sabato 13 luglio 2013

Rileggendo la «Lumen fidei». E al numero trentasei il teologo comprende se stesso (Imbelli)

Rileggendo la «Lumen fidei»

E al numero trentasei il teologo comprende se stesso

di Robert P. Imbelli

L'enciclica di Papa Francesco, la Lumen fidei, è uno straordinario documento che merita di essere meditato nella preghiera. La sua chiarezza e profondità ripagheranno la molteplice lettura da parte di tutti nella Chiesa, ovvero di quanti cercano il significato e la verità dell'esistenza umana. Un capitolo si rivelerà, però, di particolare interesse per i teologi. Nel numero trentasei dell'enciclica viene infatti data una interpretazione breve, seppure straordinariamente ricca, del compito della teologia. Da un certo punto di vista si tratta naturalmente di una visione tradizionale (come mostra il riferimento a piè di pagina a Bonaventura e a Tommaso d'Aquino). Tuttavia, il testo pone tale interpretazione tradizionale in un contesto intersoggettivo che ne fa emergere, in modo nuovo e più profondo, l'importanza e le implicazioni.
Il Papa scrive: Dio «è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel rapporto da persona a persona». Il teologo, dunque, non può avvicinarsi al lavoro teologico in modo distaccato, neutrale, come farebbero uno scienziato o un semplice osservatore. La teologia prospera attraverso la conoscenza partecipativa, che coinvolge la ragione, la volontà e gli affetti. L'enciclica fa appello alla nozione biblica del “cuore” e insiste sul fatto che, come ha affermato il beato John Henry Newman, cor ad cor loquitur, ovvero “cuore parla a cuore”. La teologia riflette sulla Parola di Dio, pienamente rivelata, nella morte e risurrezione di Gesù, come Amore duraturo. Il cuore di Dio parla al nostro cuore per mezzo della sua Parola d'amore nell'incontro interpersonale.
Questa Parola d'amore è inesauribile. Pertanto, il compito della teologia è infinito, fino al compimento, quando Dio sarà «tutto in tutti». Ma poiché la Parola d'amore viene rivolta in primo luogo alla Sposa di Cristo che è la Chiesa, il compito della teologia non è mai individuale, ma sempre ecclesiale.
Il teologo opera nella Chiesa. Lui o lei è un membro del corpo di Cristo che cerca, in modo modesto, di gettare più luce sul Mistero nel quale la Chiesa vive, si muove e ha il proprio essere. Pertanto, è fondamentale riconoscere che la teologia non è una disciplina lontana dalla vita liturgica e catechetica della comunità cristiana. La teologia certamente solleva altre questioni, evocate dai contesti storici e sociali diversi dei teologi, facendolo però sempre alla luce del Vangelo e della tradizione apostolica.
Proprio per questo l'enciclica insegna: la teologia «non consideri il magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco», ma piuttosto «come uno dei suoi momenti interni, costitutivi». Tutti nella Chiesa stanno sotto la Parola di Dio e cercano di riflettere un po' della luce di Cristo, il solo a essere Lumen gentium. Il ruolo del magistero, con le parole dell'enciclica, è di assicurare «il contatto con la fonte originaria», offrendo in tal modo «la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità».
Possiamo scorgere una profondità ancora maggiore di questo modo d'intendere la teologia se leggiamo il numero trentasei, ricollegandolo a quanto viene detto al numero trentanove. Qui, riferendosi alla natura ecclesiale della fede, il Papa scrive: «È possibile rispondere in prima persona, “Credo”, solo perché si appartiene a una comunione grande, solo perché si dice anche “Crediamo”. Questa apertura al “noi” ecclesiale avviene secondo l'apertura propria dell'amore di Dio, che non è solo rapporto tra Padre e Figlio, tra “io” e “tu”, ma nello Spirito è anche un “noi”, una comunione di persone» (n. 39).
Se la conoscenza teologica partecipa in qualche modo al dialogo eterno e alla comunione di Dio, allora il teologo -- che si tratti di un cristiano adulto o di qualcuno che svolge una missione ecclesiale -- deve essere una persona di comunione. Lui o lei deve essere mosso da una passione autentica per l'edificazione del corpo di Cristo e deve essere sensibile a qualsiasi cosa leda tale corpo. La “mondanità”, contro la quale Papa Francesco ha spesso messo in guardia, può assumere molte forme. Può prendere quelle più aperte della brama di influenza politica o di guadagno economico. Può però assumere anche quelle più sottili del desiderio di fama o di acclamazione popolare.
Il teologo deve dunque imparare a coltivare la spiritualità di comunione come parte integrante del compito della teologia. Tale spiritualità di comunione è tanto esigente nel suo ascetismo quanto lo è una spiritualità del deserto o del chiostro. E al centro di questa spiritualità c'è il discernimento nella preghiera. Abbiamo molto da imparare a questo proposito dal grande teologo gesuita Henri de Lubac. Nel suo straordinario libro Méditation sur l'Église de Lubac ha scritto un capitolo rimarchevole intitolato «Le nostre tentazioni verso la Chiesa».
Tali tentazioni mettono a rischio la comunione della Chiesa, ed è quindi necessario discernerle attentamente attraverso una spiritualità che non sia mondana, ma che cerchi sempre di alimentare la comunione. Poiché le tentazioni contemplate da de Lubac riguardino ogni membro della Chiesa, i teologi devono mettere particolarmente in guardia contro di esse. Una tentazione merita particolare attenzione nella nostra era di comunicazione mediatica istantanea e di “blogosfera”.
De Lubac la definisce «la tentazione critica». Egli non mette in discussione la necessità che nella Chiesa ci si dica la verità nella carità. Ma avverte che la critica troppo spesso può «avanzare, astutamente travestita da bene». C'è la tendenza inveterata di equiparare la nostra causa, per quanto posso essere degna, alla causa della Chiesa. De Lubac scrive di alcuni che «nel loro desiderio di servire la Chiesa, spingono la Chiesa al proprio servizio».
Tutti noi, teologi e non, possiamo quindi tirarci indietro ed esclamare: «chi dunque può essere salvato?». Ma de Lubac offre un saggio consiglio. Scrive della necessità di impegnarsi, secondo il buon uso ignaziano, in un costante «discernimento degli spiriti». E, con il suo ben noto umorismo pungente, suggerisce che una critica sempre salutare è «l'autocritica». Questo discernimento degli spiriti non porta all'immobilità, né nega il bisogno di una riforma costante nella Chiesa. Può certamente esigere parole audaci (parresìa), ma sempre in vista del bene comune del corpo di Cristo. E talvolta potrebbe richiedere la pazienza che sa come attendere saggiamente il tempo giusto per il raccolto. Così, i teologi, in comunione con tutti i membri del corpo di Cristo, sono chiamati a recitare le parole conclusive della Lumen fidei, rivolte a Maria: «Aiuta, o Madre, la nostra fede! / Apri il nostro ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata. / Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa. / Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede. / Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare. / Semina nella nostra fede la gioia del Risorto. / Ricordaci che chi crede non è mai solo. / Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino. E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!».

(©L'Osservatore Romano 13 luglio 2013)

3 commenti:

Luisa ha detto...

Non vedo citato l`autore dell`enciclica il sommo teologo Benedetto XVI.

Anonimo ha detto...

O.T.su tv 2000 hanno annunciato l'arrivo di PF a Castelgandolfo domani,con diretta dell'arrivo ed Angelus.....una cosa carina(?)dell'enciclica,ce ne sono 2 versioni almeno dalle parti mie,una della Lev,una di editrice semianonima,differenza di prezzo 2 euro,chiedo perché,mi rispondono:" Su questa c'è la foto del papa",insisto,"Ma il testo è lo stesso?"Sì,nessuna differenza" e la compro(quella economica,naturalmente)....GR2

Anonimo ha detto...

Ha voluto essere politically correct sul giornale del Papa ignorando incredibilmente il Predecessore
Su America, Imbelli cita eccome il Papa emerito Bebedetto.
http://americamagazine.org/light-faith
E' il secondo articolo della serie dedicata all'Enciclica.
Alessia