sabato 13 luglio 2013

Lumen Fidei. Nietzsche ha sbagliato nemico

Nietzsche ha sbagliato nemico

«L'obiettivo di questo documento -- afferma il cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona -- è di mostrare come la fede arricchisce l'esistenza umana in tutte le sue dimensioni. Benedetto XVI, che è stato uno dei teologi consultori dell'assemblea conciliare, era oltremodo preparato per mostrare quel che l'enciclica afferma citando Paolo VI: che il Vaticano II è stato innanzitutto un concilio sulla fede, pronto a raccogliere i suoi ricchi insegnamenti, specialmente per quanto riguarda i rapporti tra la fede e la Chiesa. E a Papa Francesco, giunto al Pontificato dalla periferia ecclesiale e dal mondo delle povertà, va attribuito ciò che nel documento si dice sulla fede come luce per tutta la società, come un fattore del bene comune, specialmente per la famiglia, come la forza che conforta nella sofferenza».
Un'enciclica che porta quindi l'impronta sia di Benedetto XVI che di Papa Francesco. Aspetto, questo, messo in evidenza anche da Raymond J. De Souza sul «National Catholic Register» (10 luglio): It's Benedicts's finest encyclical, even though it carries Francis' name. E prosegue: «Molto è stato detto e scritto sull'umiltà dimostrata da Papa Francesco rispetto a cose alquanto irrilevanti, come il tipo di scarpe che indossa o se fa da solo cose che invece potrebbero essere fatte dalle persone del suo staff. Ma una dimostrazione di umiltà che sicuramente colpisce è quella di aver pubblicato come sua prima enciclica un testo scritto da un altro uomo, un uomo il cui sguardo e i cui scritti sono unici nella sua generazione». E citando in chiusura del suo commento un passaggio dell'enciclica («Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti») De Souza scrive: «Lumen fidei fornisce un contributo affascinante e convincente a questo dialogo. Resta da vedere se un mondo che guarda alla fede con sospetto sarà interessato. Il sospetto e la paura sono alleati della dittatura, inclusa la dittatura del relativismo da cui Benedetto, e ora Francesco, si augurano di liberarci».
Drew Christiansen, su «America Magazine», nel commento «Personal Knowledge: a Footnote to an Encyclical», approfondisce il tema del valore conoscitivo dell'amore, centrale nella Lumen fidei, citando il pensiero del filosofo brasiliano Carlos Cirne-Lima e le opere del gesuita Pierre Rousselot (1878-1915), che tanto avrebbe influenzato il discepolo e futuro teologo Henri de Lubac, in particolare i due articoli intitolati Les yeux de la foi pubblicati su «Recherches des Sciences Religieuses» nel 1910. Nel testo ricorre ventitré volte la parola “cuore”; «l'enciclica è precisa -- spiega Javier Prades López, rettore dell'università San Dámaso di Madrid, in un'intervista pubblicata in IlSussidiario.net -- nell'usare il termine in senso biblico, che non ha nulla a che fare con una riduzione sentimentale del cuore come di solito è operata nella letteratura o nel senso colloquiale del termine. Cuore è l'io umano nella sua integralità e nell'unità di tutti i suoi dinamismi affettivi, volitivi e cognitivi. Il cuore è la vera sede del dono di Dio, che tocca il profondo dell'uomo interessando tutta la sua persona». Nella Veglia di Pentecoste, a chi gli chiedeva come aveva potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede, Francesco ha risposto citando la testimonianza di sua nonna; «poiché viene da fuori di me, la fede è intrinsecamente legata a un rapporto -- continua Prades -- perché è in un rapporto che avviene un dono tra persone. L'esempio del Papa è calzante perché dimostra che tutti abbiamo avuto bisogno di un testimone, uno che vivendo in prima persona la fede ha reso possibile per noi l'adesione personale al dono di Dio. Questa trama di rapporti che costituiscono il mondo della vita è l'alveo attraverso cui ci arrivano tanti beni, tante conoscenze, tanti benefici per la nostra vita, e Dio si è voluto piegare a quello stesso metodo per comunicarsi, attraverso i testimoni. Con grande scandalo di tanti; eppure è il metodo che ha scelto Dio».
«Un punto fermo -- scrive Eugenio Mazzarella nell'articolo Ecco perché anche i politici dovrebbero leggerla, pubblicato sullo stesso periodico in rete -- anche per l'uomo contemporaneo, esposto all'idolatria della tecnica, alla seduzione delle cose che escono dalle sue mani, che rischia di non saper più “vedere” con il cuore e con la ragione Chi ci dona le mani, l'orizzonte di senso anche per quando esse riposano stanche o cadono inerti, senza successo».
Nel 1865 il giovane Nietzsche -- scrive José Luis Restán nell'articolo Luz para que no languidezca la vida pubblicato su Paginadigital.es -- invitava la sorella a sperimentare nuove strade, lasciandosi dietro le spalle la vecchia fede dei padri. Mai il filosofo tedesco avrebbe potuto immaginare che centocinquant'anni più tardi un Papa l'avrebbe citato in un'enciclica. «La sua visione della vita -- continua Restán -- come un'avventura appassionante, in cui ciascuno deve cercare la verità, riconoscerla liberamente e abbracciarla, non è sbagliata. Ma ha sbagliato nemico, e ha scelto una strada che l'avrebbe portato a un epilogo tragico». Un testo “a quattro mani”, la Lumen fidei; l'espressione stessa è un omaggio affettuoso di Francesco all'amore per la musica del suo predecessore, scrive Rafael Navarro Valls su «Iglesiactualidad», nell'articolo intitolato Lumen Fidei una luz entre dos faros, spiegando che la collaborazione tra Papi, nella redazione delle lettere rivolte a tutta la Chiesa non è poi così rara; sembra che anche nella Deus caritas est -- scrive Navarro Valls -- siano confluiti appunti inediti di Giovanni Paolo II.
«Un capolavoro profondamente paolino» così descrive l'enciclica nel suo blog il giornalista francese Yves Daoudal (alias Hervé Kerbourc'h, noto anche con lo pseudonimo di Hervé Pennven). Un testo che cita molto i padri della Chiesa e ne imita anche il metodo. Basti pensare al punto in cui si confronta il testo ebraico e la traduzione greca di una frase di Isaia, come avrebbero fatto Gerolamo o Giovanni Crisostomo. «Il tema della luce della fede -- scrive -- ci riporta a san Bonaventura come ad Origene, passando attraverso la dottrina dei cinque sensi spirituali; nel cuore stesso dell'enciclica c'è una citazione del mio caro Guillaume de Saint-Thierry, voce eminente nel mondo monastico medievale, insieme al suo maestro e amico Bernardo».

(©L'Osservatore Romano 13 luglio 2013)

2 commenti:

laura ha detto...

Ho iniziato a leggerla una settimana fa e non riesco ad ndare avanti, né a fissare i contenuti. Dopo l'inizio promettente, mi sono persa. La trovo rimaneggiata. Del resto, la firma parla chiaro

Fabiola ha detto...

Io l'ho letta in un soffio, Laura.
Credimi è tutta di Benedetto. Tranne i n.5, 6, 7 e qualcosa nell'ultima parte "Dio prepara per loro una città".
Piuttosto, l'ho già scritto, ho il sospetto che siano stati operati dei tagli che, qua e là, non completano le argomentazioni. Così almeno mi pare. Ma non vorrei essere troppo presuntuosa. Ma, visto con quale "anticipo di anti patia" è stata accolta dai "soliti noti" abbiamo davvero tutto Joseph Ratzinger.
Comunque sia, grazie a Francesco che ce l'ha consegnata.