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domenica 9 febbraio 2014
Vita di Joseph (Galeazzi)
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lunedì 2 settembre 2013
L'omelia di Benedetto XVI di fronte ai suoi ex allievi nel commento di Galeazzi
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lunedì 15 luglio 2013
Francesco rinuncia a Castel Gandolfo (Galeazzi)
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Bologna, la battaglia legale della Curia per l’eredità Faac (Galeazzi)
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martedì 9 luglio 2013
“No alla globalizzazione dell’indifferenza” (Galeazzi)
Riceviamo e con gratitudine pubblichiamo:
LAMPEDUSA LA VISITA DEL PAPA
“No alla globalizzazione dell’indifferenza”
L’affondo di Francesco nell’isola dei profughi: “Non sappiamo più piangere dei drammi del mondo”
GIACOMO GALEAZZI
INVIATO A LAMPEDUSA
È un viaggio che vale un’enciclica. Nell’isola delle lacrime Francesco diffonde il sorriso del suo carisma travolgente ma non fa sconti alle istituzioni «indifferenti». Parla da vero leader planetario, però si informa di dettagli quotidiani nei colloqui per strada e fa sentire ogni interlocutore l’epicentro del suo interesse. La visita è breve (4 ore) ma carica di significati per avviare la sua predicazione «on the road». Nella «via crucis» tra molo e parrocchia Bergoglio dialoga coi profughi, sferza la politica che provoca le tragedie del mare, implora il perdono di Dio per aver ignorato la «strage degli innocenti»: 25mila morti in vent’anni.
Intanto svela gli obiettivi di un pontificato che non si rassegna alle ingiustizie del mondo e rivoluziona il modello di Chiesa riportando al centro i poveri e la fratellanza con i musulmani (li saluta con un «O’scià», per l’inizio del Ramadan). Sconvolto dai racconti dei sopravvissuti ai naufragi, il Papa figlio di migranti interrompe l’omelia nello stadio e a braccio condanna scafisti e trafficanti per lo sfruttamento dei cento milioni di persone che ogni anno nel pianeta sono costrette a lasciare la propria casa per motivi politici o economici o per guerre e conflitti.
«Sono qui per ascoltare e pregare» assicura il Pontefice gettando in acqua una corona di crisantemi alla Porta d’Europa. Si rivolge a «chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere, nell’anestesia del cuore». Passa davanti al cimitero dei «boat people» e punta l’indice contro «coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi». Esorta al «coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Coi paramenti viola (segno di penitenza) e i riferimenti biblici a Erode e alle domande di Dio ad Adamo e a Caino, il Pontefice stigmatizza la frattura nella «relazione» a causa del «mio benessere». Descrive gli sbagli di una «catena di morte che versa il sangue del fratello». La «globalizzazione dell’indifferenza» rende tutti come «l’Innominato di Manzoni» e riduce l’esistenza a una «bella bolla». Così «guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, pensiamo “poverino” e continuiamo a camminare». Ad alzare muri di egoismo è «una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del compatire». E infatti, «ha pianto qualcuno nel mondo per questi fratelli?». Le sigle no-profit traducono subito il monito papale in un appello al governo per «modificare la legge BossiFini, attuare il dettato costituzionale sul diritto d’asilo e spingere l’Ue a farsi carico dell’emergenza». Bergoglio parla chiaro: «Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato gli immigrati». Del resto anche San Francesco fu clandestino: dopo essersi convertito, pellegrino in Siria, salì di nascosto su una nave. L’effetto del Bergoglio-pensiero sulla spianata di Lampedusa è fortissimo.Alessia Binci è una delle 15mila persone che fin dall’alba hanno stretto d’assedio il campo sportivo per salutare il Pontefice. «Sono qui in ferie, non partecipo a una messa da anni, però stavolta sentivo di doverci essere - racconta - Mi ha commosso la spontaneità con cui il Papa arriva al cuore della gente. Si avverte che non c’è nulla di falso. Parla semplice ma arriva in profondità». Il sole di Lampedusa contro le nubi di Vatileaks. In poche settimane è stata spazzata via la cappa plumbea delle lotte di potere tra cardinali, delle congiure di corte. Bergoglio ha il miglior consigliere (Ratzinger) e le principali armi (la credibilità personale e il consenso dei fedeli) per fare piazza pulita di una Curia mondana e corrotta. «La vera svolta deve ancora arrivare», anticipa uno stretto collaboratore di Francesco. Nulla sarà più come prima nei sacri palazzi.
© Copyright La Stampa, 9 luglio 2013
LAMPEDUSA LA VISITA DEL PAPA
“No alla globalizzazione dell’indifferenza”
L’affondo di Francesco nell’isola dei profughi: “Non sappiamo più piangere dei drammi del mondo”
GIACOMO GALEAZZI
INVIATO A LAMPEDUSA
È un viaggio che vale un’enciclica. Nell’isola delle lacrime Francesco diffonde il sorriso del suo carisma travolgente ma non fa sconti alle istituzioni «indifferenti». Parla da vero leader planetario, però si informa di dettagli quotidiani nei colloqui per strada e fa sentire ogni interlocutore l’epicentro del suo interesse. La visita è breve (4 ore) ma carica di significati per avviare la sua predicazione «on the road». Nella «via crucis» tra molo e parrocchia Bergoglio dialoga coi profughi, sferza la politica che provoca le tragedie del mare, implora il perdono di Dio per aver ignorato la «strage degli innocenti»: 25mila morti in vent’anni.
Intanto svela gli obiettivi di un pontificato che non si rassegna alle ingiustizie del mondo e rivoluziona il modello di Chiesa riportando al centro i poveri e la fratellanza con i musulmani (li saluta con un «O’scià», per l’inizio del Ramadan). Sconvolto dai racconti dei sopravvissuti ai naufragi, il Papa figlio di migranti interrompe l’omelia nello stadio e a braccio condanna scafisti e trafficanti per lo sfruttamento dei cento milioni di persone che ogni anno nel pianeta sono costrette a lasciare la propria casa per motivi politici o economici o per guerre e conflitti.
«Sono qui per ascoltare e pregare» assicura il Pontefice gettando in acqua una corona di crisantemi alla Porta d’Europa. Si rivolge a «chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere, nell’anestesia del cuore». Passa davanti al cimitero dei «boat people» e punta l’indice contro «coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi». Esorta al «coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Coi paramenti viola (segno di penitenza) e i riferimenti biblici a Erode e alle domande di Dio ad Adamo e a Caino, il Pontefice stigmatizza la frattura nella «relazione» a causa del «mio benessere». Descrive gli sbagli di una «catena di morte che versa il sangue del fratello». La «globalizzazione dell’indifferenza» rende tutti come «l’Innominato di Manzoni» e riduce l’esistenza a una «bella bolla». Così «guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, pensiamo “poverino” e continuiamo a camminare». Ad alzare muri di egoismo è «una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del compatire». E infatti, «ha pianto qualcuno nel mondo per questi fratelli?». Le sigle no-profit traducono subito il monito papale in un appello al governo per «modificare la legge BossiFini, attuare il dettato costituzionale sul diritto d’asilo e spingere l’Ue a farsi carico dell’emergenza». Bergoglio parla chiaro: «Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato gli immigrati». Del resto anche San Francesco fu clandestino: dopo essersi convertito, pellegrino in Siria, salì di nascosto su una nave. L’effetto del Bergoglio-pensiero sulla spianata di Lampedusa è fortissimo.Alessia Binci è una delle 15mila persone che fin dall’alba hanno stretto d’assedio il campo sportivo per salutare il Pontefice. «Sono qui in ferie, non partecipo a una messa da anni, però stavolta sentivo di doverci essere - racconta - Mi ha commosso la spontaneità con cui il Papa arriva al cuore della gente. Si avverte che non c’è nulla di falso. Parla semplice ma arriva in profondità». Il sole di Lampedusa contro le nubi di Vatileaks. In poche settimane è stata spazzata via la cappa plumbea delle lotte di potere tra cardinali, delle congiure di corte. Bergoglio ha il miglior consigliere (Ratzinger) e le principali armi (la credibilità personale e il consenso dei fedeli) per fare piazza pulita di una Curia mondana e corrotta. «La vera svolta deve ancora arrivare», anticipa uno stretto collaboratore di Francesco. Nulla sarà più come prima nei sacri palazzi.
© Copyright La Stampa, 9 luglio 2013
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lunedì 8 luglio 2013
Il messaggio del Papa a Lampedusa. Analisi di Galeazzi
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Savonarola e un calice di legno per ricordare 25 mila morti (Galeazzi)
Savonarola e un calice di legno per ricordare 25 mila morti
GIACOMO GALEAZZI
INVIATO A LAMPEDUSA
Il Papa chiede perdono a nome del mondo e della Chiesa
In ginocchio accanto un altare che è una barca per chiedere perdono a Dio di aver ignorato vent’anni di genocidio in mare. «D’ora in poi nessuno potrà fingere di non sapere» spiegano nel seguito papale. Un «mea culpa» dai toni nettissimi per le responsabilità del mondo e della Chiesa nella tragedia senza fine dei «boat people». Il primo viaggio di Francesco punta a scuotere l’occidente dall’indifferenza di fronte all’olocausto nel mare. Francesco celebra il funerale delle 25mila vittime dei «viaggi della speranza», terremotando ogni protocollo per incontrare i sopravvissuti e rendere omaggio al cimitero in cui le mani misericordiose del parroco e dei pescatori hanno dato sepoltura ai corpi restituiti dal mare. Da una motovedetta Bergoglio getta una corona alla «Porta d’Europa», poi l’abbraccio in molo ai profughi, la celebrazione al campo sportivo e la sosta nella chiesetta di San Gerlando. Al presidente della Cei, Bagnasco fu negato l’ingresso nel centro, ma per Francesco non c’è programma che tenga. Ogni gesto è un monito alla mondanità, inclusa la scelta di dire messa con un calice di legno.
Nella predica d’avvento del 1493 Savonarola tuonò contro il lusso e la corruzione nelle gerarchie ecclesiastiche. Stigmatizzò che agli albori della Chiesa i calici erano di legno e i prelati d’oro, mentre al suo tempo i calici erano d’oro e i prelati di legno. Savonarola fu prima scomunicato poi bruciato come eretico e scismatico. Ora, cinque secoli dopo, è il Papa a tornare al calice di legno e a condannare la Curia carrierista e assetata di potere («il Vangelo non si diffonde con il denaro»).
Per il primo viaggio del pontificato il Papa fa rotta verso i morti senza nome. Ancora increduli per la notizia i fedeli lo aspettano in preghiera, vegliando in parrocchia. Da giorni tutta la popolazione è in fermento per l’arrivo di Bergoglio, figlio di immigrati italiani in Argentina. Il Papa che sogna una «Chiesa povera e per i poveri» ha scelto gli immigrati e la popolazione che porta il peso dell’accoglienza. Gesti e messaggi che parlano anche alla Chiesa italiana, indicando lo stile e le priorità che il vescovo di Roma intende imprimere alla missione.
© Copyright La Stampa, 8 luglio 2013
GIACOMO GALEAZZI
INVIATO A LAMPEDUSA
Il Papa chiede perdono a nome del mondo e della Chiesa
In ginocchio accanto un altare che è una barca per chiedere perdono a Dio di aver ignorato vent’anni di genocidio in mare. «D’ora in poi nessuno potrà fingere di non sapere» spiegano nel seguito papale. Un «mea culpa» dai toni nettissimi per le responsabilità del mondo e della Chiesa nella tragedia senza fine dei «boat people». Il primo viaggio di Francesco punta a scuotere l’occidente dall’indifferenza di fronte all’olocausto nel mare. Francesco celebra il funerale delle 25mila vittime dei «viaggi della speranza», terremotando ogni protocollo per incontrare i sopravvissuti e rendere omaggio al cimitero in cui le mani misericordiose del parroco e dei pescatori hanno dato sepoltura ai corpi restituiti dal mare. Da una motovedetta Bergoglio getta una corona alla «Porta d’Europa», poi l’abbraccio in molo ai profughi, la celebrazione al campo sportivo e la sosta nella chiesetta di San Gerlando. Al presidente della Cei, Bagnasco fu negato l’ingresso nel centro, ma per Francesco non c’è programma che tenga. Ogni gesto è un monito alla mondanità, inclusa la scelta di dire messa con un calice di legno.
Nella predica d’avvento del 1493 Savonarola tuonò contro il lusso e la corruzione nelle gerarchie ecclesiastiche. Stigmatizzò che agli albori della Chiesa i calici erano di legno e i prelati d’oro, mentre al suo tempo i calici erano d’oro e i prelati di legno. Savonarola fu prima scomunicato poi bruciato come eretico e scismatico. Ora, cinque secoli dopo, è il Papa a tornare al calice di legno e a condannare la Curia carrierista e assetata di potere («il Vangelo non si diffonde con il denaro»).
Per il primo viaggio del pontificato il Papa fa rotta verso i morti senza nome. Ancora increduli per la notizia i fedeli lo aspettano in preghiera, vegliando in parrocchia. Da giorni tutta la popolazione è in fermento per l’arrivo di Bergoglio, figlio di immigrati italiani in Argentina. Il Papa che sogna una «Chiesa povera e per i poveri» ha scelto gli immigrati e la popolazione che porta il peso dell’accoglienza. Gesti e messaggi che parlano anche alla Chiesa italiana, indicando lo stile e le priorità che il vescovo di Roma intende imprimere alla missione.
© Copyright La Stampa, 8 luglio 2013
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Oggi il rito penitenziale di Francesco per le vittime dei “viaggi della speranza” (Galeazzi)
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domenica 7 luglio 2013
La riforma annunciata. Il senso del monito di Francesco (Galeazzi)
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sabato 6 luglio 2013
Il Papa: "Nessun timore nel rinnovare le strutture della Chiesa" (Galeazzi)
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Amore e fede, l’enciclica dei due Papi (Galeazzi)
Amore e fede, l’enciclica dei due Papi
Dal matrimonio all’ecologia: ecco il pensiero della Chiesa che concilia Francesco e Benedetto
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
L’ idea forte del testo è che «il mondo è in crisi perché manca la luce della fede». Ma la fede ha bisogno di verità. Non è un opinione soggettiva. Il credente è umile e, per non farsi rubare la speranza, fonda la fraternità sull’amore.
«C’è molto di Benedetto e tutto di Francesco». È il ministro vaticano dei Vescovi, Marc Ouellet a svelare il mistero dell’enciclica scritta a quattro mani: «Non vanno cercate le frasi di Bergoglio o di Ratzinger, è un documento unico».
Novantatrè pagine suddivise in quattro capitoli. La «Lumen Fidei», è firmata «Franciscus» ma va attribuita anche al suo predecessore. Un evento storico anche se, in passato, e per altre encicliche ci furono passaggi di bozze tra Pontefici.
Ed eccoli i cardini del documento. Il primo è l’antidoto al fondamentalismo religioso: «Il credente non è arrogante, anzi la sicurezza della fede rende possibile il dialogo con tutti e in ogni campo». E anche nella coppia «un amore falso non supera la prova del tempo e non si può ridurre a un sentimento che va e viene». Insomma: qui c’è «la diversità della teologia dei due papi nella perfetta identità dell’annuncio delle fede», osserva il teologo Gianni Gennari. Che si affrontino temi sociali o questioni di bioetica, la fede è una, cambia solo il modo di presentarla. Come quando sostiene: «La fede non è un fatto privato, ma costruisce il bene comune». Ovvero: attraverso la fede si ci può impegnare nella vita pubblica.
Il testo mette in guardia dall’idolatria e da una «concezione individualista e limitata della conoscenza». Al centro c’è la famiglia, l’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Che nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale. La manifestazione della bontà di Dio si vede dalla possibilità di generare una nuova vita. Uomo e donna possono promettersi amore con un gesto che ricalca i tratti della fede.
«La prima enciclica di Francesco, con il contributo di Benedetto XVI, mette in luce che prima di una crisi di fede vi è una crisi dell’uomo e della verità - commenta padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia del Pontificio istituto missioni estere - Il relativismo sbriciola la consistenza della persona, della convivenza, della giustizia, dell’amore, della ricerca scientifica. La fede illumina ogni cammino umano».
Nella «Lumen fidei» si tratteggia la «crisi dell’uomo» cioè il rifiuto del Dio unico per affermare se stessi. L’esito è il politeismo e la molteplicità dei desideri. Così, tutte le esperienze dell’uomo rischiano di naufragare. Quindi dilaga quella che l’Enciclica chiama «dittatura del relativismo».
«Tutte queste annotazioni non sono in stile cattedratico o dogmatico, ma emergono come da una lunga meditazione - sottolinea Cervellera. Anche la crisi dell’uomo non è descritta con condanna, bensì con compassione e dolore. Si sente la profonda influenza di Ratzinger».
Con un linguaggio alto, ma non pesante, il testo si snoda in quattro capitoli mostrando il potere che la fede in Dio ha nel sostenere l’unità dell’uomo (cancellando la dissipatezza); la sua solidarietà con gli altri (eliminando la paura); l’edificazione della convivenza sociale (impedendo l’utilitarismo). Anche la scienza viene sostenuta dalla fede a lavorare di fronte al cosmo.
Non solo: la fede, mostrando Dio come origine della realtà, fa scoprire che l’uomo è custode della natura e non padrone. E fonda un’ecologia che vede l’essere umano al centro del creato. Nel mondo contemporaneo ciò che è in crisi non è anzitutto la fede ma l’uomo, annegato nelle sue pretese e nei suoi fallimenti. Ed è questa voglia di fare a meno di Dio che porta a banalizzare la fede «consolazione», «fatto privato», «innamoramento soggettivo».
L’enciclica raddrizza alcune storture: la fede è fede della Chiesa (e non del singolo, senza la sua mediazione) e la teologia è prodotta nella Chiesa. Nel documento non si accusa: il tono è lo stupore e la comprensione delle fatiche dell’uomo contemporaneo.
È la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna e finalizzata a generare figli, il primo ambito sociale «illuminato dalla fede». Per la prima volta, in un documento firmato da Francesco, fa capolino la netta presa di posizione su un tema etico al centro del dibattito politico. Ed è evidente come in questo passaggio dell’enciclica sia rintracciabile la mano di Benedetto XVI, che ha concepito inizialmente il testo, prima di lasciare il pontificato, e l’ha passato poi al suo successore. La lettera papale esplicita il legame tra la fede e il «bene comune». La fede, che nasce dall’amore di Dio rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. La fede «è un bene per tutti», non serve a costruire unicamente l’aldilà, ma aiuta a edificare la società. No, dunque, al matrimonio omosex. Immediate le reazioni della associazioni gay. Per Franco Grillini, presidente di Gaynet, a proposito di «architettura dei rapporti umani» e dell’amore, «non si capisce dov’è la differenza tra affettività eterosessuale e l’amore tra due persone dello stesso sesso». E continua: «L’enciclica riconferma le posizioni vaticane, malgrado 15 Paesi nel mondo abbiano già legiferato in modo opposto ai voleri della Santa Sede mentre in Italia la Cassazione ha scritto che è radicalmente superata l’idea che per contrarre matrimonio sia necessaria la differenza di sesso».
© Copyright La Stampa, 6 luglio 2013
Dal matrimonio all’ecologia: ecco il pensiero della Chiesa che concilia Francesco e Benedetto
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
L’ idea forte del testo è che «il mondo è in crisi perché manca la luce della fede». Ma la fede ha bisogno di verità. Non è un opinione soggettiva. Il credente è umile e, per non farsi rubare la speranza, fonda la fraternità sull’amore.
«C’è molto di Benedetto e tutto di Francesco». È il ministro vaticano dei Vescovi, Marc Ouellet a svelare il mistero dell’enciclica scritta a quattro mani: «Non vanno cercate le frasi di Bergoglio o di Ratzinger, è un documento unico».
Novantatrè pagine suddivise in quattro capitoli. La «Lumen Fidei», è firmata «Franciscus» ma va attribuita anche al suo predecessore. Un evento storico anche se, in passato, e per altre encicliche ci furono passaggi di bozze tra Pontefici.
Ed eccoli i cardini del documento. Il primo è l’antidoto al fondamentalismo religioso: «Il credente non è arrogante, anzi la sicurezza della fede rende possibile il dialogo con tutti e in ogni campo». E anche nella coppia «un amore falso non supera la prova del tempo e non si può ridurre a un sentimento che va e viene». Insomma: qui c’è «la diversità della teologia dei due papi nella perfetta identità dell’annuncio delle fede», osserva il teologo Gianni Gennari. Che si affrontino temi sociali o questioni di bioetica, la fede è una, cambia solo il modo di presentarla. Come quando sostiene: «La fede non è un fatto privato, ma costruisce il bene comune». Ovvero: attraverso la fede si ci può impegnare nella vita pubblica.
Il testo mette in guardia dall’idolatria e da una «concezione individualista e limitata della conoscenza». Al centro c’è la famiglia, l’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Che nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale. La manifestazione della bontà di Dio si vede dalla possibilità di generare una nuova vita. Uomo e donna possono promettersi amore con un gesto che ricalca i tratti della fede.
«La prima enciclica di Francesco, con il contributo di Benedetto XVI, mette in luce che prima di una crisi di fede vi è una crisi dell’uomo e della verità - commenta padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia del Pontificio istituto missioni estere - Il relativismo sbriciola la consistenza della persona, della convivenza, della giustizia, dell’amore, della ricerca scientifica. La fede illumina ogni cammino umano».
Nella «Lumen fidei» si tratteggia la «crisi dell’uomo» cioè il rifiuto del Dio unico per affermare se stessi. L’esito è il politeismo e la molteplicità dei desideri. Così, tutte le esperienze dell’uomo rischiano di naufragare. Quindi dilaga quella che l’Enciclica chiama «dittatura del relativismo».
«Tutte queste annotazioni non sono in stile cattedratico o dogmatico, ma emergono come da una lunga meditazione - sottolinea Cervellera. Anche la crisi dell’uomo non è descritta con condanna, bensì con compassione e dolore. Si sente la profonda influenza di Ratzinger».
Con un linguaggio alto, ma non pesante, il testo si snoda in quattro capitoli mostrando il potere che la fede in Dio ha nel sostenere l’unità dell’uomo (cancellando la dissipatezza); la sua solidarietà con gli altri (eliminando la paura); l’edificazione della convivenza sociale (impedendo l’utilitarismo). Anche la scienza viene sostenuta dalla fede a lavorare di fronte al cosmo.
Non solo: la fede, mostrando Dio come origine della realtà, fa scoprire che l’uomo è custode della natura e non padrone. E fonda un’ecologia che vede l’essere umano al centro del creato. Nel mondo contemporaneo ciò che è in crisi non è anzitutto la fede ma l’uomo, annegato nelle sue pretese e nei suoi fallimenti. Ed è questa voglia di fare a meno di Dio che porta a banalizzare la fede «consolazione», «fatto privato», «innamoramento soggettivo».
L’enciclica raddrizza alcune storture: la fede è fede della Chiesa (e non del singolo, senza la sua mediazione) e la teologia è prodotta nella Chiesa. Nel documento non si accusa: il tono è lo stupore e la comprensione delle fatiche dell’uomo contemporaneo.
È la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna e finalizzata a generare figli, il primo ambito sociale «illuminato dalla fede». Per la prima volta, in un documento firmato da Francesco, fa capolino la netta presa di posizione su un tema etico al centro del dibattito politico. Ed è evidente come in questo passaggio dell’enciclica sia rintracciabile la mano di Benedetto XVI, che ha concepito inizialmente il testo, prima di lasciare il pontificato, e l’ha passato poi al suo successore. La lettera papale esplicita il legame tra la fede e il «bene comune». La fede, che nasce dall’amore di Dio rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. La fede «è un bene per tutti», non serve a costruire unicamente l’aldilà, ma aiuta a edificare la società. No, dunque, al matrimonio omosex. Immediate le reazioni della associazioni gay. Per Franco Grillini, presidente di Gaynet, a proposito di «architettura dei rapporti umani» e dell’amore, «non si capisce dov’è la differenza tra affettività eterosessuale e l’amore tra due persone dello stesso sesso». E continua: «L’enciclica riconferma le posizioni vaticane, malgrado 15 Paesi nel mondo abbiano già legiferato in modo opposto ai voleri della Santa Sede mentre in Italia la Cassazione ha scritto che è radicalmente superata l’idea che per contrarre matrimonio sia necessaria la differenza di sesso».
© Copyright La Stampa, 6 luglio 2013
venerdì 5 luglio 2013
Incontro Letta-Francesco. Crisi, immigrazione e vicende internazionali al centro del colloquio: nessun riferimento ai temi etici (Galeazzi)
IL VATICANO CAMBIA STRATEGIA
L’INCONTRO Letta e il Papa a confronto sul lavoro
Crisi, immigrazione e vicende internazionali al centro del colloquio: nessun riferimento ai temi etici
GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO
Mezz’ora di confronto su disoccupazione giovanile, immigrazione ed emergenze internazionali (Siria, Libia, Terra Santa). Più che un’udienza è stata una riunione di lavoro e una presa di contatto personale: clima cordiale e collaborativo, minima formalità, massima attenzione ai contenuti. Non è stata una semplice occasione di protocollo. Ieri Francesco ha ricevuto Enrico Letta soprattutto per offrire l’aiuto della Chiesa alla soluzione della crisi sociale ed informarsi sull’azione del governo a sostegno dell’occupazione. Un dialogo franco, pragmatico, focalizzato su misure concrete per contrastare l’impoverimento delle famiglie e la carenza di prospettiva tra le nuove generazioni.
Letta ha garantito che dare lavoro ai giovani è la priorità dell’esecutivo e ha espresso apprezzamento per la scelta di Lampedusa come tappa d’esordio della predicazione itinerante di Bergoglio («un gesto straordinario»). Nelle sacre stanze l’aria è cambiata anche nelle relazioni istituzionali. L’agenda mette al centro i temi sociali e i fronti caldi internazionali. La diplomazia è tornata ad affiancare il cammino della fede.
L’atmosfera, come anche nel «vis-à-vis» con il sindaco di Roma Ignazio Marino, non è più quella dell’implacabile riproposizione dei principi bioetici non negoziabili (difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, del matrimonio tra uomo e donna, della libertà religiosa e di educazione), bensì quella rasserenata e positiva della cooperazione nelle questioni sociali e sullo scacchiere mediorientale. Come la Ostpolitik vaticana con i governi dell’epoca ’60-’90, Francesco punta su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide e rafforza la vocazione italiana di «pontiere» nel Mediterraneo.
Ieri Letta ha visto il premier libico Ali Zeidan. Segno di un rinnovato protagonismo e di un ruolo di tessitore su ampia scala che oltretevere apprezzano. «Senza conoscere le strade percorse dai migranti, nessuna soluzione è possibile», hanno concordato. Prospettive «global» e interventi mirati. L’approccio è simile. Letta ha condiviso col Papa informazioni e preoccupazioni sulla persecuzione anticristiana e le rotte dei migranti. Francesco lo ha ringraziato per il rosario di legno d’ulivo, donoricordo della missione appena svolta in Terra Santa. Il presidente del consiglio gli ha riferito dei colloqui con le autorità israeliane e palestinesi, confidando anche l’emozione per il pellegrinaggio nei luoghi di Gesù. Tra le parole più ricorrenti nel «faccia a faccia»: integrazione. Il capo del governo ha indicato le iniziative del ministro Kyenge. Un contatto personale che va oltre la consueta udienza concessa dal primate d’Italia all’inquilino di Palazzo Chigi. All’assemblea della Cei, Francesco ha chiarito che i rapporti con la politica spettano ai vescovi. Non al Pontefice né alla Segreteria di Stato. Il fatto che si sia creato un canale spontaneo di comunicazione tra Bergoglio e Letta ha un valore particolare.
Il premier ha raccontato del primo Angelus ascoltato in piazza con la moglie e i tre figli. Il Papa ha condiviso valutazioni e linee d’intervento dentro e fuori i confini. Convergenza di veduta e feeling spontaneo fanno presagire un particolare filo diretto tra le due sponde del Tevere. Ai diplomatici pontifici il cattolico Letta ha ricordato Andreotti per senso pratico e profondità d’analisi. Suo zio Gianni è molto stimato in Curia e l’impressione della prima uscita vaticana è giudicata «eccellente». Dopo i fulmini vaticani sul Pd ai tempi dei Pacs, la strategia è cambiata: alleanza per soluzioni condivise.
© Copyright La Stampa, 5 luglio 2013
L’INCONTRO Letta e il Papa a confronto sul lavoro
Crisi, immigrazione e vicende internazionali al centro del colloquio: nessun riferimento ai temi etici
GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO
Mezz’ora di confronto su disoccupazione giovanile, immigrazione ed emergenze internazionali (Siria, Libia, Terra Santa). Più che un’udienza è stata una riunione di lavoro e una presa di contatto personale: clima cordiale e collaborativo, minima formalità, massima attenzione ai contenuti. Non è stata una semplice occasione di protocollo. Ieri Francesco ha ricevuto Enrico Letta soprattutto per offrire l’aiuto della Chiesa alla soluzione della crisi sociale ed informarsi sull’azione del governo a sostegno dell’occupazione. Un dialogo franco, pragmatico, focalizzato su misure concrete per contrastare l’impoverimento delle famiglie e la carenza di prospettiva tra le nuove generazioni.
Letta ha garantito che dare lavoro ai giovani è la priorità dell’esecutivo e ha espresso apprezzamento per la scelta di Lampedusa come tappa d’esordio della predicazione itinerante di Bergoglio («un gesto straordinario»). Nelle sacre stanze l’aria è cambiata anche nelle relazioni istituzionali. L’agenda mette al centro i temi sociali e i fronti caldi internazionali. La diplomazia è tornata ad affiancare il cammino della fede.
L’atmosfera, come anche nel «vis-à-vis» con il sindaco di Roma Ignazio Marino, non è più quella dell’implacabile riproposizione dei principi bioetici non negoziabili (difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, del matrimonio tra uomo e donna, della libertà religiosa e di educazione), bensì quella rasserenata e positiva della cooperazione nelle questioni sociali e sullo scacchiere mediorientale. Come la Ostpolitik vaticana con i governi dell’epoca ’60-’90, Francesco punta su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide e rafforza la vocazione italiana di «pontiere» nel Mediterraneo.
Ieri Letta ha visto il premier libico Ali Zeidan. Segno di un rinnovato protagonismo e di un ruolo di tessitore su ampia scala che oltretevere apprezzano. «Senza conoscere le strade percorse dai migranti, nessuna soluzione è possibile», hanno concordato. Prospettive «global» e interventi mirati. L’approccio è simile. Letta ha condiviso col Papa informazioni e preoccupazioni sulla persecuzione anticristiana e le rotte dei migranti. Francesco lo ha ringraziato per il rosario di legno d’ulivo, donoricordo della missione appena svolta in Terra Santa. Il presidente del consiglio gli ha riferito dei colloqui con le autorità israeliane e palestinesi, confidando anche l’emozione per il pellegrinaggio nei luoghi di Gesù. Tra le parole più ricorrenti nel «faccia a faccia»: integrazione. Il capo del governo ha indicato le iniziative del ministro Kyenge. Un contatto personale che va oltre la consueta udienza concessa dal primate d’Italia all’inquilino di Palazzo Chigi. All’assemblea della Cei, Francesco ha chiarito che i rapporti con la politica spettano ai vescovi. Non al Pontefice né alla Segreteria di Stato. Il fatto che si sia creato un canale spontaneo di comunicazione tra Bergoglio e Letta ha un valore particolare.
Il premier ha raccontato del primo Angelus ascoltato in piazza con la moglie e i tre figli. Il Papa ha condiviso valutazioni e linee d’intervento dentro e fuori i confini. Convergenza di veduta e feeling spontaneo fanno presagire un particolare filo diretto tra le due sponde del Tevere. Ai diplomatici pontifici il cattolico Letta ha ricordato Andreotti per senso pratico e profondità d’analisi. Suo zio Gianni è molto stimato in Curia e l’impressione della prima uscita vaticana è giudicata «eccellente». Dopo i fulmini vaticani sul Pd ai tempi dei Pacs, la strategia è cambiata: alleanza per soluzioni condivise.
© Copyright La Stampa, 5 luglio 2013
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giovedì 4 luglio 2013
Boldrini: “La visita del Papa a Lampedusa è uno schiaffo all’egoismo” (Galeazzi)
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martedì 2 luglio 2013
Il primo viaggio di Francesco è tra i migranti (Galeazzi)
Riceviamo e con gratitudine pubblichiamo:
Il primo viaggio di Francesco è tra i migranti
Lunedì va a Lampedusa: “È la Chiesa tra i poveri”
GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO
Sarà un pellegrinaggio in mare (con organizzazione «last minute» affidata a don Georg) la prima uscita ufficiale di Francesco. Il suo viaggio d’esordio è un blitz tra i poveri che scavalca e disorienta la macchina curiale. A sorpresa lunedì la visita privata ai migranti di Lampedusa inaugura il pontificato «on the road» di Bergoglio. L’annuncio è arrivato dalla Sala Stampa vaticana: senza mediazioni della Segreteria di Stato, Francesco ha confermato direttamente all’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro di aver accettato l’invito del parroco dell’isola, don Stefano Nastasi. Nel programma non sono previste presenze di autorità ufficiali dello Stato Italiano o della Cei.
Primo Papa a visitare Lampedusa, Francesco compie un viaggio lampo per ricordare i tanti che dall’Africa a Lampedusa perdono la vita in mare, vittime delle guerre e di scafisti profittatori. Per incoraggiare gli abitanti dell’isola alla solidarietà e far appello alla responsabilità di tutti perché ci si prenda cura degli immigrati. «Un gesto significativo che scuote le istituzioni dall’indifferenza nei confronti delle tragedie del mare», precisa il ministro vaticano dell’Immigrazione, Antonio Maria Vegliò. Due mesi fa Francesco aveva lanciato un appello a «governanti e legislatori e a comunità internazionale a pensare per i profughi «iniziative efficaci e nuovi approcci per tutelare la loro dignità, migliorare la loro qualità di vita e far fronte alle sfide che emergono da forme moderne di persecuzione, oppressione e schiavitù».
La spinta a concretizzare il progetto di un gesto verso gli immigrati e i profughi è venuta dal «recente naufragio di un’imbarcazione», a metà di giugno, che ha «profondamente toccato» il Pontefice che ha messo i poveri al centro della nuova evangelizzazione. Una visita il più possibile sobria. I pescatori accompagnano il Papa con le loro barche. Dopo il saluto ai migranti, al largo, il Papa lancia una corona di fiori in ricordo di quanti hanno perso la vita in mare, poi la messa al campo sportivo e la sosta alla parrocchia di San Gerlando. Un planning serrato per un evento inatteso che accende i riflettori del mondo sull’emergenza-migranti.
«La scelta di andare a Lampedusa come primo viaggio del pontificato parla più di ogni parola» sostiene l’Osservatore romano. Tra accelerazioni improvvise ai preparativi, clamore mediatico planetario per una decisione ancora una volta controcorrente, strappi al cerimoniale e «low profile», il pontificato itinerante di Francesco inizia laddove la sua «Chiesa povera per i poveri» sperimenta quotidianamente la frontiera del disagio. Nell’epoca global, apparentemente senza più muri geopolitici, Bergoglio visita l’avamposto della carità, la prima linea del fronte in una guerra per la sopravvivenza combattuta ogni notte sulle carrette del mare.
Un pellegrinaggio nell’isola che solo nel 2011, con l’esplosione della primavera araba ha visto sbarcare sulle proprie coste 50mila persone. Il presidente della fondazione «Migrantes», don Giancarlo Perego sottolinea che il Papa andando a Lampedusa ribadisca «la scelta preferenziale della Chiesa per i poveri». L’ultimo naufragio spinge il Papa verso la porta d’ingresso in Europa. E venerdì «Lumen Fidei», la prima enciclica di Francesco e l’ultima di Benedetto, indicherà la via: la fede in un Dio che si è fatto persona, si è incarnato nella vita e nella morte dell’uomo.
© Copyright La Stampa, 2 luglio 2013
Il primo viaggio di Francesco è tra i migranti
Lunedì va a Lampedusa: “È la Chiesa tra i poveri”
GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO
Sarà un pellegrinaggio in mare (con organizzazione «last minute» affidata a don Georg) la prima uscita ufficiale di Francesco. Il suo viaggio d’esordio è un blitz tra i poveri che scavalca e disorienta la macchina curiale. A sorpresa lunedì la visita privata ai migranti di Lampedusa inaugura il pontificato «on the road» di Bergoglio. L’annuncio è arrivato dalla Sala Stampa vaticana: senza mediazioni della Segreteria di Stato, Francesco ha confermato direttamente all’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro di aver accettato l’invito del parroco dell’isola, don Stefano Nastasi. Nel programma non sono previste presenze di autorità ufficiali dello Stato Italiano o della Cei.
Primo Papa a visitare Lampedusa, Francesco compie un viaggio lampo per ricordare i tanti che dall’Africa a Lampedusa perdono la vita in mare, vittime delle guerre e di scafisti profittatori. Per incoraggiare gli abitanti dell’isola alla solidarietà e far appello alla responsabilità di tutti perché ci si prenda cura degli immigrati. «Un gesto significativo che scuote le istituzioni dall’indifferenza nei confronti delle tragedie del mare», precisa il ministro vaticano dell’Immigrazione, Antonio Maria Vegliò. Due mesi fa Francesco aveva lanciato un appello a «governanti e legislatori e a comunità internazionale a pensare per i profughi «iniziative efficaci e nuovi approcci per tutelare la loro dignità, migliorare la loro qualità di vita e far fronte alle sfide che emergono da forme moderne di persecuzione, oppressione e schiavitù».
La spinta a concretizzare il progetto di un gesto verso gli immigrati e i profughi è venuta dal «recente naufragio di un’imbarcazione», a metà di giugno, che ha «profondamente toccato» il Pontefice che ha messo i poveri al centro della nuova evangelizzazione. Una visita il più possibile sobria. I pescatori accompagnano il Papa con le loro barche. Dopo il saluto ai migranti, al largo, il Papa lancia una corona di fiori in ricordo di quanti hanno perso la vita in mare, poi la messa al campo sportivo e la sosta alla parrocchia di San Gerlando. Un planning serrato per un evento inatteso che accende i riflettori del mondo sull’emergenza-migranti.
«La scelta di andare a Lampedusa come primo viaggio del pontificato parla più di ogni parola» sostiene l’Osservatore romano. Tra accelerazioni improvvise ai preparativi, clamore mediatico planetario per una decisione ancora una volta controcorrente, strappi al cerimoniale e «low profile», il pontificato itinerante di Francesco inizia laddove la sua «Chiesa povera per i poveri» sperimenta quotidianamente la frontiera del disagio. Nell’epoca global, apparentemente senza più muri geopolitici, Bergoglio visita l’avamposto della carità, la prima linea del fronte in una guerra per la sopravvivenza combattuta ogni notte sulle carrette del mare.
Un pellegrinaggio nell’isola che solo nel 2011, con l’esplosione della primavera araba ha visto sbarcare sulle proprie coste 50mila persone. Il presidente della fondazione «Migrantes», don Giancarlo Perego sottolinea che il Papa andando a Lampedusa ribadisca «la scelta preferenziale della Chiesa per i poveri». L’ultimo naufragio spinge il Papa verso la porta d’ingresso in Europa. E venerdì «Lumen Fidei», la prima enciclica di Francesco e l’ultima di Benedetto, indicherà la via: la fede in un Dio che si è fatto persona, si è incarnato nella vita e nella morte dell’uomo.
© Copyright La Stampa, 2 luglio 2013
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lunedì 1 luglio 2013
Il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa (Galeazzi)
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domenica 30 giugno 2013
Ior, cadono le prime teste. In bilico il direttore generale (Galeazzi)
Ior, cadono le prime teste.In bilico il direttore generale
L’avvocato del prelato arrestato: “Non ha agito per interesse personale”
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Una fondazione per lo Ior. Mentre Francesco ribadisce il suo no alla «logica di potere che ci rende pietra d’inciampo», l’arresto di monsignor Nunzio Scarano accelera la trasformazione dell’Istituto Opere di Religione in banca etica o fondazione esterna alla Santa Sede. Vengono consultati vari esperti per riformare gli statuti e garantire una gestione trasparente dei depositi e degli investimenti dei singoli e degli enti: niente più «zona grigia» al Torrione di Niccolò. L’ex prelato di Curia, detenuto a Regina Coeli con l’accusa di corruzione e calunnia, sarà interrogato domani e la sua linea difensiva sarà quella di negare interessi personali. Il confronto con i magistrati è fissato alle 10 e i contraccolpi sullo Ior si prospettano pesanti. Da una parte il gip Barbara Callari ed i pm Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci, dall’altra l’ex responsabile del servizio di contabilità analitica dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l’organismo che gestisce i beni della Santa Sede. I magistrati contesteranno le accuse di corruzione e di calunnia legate al tentativo, naufragato, di far rientrare in Italia 20 milioni di euro, sospettati di essere frutto di un’evasione fiscale, degli armatori d’Amico. Il prelato dovrà difendersi e, come ribadito ieri dal suo legale Silverio Sica, «chiarirà il suo ruolo e, soprattutto, la sua mancanza di un interesse personale nella vicenda».
Scarano, in particolare, dovrà rispondere a domande su quella che, per gli inquirenti, è una disinvolta ed anche spregiudicata movimentazione di danaro. Un’attività che ha indotto gli inquirenti ad aprire un altro fronte di indagini: quello dell’origine delle ingenti disponibilità finanziarie ed immobiliari del prelato, il quale risulta titolare di due conti correnti allo Ior, uno personale e l’altro, denominato «fondo anziani», per la raccolta di donazioni. All’interrogatorio di garanzia di Scarano faranno seguito quelli dei suoi due complici: il broker finanziario Giovanni Carenzio, detenuto a Napoli, e dell’ex sottufficiale dei carabinieri Giovanni Maria Zito, all’epoca dei fatti, luglio 2012, distaccato agli 007 dell’Aisi ed ora recluso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Questi ultimi due atti istruttori saranno tenuti per rogatoria da gip delle città in cui sono detenuti i due indagati. Per tutti e tre i protagonisti della vicenda l’accusa è di concorso in corruzione. Per Scarano l’ulteriore imputazione di calunnia si riferisce ad una falsa denuncia di smarrimento di un assegno da 200mila euro consegnato, in realtà, a Carenzio come saldo del compenso per il suo ruolo svolto. Ci sono poi le posizioni degli armatori d’Amico: alcuni di loro sarebbero indagati per evasione fiscale e nei prossimi giorni dovrebbero ricevere l’avviso di garanzia per essere interrogati. A commento della vicenda, si sono dichiarati estranei e pronti a fornire ogni chiarimento all’autorità giudiziaria. E sugli affari che toccano lo Ior torna il Codacons con l’annuncio di un esposto alla Procura di Roma in cui si chiede di indagare per frode fiscale e riciclaggio «in relazione ad alcune compravendite sospette di immobili in capo alla banca vaticana». Nel mirino dell’associazione gli immobili appartenuti ad una famiglia romana e donati alla banca vaticana.
Intanto negli organismi finanziari della Santa Sede (Apsa, Governatorato, Prefettura degli affari economici, Ior) le grandi manovre sono iniziate. Sono in uscita il direttore generale della banca vaticana Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli. Ieri nel rito in cui ha imposto il pallio a 34 arcivescovi metropoliti, le parole di Francesco sul ruolo del Papa, la necessità di spendersi senza barriere e di superare una logica mondana e di potere, di edificare la Chiesa sulla comunione e non sul conflitto evocano suoi precedenti interventi contro la mondanizzazione e le divisioni. Occorre «superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa». E «quando lasciamo prevalere la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, pietra di inciampo». Caffarra è stato prorogato per due anni a Bologna e Sciacca lascerà il Governatorato per la Segnatura Apostolica. I cinque commissari daranno conto a Bergoglio della loro indagine sullo Ior. E a quel punto nulla resterà più com’è sempre stato.
© Copyright La Stampa, 30 giugno 2013
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sabato 29 giugno 2013
Monsignor Scarano, l’ex impiegato di banca diventato prete (Galeazzi)
Dallo sportello alla tonaca Vita e opere di “don 500”
Monsignor Scarano, l’ex impiegato di banca diventato prete La Procura di Salerno lo ha indagato anche per riciclaggio
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Passo veloce, modi garbati, sorriso rassicurante. Il monsignore con la ventiquattr’ore era di casa in Curia ma lo si ricorda soprattutto per il soprannome «don 500» per la consuetudine con le banconote di grosso taglio. Chissà se la società internazionale «Spencer Stuart» che cura il rilancio d’immagine dello Ior aveva ipotizzato un correntista così ingombrante. In fondo monsignor Nunzio Scarano non aveva mai perso di vista la sua prima passione, quella per le banche e gli affari, passando dallo sportello della Banca d’America e d’Italia, dove fu impiegato fino al 1983, al mondo ovattato dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica, l’organismo che gestisce i beni della Santa Sede, complice la vocazione che lo portò a farsi prete nel 1987 a 35 anni. Una vocazione tardiva, come quella di un altro «prelato di denari», monsignor Renato Dardozzi, ingegnere e uomo di fiducia per la finanza del segretario di Stato Agostino Casaroli.
È singolare la parabola di Scarano, 61 anni, originario di Salerno, appartenente al clero della diocesi campana. Nel 1986 l’allora impiegato di banca prese i voti e l’anno dopo fu ordinato sacerdote. Addetto tecnico di prima categoria il suo esordio all’Apsa, di cui diventerà quel che si suol dire «un pezzo grosso» conosciuto ben oltre i confini del Vaticano, grazie anche alla partecipazione a diversi incontri pubblici sul ruolo dei cattolici nella società.
Il nome di Scarano finisce sotto i riflettori dell’opinione pubblica nei primi giorni di giugno di quest’anno, quando il responsabile del servizio di contabilità analitica dell’Apsa viene iscritto nel registro degli indagati della Procura di Salerno con l’accusa di riciclaggio in un’inchiesta su presunte donazioni, ritenute fittizie dall’accusa. Secondo l’ipotesi investigativa, in realtà le donazioni sarebbero servite a mascherare un maxi riciclaggio di denaro, che ruotava proprio intorno alla figura di Scarano. Il prelato avrebbe contattato alcune decine di persone (56 gli indagati tra Salerno e provincia) e avrebbe chiesto a ognuno di loro di compilare un assegno circolare da 10mila euro, spiegando di dover ripianare i debiti di una società immobiliare titolare di alcune case nel centro di Salerno. Quegli assegni, però, sarebbero stati solo una partita di giro, perché al momento della consegna i «donatori» avrebbero trovato sul tavolo l’equivalente in contanti, per risarcirli in toto dell’esborso.
Scarano, sospeso cautelativamente dal Vaticano nei giorni scorsi, ha sempre negato ogni addebito. Ma proprio sull’origine delle sue ingenti disponibilità finanziarie e immobiliari (è titolare di due conti correnti allo Ior) la Procura di Roma vuole veder chiaro.
Ieri la nuova accusa che lo ha portato in carcere perché ritenuto responsabile di un’attività di illecita importazione in Italia, poi fallita, di 20 milioni di euro in contanti dalla Svizzera per conto degli armatori Paolo, Cesare e Maurizio D’Amico, nell’ambito di un filone dell’inchiesta romana sullo Ior. Accuse gravi, tanto più per un prelato, da cui ora «don 500», recluso nel carcere di Regina Coeli, dovrà difendersi. Vite parallele con don Evaristo Biasini, soprannominato «don Bancomat»: comparve nelle indagini avviate a Perugia sulla cosiddetta «cricca» degli appalti per i grandi eventi. Il sospetto era che il sacerdote, ex economo della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo sangue e amico di Diego Anemone, costruttore romano al centro dell’indagine, custodisse fondi neri. In varie operazioni da lui annotate ricorre l’Istituto opere religione. Ma ora le vie dello Ior non sembrano più infinite.
© Copyright La Stampa, 29 giugno 2013
venerdì 28 giugno 2013
Quando Casaroli arginò il caso Calvi (Galeazzi)
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E’ guerra di veleni per l’elenco di presunti pedofili nella Curia romana (Galeazzi)
Veleni sui presunti pedofili nella Curia
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
E’ guerra di veleni per l’elenco di presunti pedofili nella Curia romana. La procura nega che vi siano indagati e il Vicariato smentisce le accuse di un ex sacerdote su un giro di minori adescati da prelati. Intanto rimbalzano in Vaticano i boatos sugli ecclesiastici chiamati in causa dai mass media. Nei sacri palazzi, però, non trova conferma il trasferimento senza incarico nel comune d’origine di Lagonegro, in Basilicata, del decano dei cerimonieri pontifici, Franco Camaldo, che continua a svolgere il suo servizio alla congregazione per il Culto divino. Recentemente la Santa Sede ha optato per la sospensione cautelativa di funzionari di dicasteri coinvolti in varie vicende in via di accertamento, mentre Camaldo prosegue nel proprio ufficio, segno che finora nulla è emerso sul suo conto.
Già in passato Camaldo, ex segretario del cardinale vicario Ugo Poletti, finì sotto i riflettori per casi giudiziari da cui poi non emersero sue responsabilità: era stato coinvolto a Potenza nell’inchiesta sugli affari di Vittorio Emanuele di Savoia e aveva partecipato a una spericolata operazione immobiliare per comprare nei Castelli romani la villa principesca appartenuta a Carlo Ponti e Sofia Loren ma era stato truffato e ad aveva dovuto chiedere un prestito da 280mila euro all’allora Gentiluomo di Sua Santità, Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.
Dopo le parole di papa Francesco sulla «lobby gay» in Vaticano, è massima l’attenzione a non creare equivoci. E così anche nomine di presuli curiali destinati a diocesi italiane vengono rinviate affinché non sembri una rimozione «punitiva».
© Copyright La Stampa, 28 giugno 2013
lunedì 24 giugno 2013
Appello del cardinale Raymond Leo Burke contro le nozze gay su una rivista francese (Galeazzi)
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