In occasione del cinquantesimo anniversario dell'elezione di Paolo VI, un'omelia inedita tenuta dal cardinale Joseph Ratzinger il 10 agosto 1978
La Trasfigurazione
Per quindici anni, nella preghiera eucaristica durante la santa messa, abbiamo pronunciato le parole: «Celebriamo in comunione con il tuo servo il nostro Papa Paolo». Dal 7 agosto questa frase rimane vuota. L'unità della Chiesa in quest'ora non ha alcun nome; il suo nome è adesso nel ricordo di coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e riposano nella pace. Papa Paolo è stato chiamato alla casa del Padre nella sera della festa della Trasfigurazione del Signore, poco dopo avere ascoltato la santa messa e ricevuto i sacramenti. «È bello per noi restare qui» aveva detto Pietro a Gesù sul monte della trasfigurazione. Voleva rimanere. Quello che a lui allora venne negato è stato invece concesso a Paolo VI in questa festa della Trasfigurazione del 1978: non è più dovuto scendere nella quotidianità della storia. È potuto rimanere lì, dove il Signore siede alla mensa per l'eternità con Mosè, Elia e i tanti che giungono da oriente e da occidente, dal settentrione e dal meridione. Il suo cammino terreno si è concluso. Nella Chiesa d'oriente, che Paolo VI ha tanto amato, la festa della Trasfigurazione occupa un posto molto speciale. Non è considerata un avvenimento fra i tanti, un dogma tra i dogmi, ma la sintesi di tutto: croce e risurrezione, presente e futuro del creato sono qui riuniti. La festa della Trasfigurazione è garanzia del fatto che il Signore non abbandona il creato. Che non si sfila di dosso il corpo come se fosse una veste e non lascia la storia come se fosse un ruolo teatrale. All'ombra della croce, sappiamo che proprio così il creato va verso la trasfigurazione.
Quella che noi indichiamo come trasfigurazione è chiamata nel greco del Nuovo Testamento metamorfosi (“trasformazione”), e questo fa emergere un fatto importante: la trasfigurazione non è qualcosa di molto lontano, che in prospettiva può accadere.
Nel Cristo trasfigurato si rivela molto di più ciò che è la fede: trasformazione, che nell'uomo avviene nel corso di tutta la vita. Dal punto di vista biologico la vita è una metamorfosi, una trasformazione perenne che si conclude con la morte. Vivere significa morire, significa metamorfosi verso la morte. Il racconto della trasfigurazione del Signore vi aggiunge qualcosa di nuovo: morire significa risorgere. La fede è una metamorfosi, nella quale l'uomo matura nel definitivo e diventa maturo per essere definitivo. Per questo l'evangelista Giovanni definisce la croce come glorificazione, fondendo la trasfigurazione e la croce: nell'ultima liberazione da se stessi la metamorfosi della vita giunge al suo traguardo.
La trasfigurazione promessa dalla fede come metamorfosi dell'uomo è anzitutto cammino di purificazione, cammino di sofferenza. Paolo VI ha accettato il suo servizio papale sempre più come metamorfosi della fede nella sofferenza. Le ultime parole del Signore risorto a Pietro, dopo averlo costituito pastore del suo gregge, sono state: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni, 21, 18).
Era un accenno alla croce che attendeva Pietro alla fine del suo cammino. Era, in generale, un accenno alla natura di questo servizio. Paolo VI si è lasciato portare sempre più dove umanamente, da solo, non voleva andare. Sempre più il pontificato ha significato per lui farsi cingere la veste da un altro ed essere inchiodato alla croce.
Sappiamo che prima del suo settantacinquesimo compleanno, e anche prima dell'ottantesimo, ha lottato intensamente con l'idea di ritirarsi. E possiamo immaginare quanto debba essere pesante il pensiero di non poter più appartenere a se stessi. Di non avere più un momento privato. Di essere incatenati fino all'ultimo, con il proprio corpo che cede, a un compito che esige, giorno dopo giorno, il pieno e vivo impiego di tutte le forze di un uomo.
«Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore» (Romani, 14, 7-8). Queste parole della lettura di oggi hanno letteralmente segnato la sua vita. Egli ha dato nuovo valore all'autorità come servizio, portandola come una sofferenza. Non provava alcun piacere nel potere, nella posizione, nella carriera riuscita; e proprio per questo, essendo l'autorità un incarico sopportato -- «ti porterà dove tu non vuoi» -- essa è diventata grande e credibile.
Paolo VI ha svolto il suo servizio per fede. Da questo derivavano sia la sua fermezza sia la sua disponibilità al compromesso. Per entrambe ha dovuto accettare critiche, e anche in alcuni commenti dopo la sua morte non è mancato il cattivo gusto.
Ma un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l'approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede.
È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l'amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. Per questo ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall'insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni.
Paolo VI era, nel profondo, un Papa spirituale, un uomo di fede. Non a torto un giornale lo ha definito il diplomatico che si è lasciato alle spalle la diplomazia. Nel corso della sua carriera curiale aveva imparato a dominare in modo virtuoso gli strumenti della diplomazia. Ma questi sono passati sempre più in secondo piano nella metamorfosi della fede alla quale si è sottoposto.
Nell'intimo ha trovato sempre più il proprio cammino semplicemente nella chiamata della fede, nella preghiera, nell'incontro con Gesù Cristo. In tal modo è diventato sempre più un uomo di bontà profonda, pura e matura. Chi lo ha incontrato negli ultimi anni ha potuto sperimentare in modo diretto la straordinaria metamorfosi della fede, la sua forza trasfigurante.
Si poteva vedere quanto l'uomo, che per sua natura era un intellettuale, si consegnava giorno dopo giorno a Cristo, come si lasciava cambiare, trasformare, purificare da lui, e come ciò lo rendeva sempre più libero, sempre più profondo, sempre più buono, perspicace e semplice.
La fede è una morte, ma è anche una metamorfosi per entrare nella vita autentica, verso la trasfigurazione. In Papa Paolo si poteva osservare tutto ciò. La fede gli ha dato coraggio. La fede gli ha dato bontà. E in lui era anche chiaro che la fede convinta non chiude, ma apre. Alla fine, la nostra memoria conserva l'immagine di un uomo che tende le mani. È stato il primo Papa a essersi recato in tutti i continenti, fissando così un itinerario dello Spirito, che ha avuto inizio a Gerusalemme, fulcro dell'incontro e della separazione delle tre grandi religioni monoteistiche; poi il viaggio alle Nazioni Unite, il cammino fino a Ginevra, l'incontro con la più grande cultura religiosa non monoteista dell'umanità, l'India, e il pellegrinaggio presso i popoli che soffrono dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia. La fede tende le mani. Il suo segno non è il pugno, ma la mano aperta.
Nella Lettera ai Romani di sant'Ignazio di Antiochia è scritta la meravigliosa frase: «È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui» (ii, 2). Il vescovo martire la scrisse durante il viaggio da oriente verso la terra in cui tramonta il sole, l'occidente. Lì, nel tramonto del martirio, sperava di ricevere il sorgere dell'eternità. Il cammino di Paolo VI è diventato, anno dopo anno, un viaggio sempre più consapevole di testimonianza sopportata, un viaggio nel tramonto della morte, che lo ha chiamato a sé nel giorno della Trasfigurazione del Signore. Affidiamo la sua anima con fiducia nelle mani dell'eterna misericordia di Dio affinché egli diventi per lui aurora di vita eterna. Lasciamo che il suo esempio sia un appello e porti frutto nella nostra anima. E preghiamo affinché il Signore ci mandi ancora un Papa che adempia di nuovo il mandato originario del Signore a Pietro: «Conferma i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32).
(©L'Osservatore Romano 21 giugno 2013)
Da Monaco il ricordo dell'arcivescovo
Quattro giorni dopo la morte di Paolo VI, l'arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Joseph Ratzinger celebrò nella cattedrale della capitale bavarese una messa per il Pontefice. Tenne un'omelia, finora apparsa solo sul numero 28 del bollettino dell'arcidiocesi, la «Ordinariats-Korrespondenz». La pubblichiamo integralmente in questa pagina e a chiusura del numero speciale che il nostro giornale ha dedicato a Papa Montini nel cinquantesimo anniversario della sua elezione (21 giugno 1963).
(©L'Osservatore Romano 21 giugno 2013)
giovedì 20 giugno 2013
Joseph Ratzinger: un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l'approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede
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18 commenti:
che dire? Davvero splendida !
Antonio
Bellissima e profonda. Joseph Ratzinger è uno straordinario omileta. È unico...sempre!!!!
Silvia
Nel parlare di Paolo VI ha descritto lui stesso--straordinaria.
Bellissima, autobiografica, vera ed attuslissima.
Bellissima omelia analisi di un papato ! Nutrimento dell'anima .
Benedetto e Paolo: due grandissimi Uomini di Dio.
Alessia
Incredibilmente profetica per quello che sarebbe accaduto 35 anni dopo. tra l'altro la domenica del suo ultimo Angelus (24 febbraio 2013) la liturgia proponeva appunto il brano evangelico della Trasfigurazione, che Papa Benedetto commentò mirabilmente con quel "Il Signore mi chiama a salire sul monte", lasciandoci tutti più attoniti che mai. Maria Pia
Wow! Grazie!
Non è un recupero d'archivio del Blog... Lo pubblica l'O.R.!
Applausi all'Osservatore Romano,
quanno ce vò, ce vò!
Ha veramente un grande dono e noi siamo stati fortunati di aver vissuto questo pezzo di storia della Chiesa. Non so se mai ci sarà un altro Ratzinger sul soglio di Pietro. Io sicuramente non lo vedò
le sue splendide omelie hanno sempre aiutato a rendere più luminoso il ricordo dei suoi predecessori, ma ci sarà chi renderà a lui lo stesso omaggio?
fa venire i brividi perchè ha vissuto questa esperienza in prima persona e già allora aveva chiarissimo il concetto che il Papa dice sì per sempre e non appartiene più a se stesso. Anche se è stato costretta a dimettersi (e son sicura che sia stato costretto da un ambiente che lo ha massacrato e isolato) ha deciso di abbracciare la Croce fino alla fine, pur nel nascondimento e nella rinuncia totale non solo a se stesso, ma anche ad ogni previlegio che la ondiione di papa, inevitabilmnte comporta
Stupenda
O.T. segnalo: http://www.ilfoglio.it/soloqui/18721
Dopo le dimissioni di Benedetto, tutti giustamente a dire che si trattava di un avvenimento "apocalittico" o "escatologico" in senso cristiano...
Poi l'elezione di Papa Francesco e il successivo trionfo hanno fatto scomparire d'incanto ogni nube e preoccupazione dall'orizzonte mediatico e collettivo...
Affianco alle varie papolatrie, sulla rete hanno subito però iniziato a girare anche profezie "apocalittiche" di ogni genere, da quelle più incredibili e inattendibili a quelle di mistiche riconosciute in cui sembrava di poter scorgere, con tutte le cautele del caso, alcuni riferimenti agli avvenimenti presenti...
a un certo punto Tosatti ha persino rilanciato il quarto segreto di Fatima, con tanto di link ad un testo che parlava di apostasia della Chiesa e di un falso Papa...
Nel bene e nel male, nessuno si è filato alcunchè di tutto questo, fino a questa sera quando, di colpo, Il Foglio decide di dedicare una pagina alle profezie sulla rovina della Chiesa dei due Papi della Beata Caterina Emmerich...
Ci si può chiedere cos'abbia fatto cambiare così improvvisamene e drasticamente la linea editoriale de Il Foglio, dal trionfalismo al millenarismo...
Personalmente penso che i "segni dei tempi" non vadano ignorati, ma neppure strumentalizzati imprudentemente, e che, soprattutto di questi tempi, tutti farebbero bene a non lasciarsi trascinare da una sensazione all'altra, ma ancorarsi più che mai strettamente alla fede e alla ragione.
Mala tempora currunt sed peiora parantur.
Sono davvero contenta che esista un blog come questo in cui ci si sforza un po' tutti di essere al contempo buoni cattolici e razionali, di vedere quel che si vede e di sentire quel che si sente, amando la Verità con tutto il cuore, l'anima, le forze e la mente.
Grazie Raffaella!
Chiaro, profondo, meraviglioso Ratzinger... Non sapeva di parlare anche di se stesso! Da Papa non e' mai venuto a meno al suo compito, avendo sempre preferito la Verità al consenso! Grazie B16!
le sue splendide omelie hanno sempre aiutato a rendere più luminoso il ricordo dei suoi predecessori, ma ci sarà chi renderà a lui lo stesso omaggio?
Per chi conosce il tedesco:
http://www.freiewelt.net/reportage/vortrag-benedikt-xvi-das-gewissen-unserer-zeit/
Non credo proprio pb.
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