venerdì 14 giugno 2013

Il Primate anglicano cita Benedetto XVI: la nostra «meta è così grande da giustificare la fatica del cammino»

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Dove mi sento a casa

All'inizio dell'udienza Sua Grazia Justin Welby ha rivolto a Papa Francesco il suo discorso in inglese. Ne pubblichiamo di seguito una traduzione in italiano.

Santità,cari amici,

Essere qui mi riempie di amore e gratitudine. Negli ultimi giorni abbiamo ricordato la morte del beato Papa Giovanni XXIII, avvenuta nel bel mezzo del Concilio Vaticano II. Durante la preghiera per i defunti pronunciata dall'Arcivescovo Michael Ramsey a Lambeth Palace in questo stesso fine settimana di cinquant'anni fa, il mio amato predecessore ha detto di lui: «Papa Giovanni ci ha mostrato di nuovo il potere di essere, nell'essere un uomo che tocca il cuore umano con la carità. Quindi in molti sono sopraggiunti un nuovo desiderio di unità di tutti i cristiani e una nuova consapevolezza che, per quanto il cammino possa essere lungo, la carità già fa la differenza».
Avendo per molti anni trovato ispirazione nel grande corpus della dottrina sociale cattolica e lavorato con gruppi cattolici sulle sue implicazioni, avendo fatto dei ritiri presso nuove comunità della Chiesa in Francia, ed essendo accompagnato dal priore di un altro nuovo ordine, di fatto sento (con le parole di Papa Paolo VI all'Arcivescovo Michael) di venire in un luogo dove mi posso sentire a casa.
Santità, siamo chiamati dal Santo Spirito di Dio, attraverso il nostro amore fraterno, a proseguire il lavoro che è stato il dono prezioso, negli ultimi cinquant'anni, ai Papi e agli Arcivescovi di Canterbury, e del quale questo anello famoso è il pegno duraturo. Prego affinché la vicinanza dell'inizio dei nostri rispettivi ministeri possa servire alla riconciliazione del mondo e della Chiesa.
Come Lei ha sottolineato, dobbiamo promuovere i frutti del nostro dialogo; e insieme ai nostri fratelli vescovi, dobbiamo dare espressione alla nostra unità nella fede attraverso la preghiera e l'evangelizzazione. Solo guardando i cristiani crescere in modo visibile nell'unità il mondo accetterà, attraverso di noi, il messaggio divino di pace e riconciliazione.
Il cammino, però, è difficile e non possiamo non essere consapevoli che esistono differenze su come far sì che la fede cristiana incida sulle sfide sollevate dalla società moderna. Ma la nostra «meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Benedetto XVI, Spe salvi, n. 1), e possiamo confidare nella preghiera di Cristo, «ut omnes unum sint» (Gv 17, 21). Solide fondamenta di amicizia ci permetteranno di essere fiduciosi nel parlare tra noi di queste differenze, di portare i fardelli gli uni degli altri e di essere aperti a condividere il discernimento di una strada da percorrere che sia fedele alla volontà di Cristo e che ci impone il nostro essere discepoli.
Questa strada deve rispecchiare l'amore generoso di Cristo, il nostro portare la sua croce e il nostro morire a noi stessi per vivere in Cristo, che si manifesterà attraverso l'ospitalità e l'amore per i poveri. Dobbiamo amare coloro che cercano di osteggiarci, e soprattutto dobbiamo amare quanti vengono lasciati da parte -- addirittura intere nazioni -- dall'attuale crisi nel mondo. Inoltre, anche adesso, mentre parliamo, molti nostri fratelli e nostre sorelle in Cristo stanno soffrendo terribilmente a causa di violenza, oppressione e guerra, cattivo governo e sistemi economici ingiusti. Se non li difendiamo noi nel nome di Cristo, allora chi lo farà?
Santità, caro Fratello, L'assicuro dell'amore, del rispetto e della preghiera dei vescovi, del clero e dei fedeli della Comunione anglicana.

(©L'Osservatore Romano 15 giugno 2013)

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