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lunedì 27 maggio 2013

Due preti di strada. Ma uno faceva opere l'altro polemiche (Caverzan)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Laura.

Papa Francesco: Mafiosi convertitevi, don Puglisi ha vinto. Ma per Bagnasco: il beato non era stato ucciso per antimafia (Galeazzi)

Clicca qui per leggere l'articolo gentilmente segnalatoci.
Ricordiamo anche i tanti interventi di Benedetto XVI. Qui lo speciale del blog.
In particolare:

Il Papa: "Cari giovani di Sicilia, siate alberi che affondano le loro radici nel “fiume” del bene! Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo, come tante volte i vostri Vescovi hanno detto e dicono!" (Discorso in occasione dell'incontro con i giovani, Piazza Politeama di Palermo, 3 ottobre 2010)

Il Papa: "La Chiesa di Palermo ha ricordato recentemente l’anniversario del barbaro assassinio di Don Giuseppe Puglisi, appartenente a questo presbiterio, ucciso dalla mafia. Egli aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale; nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani, ed insieme si è adoperato perché ogni famiglia cristiana vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli" (Discorso in occasione dell'incontro con i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose e i Seminaristi, Cattedrale di Palermo, 3 ottobre 2010)

Il Papa: "So che a Palermo, come anche in tutta la Sicilia, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni: penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della sofferenza fisica e morale e, come ha ricordato l’Arcivescovo, a causa della criminalità organizzata" (Omelia in occasione della Celebrazione della Santa Messa, Foro Italico di Palermo, 3 ottobre 2010)

Sosta del Santo Padre a Capaci: comunicato della Sala Stampa della Santa Sede

Le motivazioni della beatificazione di don Puglisi voluta da Benedetto XVI racchiudono una scomunica senza precedenti della mafia (Brunelli)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Gemma.

domenica 26 maggio 2013

Don Pino Puglisi, primo martire della mafia della Chiesa palermitana, è Beato e la sua festa sarà il 21 ottobre

In 80 mila alla Beatificazione di don Puglisi. Il card. Romeo: il suo sorriso ha vinto il male

Don Pino Puglisi, primo martire della mafia della Chiesa palermitana, è Beato e la sua festa sarà il 21 ottobre. Questa mattina a Palermo, si è svolta la cerimonia della Beatificazione del sacerdote siciliano, assassinato da Cosa nostra nel 1993. A presiedere il rito sono stati il cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, con il cardinale Salvatore De Giorgi, inviato di Papa Francesco. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

In ottantamila hanno acclamato la Beatificazione di don Pino Puglisi, prete che ha combattuto la mafia con il Vangelo, cercando di salvare l’uomo. Al Foro Italico Umberto I di Palermo, il parroco di Brancaccio ucciso da Cosa nostra è stato elevato agli onori degli altari dal cardinale Salvatore De Giorgi, delegato del Papa. Seminatore di perdono e di riconciliazione, l’ha definito il porporato, leggendo la lettera apostolica e annunciando che la celebrazione della sua festa sarà il 21 ottobre di ogni anno. Grande la commozione della folla nel momento in cui è stata scoperta l’immagine del Beato, accanto al palco. Quel giorno dell’omicidio – ha detto il postulatore della Causa di beatificazione, mons. Bertolone – Palermo pianse, oggi è nella gioia perché da quel sangue è nato un popolo nuovo. Il sorriso di Don Pino, sono state le parole del cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo nel corso dell’omelia, ci unisce tutti:

"La Chiesa riconosce nella sua vita, sigillata dal martirio in odium fidei, un modello da imitare in ogni sua scelta".

Un’omelia forte quella del cardinale Romeo, in cui è riecheggiata più volte la parola mafia, in cui l’arcivescovo ha puntato diretto il dito contro le cosche. Don Puglisi, ha detto, “sottraeva alla mafia di Brancaccio consenso, manovalanza, controllo del territorio”. Il Beato Puglisi fu dunque "chicco":

"La mano mafiosa che quel 15 settembre 1993 lo ha barbaramente assassinato, ha liberato la vita vera di questo ‘chicco di grano’. Quella mano assassina ha amplificato, oltre lo spazio ed il tempo, la sua delicata voce sacerdotale e lo ha donato martire non solo a Brancaccio, non solo a Palermo, non solo alla Sicilia e all’intera nazione italiana, ma al mondo intero, alla Chiesa cattolica.

E fu in odio a questa fede che la mafia uccise don Pino:

"La verità è che i mafiosi - che spesso pure si dicono e si mostrano credenti - muovono meccanismi di sopraffazione e di ingiustizia, di rancore e di odio, di violenza e di morte, che nulla hanno a che fare con il Vangelo della vita che Gesù è venuto a portare nel mondo".

Il cardinale Romeo ha quindi voluto poi ricordare altre vittime di mafia, suscitando commozione tra gli astanti e un lungo applauso:

"Lasciatemi ricordare oggi - tra gli altri - i magistrati Rosario Levatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino… Come dimenticare il sacrificio di tante persone di buona volontà!".

L’azione assassina dei mafiosi, ha quindi detto in chiusura l’arcivescovo, ne rivela la vera essenza: “Essi rifiutano il Dio della vita e dell’amore”. Il cardinale Romeo ha poi consegnato ai presenti le durissime parole che Giovanni Paolo II pronunciò nel 1993 dalla Valle dei Templi":

"Nel nome di Cristo, di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è la Via, Verità e Vita lo dico ai responsabili convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!. Beato martire Giuseppe, il tuo sangue continuerà a fecondare questa Chiesa!".

La Beatificazione di padre Puglisi, scrive il segretario di stato Bertone in un messaggio rivolto all’arcidiocesi di Palermo a nome del Papa, è un momento di festa e di testimonianza per la chiesa che è a Palermo, in Sicilia e nell’Italia intera.


Un lungo applauso e un volo di colombe bianche, così la Chiesa di Palermo e i fedeli hanno espresso la loro gioia allo svelamento della foto del Beato Pino Puglisi, appena elevato agli onori degli altari. Festante e commossa la partecipazione dei tanti che sono giunti al Foro Italico, come ci riferisce da Palermo Alessandra Zaffiro:

Religiosi, autorità, gente comune di ogni età ed etnia, come Marie Noelle, componente dell’Ufficio Migrantes del capoluogo siciliano: “Ero appena arrivata in città e mi ha molto impressionato che un uomo di Dio fosse stato trucidato dalla mafia che non conoscevo e poi ho appreso che fa il male ed è contraria a ciò che è pacifico. Padre Puglisi aiutava a vedere che la mafia non è la giusta strada. Oggi rappresenta la liberazione dalla mafia. La nostra cattolicità – conclude – è un segno visibile della Chiesa e facciamo questo cammino della fede insieme ai palermitani”.
Una giovane mamma che 23 anni fa ha fatto il corso prematrimoniale con il Beato Puglisi ci racconta che “era una persona umile. Oggi, dice, è una gioia immensa per tutti, per i ragazzi che, secondo me, dovrebbero chiedere al Beato Puglisi un lavoro e poi di togliere tutta la sofferenza che c’è per le strade”. Accanto a lei, la sorella, che al nuovo Beato chiede “la conversione dei giovani, che si avvicinino a Gesù. Ci vogliono – aggiunge – sacerdoti che evangelizzino, perché i ragazzi non credono forse abbastanza all’amore di Gesù. E’ Lui che ci dà la forza di andare avanti, anche nei momenti brutti”. A Palermo, è presente anche la scuola media "Padre Pino Puglisi" di Belvedere marittimo in provincia di Cosenza. Per una studentessa della terza media di 13 anni, “essere qui oggi è un vero onore perché padre Puglisi ha combattuto contro la mafia e nel suo piccolo ha fatto tanto per tutti noi. A lui chiedo di pregare per tutti noi e di farci affrontare una vita migliore soprattutto ai più deboli e a quelli che soffrono”. Tra i tanti cartelloni colorati c’è anche quello pieno di foto di padre Puglisi preparato da alcuni bambini che frequentano il “Centro Padre Nostro” fondato a Brancaccio proprio dal primo martire della mafia. Tra loro, una bambina di 10 anni con i capelli biondi. “Oggi provo una grande gioia – ci dice parlando della Beatificazione di padre Puglisi – perché lui se lo merita, era molto buono, non era come la mafia. Aveva solo un vizio: amare, amare e sempre amare”.

Radio Vaticana

venerdì 24 maggio 2013

Don Puglisi. La santa audacia di un prete (Salvatore De Giorgi)

La santa audacia di un prete

di Salvatore De Giorgi*

La beatificazione di don Pino Puglisi rappresenta il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia, e non solo. Ma è anche uno splendido e stimolante messaggio per tutti nell'Anno della fede. Il riconoscimento del suo martirio da parte della Chiesa è la conferma della grandezza morale e spirituale di un sacerdote fedele ed esemplare, autentico testimone di Gesù Cristo e annunciatore della speranza cristiana soprattutto in mezzo alle nuove generazioni.
Ma è anche il sigillo della perenne attualità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell'esercizio sia del ministero sacerdotale come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato, antiumana e antievangelica, tanto più subdola e pericolosa quanto più si ammanta o si circonda di segni e di riferimenti religiosi.
A vent'anni dalla sua uccisione, don Puglisi parla ancora. Parla più forte. Parla a tutti. E come non può morire o appannarsi la sua memoria, così non può essere soffocata la sua voce, la voce del sangue, che invita a chiedere perdono delle nostre inadempienze e la grazia di seguire il suo esempio di fedeltà alla sequela di Cristo per combattere con coraggio, con fermezza, senza tentennamenti e senza compromessi, la lotta del bene contro il male.
«Generoso ministro di Cristo», come lo ha definito Giovanni Paolo II, sacerdote innamorato del suo sacerdozio e appassionato promotore della pastorale vocazionale, don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero -- come d'altronde la vita di ogni cristiano -- è per sua natura vocazione al martirio di ogni giorno nella donazione totale, serena, gioiosa, generosa, al popolo di Dio e che dalla preghiera, culminante nella celebrazione quotidiana dell'Eucaristia, trae la forza per andare avanti nonostante le difficoltà, le incomprensioni, le avversità che esso comporta: il prezzo della carità pastorale è la Croce.
«Coraggioso testimone del Vangelo», don Puglisi ci ripete che il nostro primo dovere è l'annunzio del Vangelo, soprattutto ai giovani, per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell'osservanza dei suoi comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all'amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, e vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di ritorsione, di ingiustizia, di collaborazione col crimine: piaghe antiche che non si riesce ancora a sanare, soprattutto dove maggiore è il degrado ambientale e morale. Ci ricorda che l'impegno di promozione umana è parte integrante della evangelizzazione e quindi del nostro ministero presbiterale.
La voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che la testimonianza del Vangelo oggi è necessaria come non mai per l'affievolirsi della fede in tanti cristiani. Cristiani che ne ignorano le verità fondamentali, che vivono come se Dio non esistesse, che non ascoltano la sua parola, che non mettono in pratica la sua legge, che non partecipano al sacrificio eucaristico, che non santificano il giorno del Signore. Cristiani, che pur dicendosi tali o mostrandosi praticanti, aderiscono alle forze del male, alle strutture di peccato assolutamente incompatibili col Vangelo, come la mafia, infangando così il nome di Cristo, che è il Dio della vita e dell'amore. Erano queste le contraddizioni e le incoerenze che turbavano il cuore sacerdotale di don Puglisi e lo stimolavano a una instancabile e molteplice azione pastorale, animata dalla preghiera e aliena da ogni forma di protagonismo, di esibizionismo e di preoccupazione massmediatica.
La sua voce giunge particolarmente ai genitori, perché con l'esempio e con la parola educhino al bene i propri figli, oggi esposti come non mai alle suggestioni della droga, dell'alcool, dei paradisi artificiali, e anche, soprattutto in certe zone, alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. Era questo il suo più assillante tormento pastorale, e per questo creò il centro Padre Nostro. «Il primo dovere a Brancaccio -- diceva alcuni mesi prima di essere ucciso -- è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l'azione pedagogica può essere efficace».
La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio o più abbandonati, come don Pino non si stancava di chiedere quando era vivo per Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. Egli era convinto che la mancanza dei servizi essenziali non solo li rende meno vivibili, ma ostacola ogni serio tentativo di liberazione, di riscatto, di risanamento, di rinnovamento, di formazione, con grande vantaggio delle organizzazioni criminali. Egli continua a ripetere: «Ciò che è un diritto non si deve chiedere come un favore». Ascoltare chi si fa voce del popolo, soprattutto degli ultimi, è un atto di responsabilità e di amore alla città.
La sua voce, infine, giunge anche, e direi soprattutto, ai criminali di ogni genere con la forza profetica di Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, per ricordare loro che egli, come Gesù, ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro redenzione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, più dura del carcere più duro. Il sorriso con il quale ha detto al suo killer: «me l'aspettavo», è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il padre della parabola evangelica. Solo tornando a Dio, essi potranno ritrovare la pace del cuore e ridonare alla società e alle proprie famiglie la serenità perduta e la speranza nel futuro.

*Cardinale arcivescovo emerito di Palermo

(©L'Osservatore Romano 25 maggio 2013)

Don Puglisi domani Beato. Il card. De Giorgi: la sua voce necessaria come non mai

Don Puglisi domani Beato. Il card. De Giorgi: la sua voce necessaria come non mai

Domani, sabato 25 maggio, don Giuseppe Puglisi sarà proclamato Beato. La messa con il Rito di Beatificazione si terrà alle 10.30 al Foro Italico Umberto I di Palermo. Presiederà la celebrazione l’arcivescovo della diocesi palermitana, il cardinale Paolo Romeo, mentre rappresentante del Papa sarà il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, che il 15 settembre 1999 diede avvio al suo processo di Beatificazione. Don Giuseppe, o meglio padre Pino Puglisi, è stato un sacerdote diocesano noto per il suo impegno di contrasto alla criminalità organizzata, in particolare occupandosi della formazione di bambini e ragazzi di strada per i quali fondò il "Centro Padre Nostro”. Morì, ucciso dalla mafia, il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56.esimo compleanno. Il decreto di Beatificazione di padre Puglisi per martirio "in odio alla fede” è stato promulgato da Papa Benedetto XVI il 28 giugno 2012. Adriana Masotti ha chiesto al cardinale De Giorgi che cosa rappresenta proprio per Palermo e la Sicilia l’evento di sabato: 

R. – La Beatificazione come martire della fede di don Pino Puglisi rappresenta anzitutto il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia e non solo. Poi, anche uno splendido e stimolante messaggio di fede per tutti nell’Anno della Fede. Il riconoscimento ufficiale del suo martirio da parte della Chiesa è anche il sigillo della perenne autorità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio sia del ministero sacerdotale, come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato anti-umana ed anti-evangelica, tanto più subdola e pericolosa, quanto più si ammanta e si circonda di segni e di riferimenti religiosi.

D. – Con questa Beatificazione la Chiesa invia un messaggio chiaro: potrà essere dunque uno stimolo, o meglio un sostegno, a quanti anche oggi si impegnano nella lotta alla mafia?

R. – A 20 anni dalla sua sacrilega uccisione, don Puglisi parla ancora. Don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, i suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero, come d'altronde la vita di ogni cristiano, è ogni giorno per sua natura vocazione al martirio. Ci ripete che il nostro primo dovere è l’annuncio del Vangelo per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell’osservanza dei suoi Comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all’amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, a vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di collaborazione con il crimine. Queste sono piaghe antiche che ancora non si riescono a sanare, soprattutto dove il degrado ambientale e morale è maggiore. Ma la voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che oggi la testimonianza del Vangelo è necessaria come non mai. La sua voce giunge particolarmente ai genitori perché educhino al bene i propri figli, esposti in particolare oggi alle suggestioni della droga, dell’alcol e - anche soprattutto in certe zone - alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale, a violenze sessuali e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative, perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio, come chiedeva don Pino per il suo quartiere Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. La sua voce giunge infine anche – e direi soprattutto – ai criminali per ricordare loro che egli con Gesù ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato. Il sorriso con il quale don Puglisi ha detto al suo killer: “Me lo aspettavo” è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il Padre della parabola evangelica.

D. – Don Puglisi è riconosciuto martire in odio alla fede. Quale legame c’è stato nella vita di don Puglisi tra la sua adesione al Vangelo e il suo impegno a sottrarre alla criminalità organizzata i giovani della sua parrocchia?

R. – Don Puglisi è stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell’annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore soprattutto dei giovani. Don Puglisi è stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale, sottraeva le nuove generazioni alle suggestioni del male. L’odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione, di formazione delle coscienze, è stato appunto la testimonianza del vero sacerdozio, del vero ministero sacerdotale. L’odio al suo zelo pastorale non è semplicemente l’odio verso un sacerdote, è l’odio a Cristo, alla Chiesa, al Vangelo. E per questo è stato riconosciuto come martire della fede. Don Puglisi è andato incontro alla morte con gli occhi aperti per essere fedele al suo ministero di sacerdote. E lì, ha realizzato quella coraggiosa testimonianza cristiana di cui aveva parlato Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento: “La vera forza in grado di vincere queste tendenze distruttive sgorga dalla fede”. Così è stato don Puglisi. Così è riconosciuto dalla Chiesa.

Sul fermento che attraversa la Chiesa e la città di Palermo in questa giornata di vigilia, riferisce dal capoluogo siciliano Alessandra Zaffiro: 

Palermo si appresta a festeggiare padre Pino Puglisi, primo martire della mafia, che domani mattina davanti a circa ottantamila fedeli provenienti da tutta Italia, sarà elevato agli onori degli altari. Don Pino ha vinto la sua battaglia contro coloro che lo hanno osteggiato fino a sentenziarne la morte, credendo di sconfiggere per sempre il sacerdote di Brancaccio e la sua opera al fianco di quei giovani che la criminalità organizzata reclutava per avere bassa manovalanza. Invece, padre Puglisi continua a vivere grazie alla sua testimonianza e al suo sacrificio. “Non sono un biblista, non sono un teologo, né un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio”, diceva di sé don Pino, il cui senso della sfida, è racchiuso nella frase: “E se ognuno fa qualcosa”. Il rito di Beatificazione, cui prenderanno parte 40 vescovi e 750 presbiteri, sarà presieduto dal cardinale Salvatore De Giorgi, delegato di Papa Francesco, mentre la celebrazione eucaristica sarà presieduta dall’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Allo svelamento della foto del sacerdote si canterà il Te Deum, quindi l’arcivescovo Emerito del capoluogo siciliano, De Giorgi, leggerà la Lettera apostolica e incenserà le reliquie di don Pino.

“Il martirio di Padre Puglisi – afferma oggi il cardinale di Palermo Paolo Romeo – richiama l’educazione delle coscienze e la Chiesa deve essere in prima linea. Qui si capisce la grandezza del martirio di don Puglisi, che è stato ucciso perché era un prete che formava le coscienze, costruiva la comunità parrocchiale e aiutava le persone a uscire dai meccanismi che le rendono schiavi. Questo evidentemente dava fastidio. Perciò - prosegue l’arcivescovo di Palermo - penso che la sua beatificazione ci aiuterà a prendere coscienza del vero cambiamento da attuare. La gente pensa infatti che devono cambiare gli altri. E invece don Puglisi ci dice che ognuno di noi ha qualcosa da cambiare nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio agire. Solo così la civiltà dell’amore potrà affermarsi”. Don Pino Puglisi sorride timidamente ai fedeli che custodiscono una sua immagine in casa o lo portano con sé fra piccole icone, documenti d’identità e foto di famiglia. Il suo sguardo ha la forza della Fede e a coloro che si rivolgono a lui, anche chi non lo ha conosciuto, ricorda che pur nelle avversità, possiamo farcela.

© Copyright Radio Vaticana 

mercoledì 22 maggio 2013

Il cuore grande di don Pino Puglisi (Sir)

Il cuore grande di don Pino

Il ricordo di suor Carolina Iavazzo, responsabile del centro Padre Nostro, creato da Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo. Dagli inizi difficili all'incontro con la morte per mano della mafia. Ammette: "Non avevo colto tutta la gravità della situazione, anche perché don Pino ci teneva un po' all'oscuro, non voleva coinvolgerci in questa sua lotta con la mafia per proteggerci, ma vedevo che spesso aveva il labbro spaccato, gli occhi arrossati: veniva picchiato e minacciato"

Non un prete antimafia, ma “un sacerdote al servizio del Vangelo e quindi del bene”, perché “il Vangelo è lo spartiacque tra il bene e il male”. “Una persona positiva, sempre ottimista, con una fiducia illimitata nella Provvidenza, anche di fronte alle difficoltà”. Così suor Carolina Iavazzo, responsabile del centro Padre Nostro, creato da don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo, descrive il sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, a pochi giorni dalla sua beatificazione, che avverrà sabato 25 maggio a Palermo. “Mi porto dentro la sua carica: un’energia bella, spirituale, umana, morale. Credeva in quello che faceva. È stato una bella figura di sacerdote: povero, disinteressato ai soldi, con un cuore grande per amare gli ultimi”, aggiunge la religiosa. Sembra quasi l’identikit del sacerdote proposto oggi da Papa Francesco.

La scommessa sui giovani. Don Pino arrivò nel quartiere di Brancaccio a settembre 1990, suor Carolina il 2 ottobre 1991. “Il primo periodo - racconta suor Iavazzo - gli servì per fare uno studio del territorio, per capire i bisogni della gente”. E dall’analisi dettagliata che fece emerse “una situazione di degrado molto forte, di disagio morale, una povertà estrema, non solo economica, ma povertà di animo, di valori, con famiglie disgregate, prive di ogni capacità educativa”. Soprattutto don Puglisi “si era accorto che il quartiere Brancaccio era gestito dalla mafia, anche grazie all’ignoranza che regnava tra i giovani e nelle famiglie”. Di qui la scelta di aprire un centro per giovani: “Per toglierli dalla strada, per offrire loro un’istruzione e un’alternativa al niente o ancora peggio alla manovalanza mafiosa”. Ma con il centro è andato a intaccare gli interessi della mafia, che poi ha reagito. Don Puglisi credeva molto nei giovani: “Riteneva che è difficile cambiare gli adulti mentre i giovani sono più aperti al cambiamento e al bello. Ha voluto iniziare dai bambini, dagli adolescenti offrendo loro un presente bello che potesse sfociare in un futuro altrettanto bello”. E, sottolinea la religiosa, “abbiamo subito avuto dei riscontri positivi”. 

La storia del centro. Il centro è stato inaugurato il 29 gennaio 1993, quando erano stati completati i lavori di ristrutturazione dell’immobile, ma già precedentemente, dice suor Carolina, “lo utilizzavamo. Non è stato facile aprire subito il centro in quanto era tutto da sistemare. Don Pino aveva acquistato un immobile da ristrutturare per realizzare il centro, ma non aveva soldi. I primi 30 milioni per il compromesso li diede il cardinale Pappalardo, poi don Pino si è adoperato con tante iniziative per raggiungere la cifra necessaria all’acquisto. Nel frattempo, avevamo iniziato le nostre attività già per strada, andando dalle famiglie, avviando un corso di alfabetizzazione per adolescenti che frequentavano una scuola serale comunale”. Più l’attività di don Puglisi creava attesa e suscitava apprezzamenti, più la mafia era infastidita. “Io - ammette - non avevo colto tutta la gravità della situazione, anche perché don Pino ci teneva un po’ all’oscuro, non voleva coinvolgerci in questa sua lotta con la mafia per proteggerci, ma vedevo che spesso aveva il labbro spaccato, gli occhi arrossati: veniva picchiato e minacciato”. 

Come un faro. Il 29 giugno 1993 i mafiosi appiccarono il fuoco alla porta di casa di alcuni strettissimi collaboratori del sacerdote, come vendetta trasversale. “Nella Messa successiva - ricorda la religiosa - don Pino usò parole dure: ‘Voi siete bestie, siete vigliacchi, è facile nascondersi dietro una pistola al buio e colpire, ma se siete uomini possiamo ragionare insieme’. Io mi spaventai molto di queste sue parole e in sacrestia gli chiesi perché aveva gridato tanto, sapendo che c’era gente che ci spiava. Mi rispose: ‘Più che uccidermi non possono fare’. Solo in quel momento ho avuto la misura giusta del pericolo, ma non capivo la sua risposta: mi chiedevo cosa sarebbe restato se lo avessero ammazzato, ma aveva ragione lui. Il suo messaggio è andato ben oltre. Voleva dire: possono uccidere il mio corpo, ma non la mia anima, i miei ideali, la mia libertà, la mia voglia di costruire il bene, la mia speranza per questo quartiere”. Oggi “don Puglisi è come un faro che si accende sulla Chiesa, sul mondo, sulla società - sostiene suor Iavazzo -. Amava dire: ‘Se ognuno fa qualcosa, allora avremo fatto molto’. Credo che noi tutti, politici, cardinali, vescovi, preti, religiosi, gente comune, dovremmo porre il nostro tassello al servizio del bene nel grande puzzle della vita, con coraggio, perché il mondo si cambia così, dalle piccole cose di ogni giorno”.

Passaggio di testimone. Idealmente suor Carolina ha raccolto l’eredità “bella ma gravosa” di don Pino: “L’importante è non vivere da mediocri - dice -. Sono venuta in Calabria, a Bosco Sant’Ippolito, tra San Luca e Bovalino, dove ho creato il centro Don Pino Puglisi per ragazzi. I ragazzi hanno voglia di bellezza, credono in un futuro migliore, ma dobbiamo offrire loro delle alternative. Noi insegniamo loro le regole del buon costume, del vivere civile, del rispetto per se stessi e gli altri, facciamo anche formazione religiosa e spirituale, soprattutto morale. Abbiamo una quarantina di giovani che vengono per il doposcuola, lo sport e attività di volontariato”.

© Copyright Sir