dispositivi giudiziari e amministrativi, che da allora hanno ulteriormente dilagato in ogni ambito dell'esperienza umana. I rapporti tra i genitori e quelli coi loro figli vengono oggi sottoposti a dettagliati interventi di regolazione e omologazione da parte di autorità nazionali e sovranazionali, oltre che del sistema di comunicazione globale in cui siamo costantemente immersi.
Sincronicamente a questa sorta di assedio pubblico alla vita della famiglia si è sviluppata la sua distanza nei confronti di Dio. L'imperfezione nell'amore, le sue attuali manifestazioni e patologie (tutto ciò che nel linguaggio psicologico siamo abituati a riassumere nel termine generico di “problemi relazionali” a partire da quelli presenti nei rapporti familiari), sono fortemente legati a quella trasformazione profonda nel rapporto con l'altro chiamata: “processo di secolarizzazione”. Durante il quale il rapporto con l'altro inteso come Dio è stato gradualmente emarginato dalla vita dell'uomo, fino a venire considerato, nei modelli di cultura oggi dominanti in occidente, un'eventualità privata, senza particolare rilevanza per la vita pubblica, né per quanto vi accade.
In realtà l'osservazione della psiche umana, soprattutto nei suoi livelli più profondi, ci dimostra quotidianamente che il rapporto col divino è, anche, sintesi e rappresentazione (oltre che ispirazione) del rapporto con l'altro. E la sua diminutio annuncia il conseguente svuotamento di ogni ulteriore “altro” nella relazione: la donna, l'uomo, il bambino, lo straniero, la stessa natura.
Come ha osservato Romano Guardini, nella secolarizzazione l'incontro col mondo «sembra essersi trasformato in un rapporto di mera oggettualità. Il mondo diventa oggetto». In questa ottica (nella quale tutti siamo immersi) anche le madri, i padri, i figli, i rapporti tra di loro, diventano oggetti da osservare. Le scienze (e la stessa psicologia) quando guardano all'uomo coi metodi oggettivanti delle scienze naturali, faticano ad accettarne il mistero. Diventano allora più rari e difficili, nota ancora Guardini, «l'atteggiamento del dischiudersi, dell'ascolto attento e dell'immergersi (...) Il mondo cui si riferisce la nostra scienza non conosce alcun “mistero” ma problemi”. E non appena il problema viene “risolto” scompare, mentre il mistero, per contro, diventa tanto più profondo quanto più vigorosamente viene vissuto». E personalmente assunto, come vera e propria chiamata, confronto di profondo significato esistenziale.
La riduzione della vita umana al “secolo” e agli oggetti d'amore da esso conosciuti e riconosciuti (che sono soprattutto le cose e il potere), porta così a un progressivo isterilimento non solo della relazione con l'altro ma anche del suo studio, dove la differenza e irripetibilità di ogni persona umana viene progressivamente negata e appiattita in immaginarie equivalenze tra le generazioni, i sessi, e le culture.
La negazione delle rispettive differenze però, toglie forza e senso ad ogni relazione. E rende fragile e precario il legame. Ogni legame affettivo si indebolisce quando l'altro non viene visto nella sua alterità profonda, e non viene amato nella sua differenza. Questa progressiva fragilità dei legami, a sua volta, rende debole e fragile il soggetto e le forme sociali che egli produce e cui partecipa. Quindi non solo la famiglia, ma la stessa società democratica, che richiede un soggetto disposto a riconoscere l'altro nella sua diversità personale, di orientamenti, di idee (non a caso sempre Guardini, figlio di un tempo non così lontano dal nostro metteva in guardia dalla predilezione avanzante per le soluzioni autoritarie).
Nell'educazione, i genitori che abbiano idee e visioni personali in proposito sono guardati con sospetto e si organizzano referendum per esprimere la preferenza a quella omologata dallo Stato. In questo scenario antropologico le immagini della madre e del padre, come ogni altra immagine della vita naturale tendono ad affievolirsi e a confondersi. Si affievoliscono (ricorda Guardini) perché la tecnica le rimuove. Ma prima ancora le rimuove la visione oggettivante dell'uomo presentata nelle tecnoscienze che confondono lo sviluppo tecnico col destino umano.
In effetti l'uomo veniva già da un pezzo osservato come oggetto, da prima che le tecniche di riproduzione artificiale si applicassero a riprodurlo davvero nei laboratori.
Questo modo oggettivante di considerare l'uomo lascia la persona in una grande solitudine e confusione. Lo constatiamo quotidianamente in tutte la professioni-situazioni di aiuto. Come osserva Karl Jaspers, psichiatra e filosofo: «Conoscenza scientifica e abilità tecnica si trovano a spiegare qualcosa senza comprenderlo, a meno di non considerare compreso un fenomeno per il solo fatto che gli si è assegnato un nome». È la grande tentazione dei manuali diagnostici.
L'allontanamento dell'esperienza religiosa e le sue conseguenze sul rapporto con l'altro, la visione oggettivante delle tecnoscienze e l'indebolimento del soggetto umano, l'indifferenza al senso nel linguaggio preoccupato solo di ricostruire le cause, condizionano e determinano lo scenario in cui si muovono gli attori della famiglia di oggi: la madre, il padre, i figli, e la qualità dell'amore che in essa si realizza (o non si realizza).
(©L'Osservatore Romano 14 luglio 2013)
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