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lunedì 1 luglio 2013

Continuità e rinnovamento nel Primato di Pietro (Biffi)

Su segnalazione di Fabiola leggiamo:

CONTINUITÀ E RINNOVAMENTO NEL PRIMATO DI PIETRO


Amare e servire

INOS BIFFI

Gesù Cristo ha affidato il governo della sua Chiesa a tutto il Collegio degli Apostoli, costituendo in essa Pietro quale roccia e fondamento.
Non per volontà di Pietro la Chiesa è apostolica; allo stesso modo non per la decisione dei Dodici Pietro detiene il primato: esso, infatti, non consegue a un loro accordo di eleggere Simone come primo tra di loro e come loro rappresentante; deriva invece da una esclusiva e precisa determinazione di Gesù, che sempre singolarmente a Simone ha affidato l’ufficio di Pastore, con il mandato il pascere il suo gregge.
Una Chiesa che non fosse apostolica non sarebbe la Chiesa di Cristo, come non lo sarebbe una Chiesa dove non vi! gesse il primato di Pietro.
L’ha ricordato ancora ieri Papa Francesco, nella festa dei santi Pietro e Paolo, spiegando che il Vescovo di Roma deve «confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato» e con il suo «servizio». Per una chiara disposizione di Gesù Cristo la Chiesa è apostolica e petrina.
Ed esattamente con questa essenziale identità e configurazione la ritroviamo nella Tradizione. In virtù del sacramento dell’episcopato, al Collegio apostolico è succeduto il Collegio dei Vescovi, come a Pietro è succeduto il suo vicario, cioè il Vescovo di Roma.
Il Vaticano II ripropone la dottrina di fede del Vaticano I: rimane cioè intatto quanto dichiarava la costituzione Pastor Aeternus a proposito del Romano Pontefice, che ha «la piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa», potestà «ordinaria e immediata», «sia su tutte e su ciascuna delle Chiese sia su tutti e su ciascuno de! i pastori» (Denzinger, 3064).
Con la conseguenza dell’infallibilità – la stessa «di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua Chiesa» –, nel caso in cui il Romano Pontefice parli «ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ritenuta da tutta la Chiesa».
Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria, e non per il consenso della Chiesa.
Lo stesso Vaticano I non mancava di ricordare il collegio dei Vescovi, e citava le parole di Gregorio Magno: «Mio onore è l’onore della Chiesa universale. Mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Allora io mi sento veramente onorato, quando ad ognuno di essi non si nega l’onore dovuto».
Il Vaticano II, tuttavia, con la dottrina relativa al Collegio dei Vescovi, completa ed esplicita ampiamente la dottrina del Vaticano I, in particolare rilevando che essi sono preposti al governo della Chiesa universale per isti! tuzione divina, quindi per la potestà ricevuta immediatamente da Cristo e con un «potere loro proprio» ( Lumen gentium , n.22). Riconosciuto questo, non è fuori luogo osservare, sulla scia della storia, che la maniera concreta di esercizio del primato può mutare, assumendo, per esempio, una forma maggiormente collegiale.
Già il Concilio di fatto ha istituito il Sinodo dei Vescovi; allo stesso modo può essere diverso, quasi meno 'giuridico', il linguaggio con cui tale primato viene espresso. Occorre, in ogni caso, che resti invariato e si riconosca imprescindibile il suo contenuto dogmatico, dovuto all’istituzione di Cristo, per la quale non esiste Collegio dei Vescovi in cui non sia presente e operante quale Capo il Vicario di Pietro ( cum Petro et sub Petro).
Ecco perché – di là dagli orientamenti o preferenze di scuole teologiche (se così si possono chiamare) o dalle simpatie e dalle buone intenzioni – non è affatto conforme con la dottrina di fede, riproposta dal Vaticano II, parlare, secondo un uso che si va diffondendo, del Sommo Pontefice semplicemente come di un «primo tra pari ( primus inter pares ) », proprio perché il Vicario di Pietro non è 'pari'. 
E, ugualmente, non è consono al dogma riconoscergli un primato solo d’onore, dovuto all’origine petrina e paolina della Sede romana, restando indubbio che la sostanza di quel presiedere e governare del successore di Pietro consiste nell’amare e nel servire.
D’altronde, la Chiesa è una realtà unica e originale; una realtà di grazia, che non ha modelli di paragone tra i vari generi di società umana, e che si può comprendere e accogliere unicamente per fede.

© Copyright Avvenire, 30 giugno 2013

mercoledì 19 giugno 2013

Presentato a Ginevra il documento congiunto di cattolici e luterani «Dal conflitto alla Comunione» (O.R.)

Presentato a Ginevra il documento congiunto di cattolici e luterani «Dal conflitto alla Comunione»

Cinque passi per l'unità

Ginevra, 18. «Cinque imperativi ecumenici» per caratterizzare la celebrazione, nel 2017, del 500° anniversario della Riforma protestante: sono contenuti nel documento congiunto della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale, intitolato «Dal Conflitto alla Comunione», presentato lunedì 17 giugno a Ginevra. Si tratta di un lungo e dettagliato testo, scritto dalla Commissione internazionale per l'unità cattolica-luterana, che si pone come riferimento al fine di superare le incomprensioni reciproche e per ribadire l'impegno alla comune testimonianza cristiana nel mondo. Il documento è stato presentato durante una conferenza presso la sede della Lutheran World Federation (Lwf), a Ginevra, alla presenza del cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Kurt Koch, e del segretario generale della Lwf, Martin Junge. «La divisione della Chiesa è qualcosa che non possiamo festeggiare -- ha osservato il cardinale Koch facendo riferimento all'anniversario luterano -- ma siamo in grado di vedere ciò che è positivo e cercare di trovare vie verso un futuro da condividere assieme». Il reverendo Junge, riferendosi al documento comune, ha aggiunto che «questo è un passo molto importante in un processo di guarigione di cui tutti abbiamo bisogno e per il quale tutti stiamo pregando».
Nel documento, pur riaffermando l'esistenza di alcune differenze, si sottolinea che è stata raggiunta una tappa del cammino ecumenico nella quale cattolici e luterani possono offrire una interpretazione diversa della storia e apprezzare la sincera fede di entrambi. «Sta nascendo la consapevolezza tra luterani e cattolici -- si legge -- che la contrapposizione del secolo XVI è finita» e che «le ragioni per condannarsi a vicenda sulle questioni di fede sono cadute nel dimenticatoio».
I cinque «imperativi ecumenici» partono dalla consapevolezza che cattolici e luterani condividono il battesimo nel corpo di Cristo e che devono rafforzare ciò che essi hanno in comune anche quando «le differenze sono più facilmente visibili e vissute». Inoltre, cattolici e luterani «necessitano di reciproche esperienze di incoraggiamento e di critica» che aiuteranno entrambe le comunità a trasformarsi e a giungere a una comprensione più profonda di Cristo. Il terzo “imperativo” afferma che cattolici e luterani «dovrebbero impegnarsi ancora per cercare l'unità visibile, per elaborare assieme cosa significhi nel concreto e per raggiungere questo obiettivo». Il quarto “imperativo” riguarda la testimonianza cristiana alla luce delle profonde trasformazioni del mondo. I fedeli, è spiegato al riguardo, «dovrebbero ritrovare insieme la forza del Vangelo di Gesù Cristo per il nostro tempo» e condividerla con gli altri in modo tale che non aumentino le divisioni e la competizione tra le comunità. Infine, cattolici e luterani «dovrebbero essere insieme testimoni della misericordia di Dio nella proclamazione e nel servizio al mondo», riconoscendo che la credibilità dei cristiani aumenta nel momento in cui si approfondisce anche la loro unità.
Il documento, come detto, si pone come punto di confronto privilegiato in vista della celebrazione dell'anniversario della Riforma protestante. Il cardinale Koch, riferendosi all'evento, ha sottolineato che «il vero successo della Riforma può essere raggiunto solo attraverso il superamento delle nostre divisioni». In una intervista a Radio Vaticana, monsignor Matthias Türk, membro del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha affermato che «questo è il primo anniversario della Riforma che può essere celebrato ecumenicamente». Richiamando i contenuti del documento, monsignor Türk ha commentato: «Le ragioni che portano a divisioni nella Chiesa spesso si fondano su malintesi e su interpretazioni diverse dei medesimi contenuti di fede e delle stesse convinzioni teologiche. Nel comune dialogo ecumenico internazionale, abbiamo saputo riscoprire i fondamenti comuni, le basi comuni che abbiamo sulle questioni di fede, e abbiamo saputo affermare che questi punti non sono più motivo di divisione tra le Chiese. Il nostro documento riassume tutti questi passi come la raccolta di ciò che abbiamo in comune e si proietta nel futuro, alla ricerca del prossimo passo nella comune testimonianza al mondo di oggi».
Le comunità luterane si stanno preparando adeguatamente a un anniversario particolarmente significativo. «Mentre si avvicina l'anniversario della Riforma -- ha affermato il vescovo Munib A. Younan, presidente della Lwf -- il documento “Dal Conflitto alla Comunione” offre l'opportunità di riflettere sulla nostra storia particolare, in modo che possiamo correggere il nostro comportamento e impegnarci gli uni e gli altri in modo più costruttivo per il bene della missione di Dio». Il vescovo emerito Eero Huovinen della comunità evengelica luterana in Finlandia, che è anche membro della Commissione internazionale per l'unità cattolica-luterana, ha esortato a concentrarsi sulle questioni teologiche fondamentali. «Nessuno di noi può da solo decidere -- ha puntualizzato -- come costruire l'unità e abbiamo bisogno di un lavoro teologico profondo».

(©L'Osservatore Romano 18 giugno 2013)

martedì 18 giugno 2013

Ginevra. Documento sul dialogo cattolico-luterano "Dal Conflitto alla Comunione". Quid? (Chiesa e post concilio)

Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Mic.

Ginevra. Documento sul dialogo cattolico-luterano "Dal Conflitto alla Comunione"

Ginevra. Documento sul dialogo cattolico-luterano "Dal Conflitto alla Comunione"

Guarire il ricordo della divisione e collaborare per giungere a una ritrovata unità, passando “dal conflitto alla comunione”. E “Dal Conflitto alla Comunione” è anche il titolo del documento sul dialogo cattolico-luterano illustrato ieri in conferenza stampa a Ginevra, alla presenza del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Il porporato è stato invitato alla presentazione degli eventi celebrativi per il 2017, con i quali la Federazione luterana mondiale ricorderà i 500 anni dalla Riforma. Sull’importanza del documento, Philippa Hitchen ha chiesto a mons. Matthias Turk responsabile delle relazioni cattolico-luterane del dicastero pontificio:

R. – It is a very important landmark: after so many centuries of conflict and…

E’ una tappa davvero molto importante. Dopo così tanti secoli di conflitti e malintesi – che hanno portato perfino a guerre tra nazioni e tra persone all’interno di uno stesso Paese, come tutti sappiamo dalla storia – questo è il primo anniversario della Riforma che possiamo affrontare insieme, ecumenicamente. Come ha detto Martin Jung, il segretario generale della Federazione luterana mondiale, la commemorazione della Riforma sarà un evento internazionale, ma dovrà essere un evento ecumenico e dovrà chiamarci a una testimonianza comune, sottolineando quanto condividiamo piuttosto che porre in risalto quanto ancora ci divide.

D. – L’intenzione di questo documento – come è detto specificamente – non è “raccontare una storia diversa”, ma “raccontare la storia diversamente”. Cosa significa questo, esattamente? Come si procede su questa strada?

R. – The reasons for Church division are very often misunderstandings and different…

Le ragioni che portano a divisioni nella Chiesa spesso si fondano su malintesi e su interpretazioni diverse dei medesimi contenuti di fede e delle stesse convinzioni teologiche. Nel comune dialogo ecumenico internazionale, abbiamo saputo riscoprire i fondamenti comuni, le basi comuni che abbiamo sulle questioni di fede, e abbiamo saputo affermare che questi punti non sono più motivo di divisione tra le Chiese. Il nostro documento riassume tutti questi passi come la raccolta di ciò che abbiamo in comune e si proietta nel futuro, alla ricerca del prossimo passo nella comune testimonianza al mondo di oggi.

D. – Quali potrebbero essere questi passi, secondo lei, nell’urgente bisogno di una testimonianza comune nelle nostre società sempre più secolarizzate?

R. – The question of God is very important, as also Pope Benedict put it very…

La questione di Dio è molto importante, come anche Papa Benedetto ricordava con forza, ma ce ne sono altre ancora. Noi dobbiamo rendere testimonianza davanti a Dio, Creatore e Salvatore, a Gesù Cristo e allo Spirito Santo. Questo Dio Trino è quello in cui noi ci riconosciamo ed è quello che ha istituito la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, che siamo noi. Dobbiamo superare le nostre divisioni e rappresentare quello che Gesù Cristo stesso ha istituito per noi: solo questo potrà convincere persone di tutte le età, soprattutto in questi nostri tempi.

D. – Il documento sottolinea anche l’importanza che i Pentecostali e i nuovi Movimenti cristiani esercitano sulla ricerca di riconciliazione…

R. – We are in an intense contact with all Christian denominations…

Noi manteniamo contatti intensi con le denominazioni cristiane a livello universale e questo documento potrebbe essere un testo di partenza per ogni tipo di dialogo ecumenico, non soltanto tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica, ma anche per quanto riguarda il dialogo con altri interlocutori ecumenici, perché esso parla delle intenzioni di fondo delle riforme della Chiesa, che sono sempre necessarie, e parla del nostro rapporto con Dio.

© Copyright Radio Vaticana 

venerdì 14 giugno 2013

Pedofilia nella chiesa, la Corte penale internazionale dell'Aja sconfessa lo snap. Il commento di Calabrò

Clicca qui per leggere l'articolo gentilmente segnalatoci.
Dobbiamo comunque dire che "il filone pedofilia" si sta rapidamente esaurendo non solo perche' le norme imposte da Benedetto XVI hanno dato frutti straordinari ma anche perche' ora egli non e' piu' il Pontefice regnante e l'unico scopo di certe pretestuose denunce era colpire la sua persona.

giovedì 13 giugno 2013

Il 13 giugno 313 l'imperatore d'oriente Licinio pubblicò il rescritto di Nicomedia. Quando la religione cristiana da tollerata divenne «licita»

Il 13 giugno 313 l'imperatore d'oriente Licinio pubblicò il rescritto di Nicomedia

Il vero editto di Milano

Quando la religione cristiana da tollerata divenne «licita»

di Manlio Simonetti

Si è da poco spenta l'eco delle celebrazioni che hanno pubblicizzato il centenario dell'editto di Milano del febbraio 313 col quale gli imperatori Licinio e Costantino accordarono libertà di culto ai cristiani, e siamo già al 13 giugno, data in cui ricorre il centenario dell'editto di Nicomedia, emanato da Licinio ma interessante direttamente anche Costantino. Per poter presentare con una certa chiarezza il significato e l'importanza di questo atto, è indispensabile ripercorrere brevemente alcuni importanti avvenimenti di quegli anni, in modo da poterci orientare in un contesto storico molto aggrovigliato. Nel 303 l'imperatore Diocleziano e i suoi colleghi misero fine a una pace quasi cinquantennale tra l'Impero romano e la Chiesa, che aveva fatto seguito alla persecuzione di Valeriano (357-38), indicendo una nuova persecuzione.
Mentre questa infieriva sia in oriente sia in occidente, ma solo in alcune regioni con grande violenza, senza comunque riuscire ad aver ragione della resistenza dei cristiani, il complicato sistema di governo messo in opera da Diocleziano, la cosiddetta tetrarchia, al fine di assicurare il pacifico trapasso da un imperatore all'altro falliva clamorosamente, dando origine a una serie di guerre intestine, finché, dopo l'abdicazione di Diocleziano, l'imperatore Galerio, morente e scoraggiato per il fallimento sia della politica anticristiana sia del sistema tetrarchico di governo, emanò nel 311 un editto di tolleranza a beneficio dei cristiani.
Era un editto onesto: Galerio era un pagano convinto e tale restò fino alla fine; ma convinto finalmente che con la costrizione e la forza non si poteva debellare il tenace attaccamento dei cristiani alla loro fede, preferì metter fine alle violenze, dichiarando che la religione cristiana ormai sarebbe stata “tollerata”, con solo alcune restrizioni di poco conto.
Continuati, dopo la morte di Galerio, i conflitti tra i vari pretendenti al potere, agl'inizi del 313, sconfitto e tolto di mezzo Massenzio, Costantino era rimasto unico signore di tutta la parte occidentale dell'impero, mentre l'oriente era diviso tra Licinio e Massimino Daia.
Nel febbraio del 313 Costantino e Licinio s'incontrarono a Milano, dove proclamarono un nuovo editto a favore dei cristiani: rispetto a quello precedente di Galerio, la religione cristiana da tollerata diventava licita, perciò parificata a tutte le altre praticate nell'ambito dell'impero, e venivano eliminate le poche restrizioni presenti nel precedente editto. Le notizie, tutte di parte cristiana, relative all'emanazione dell'editto di Milano, sono state revocate in dubbio da parte di alcuni studiosi moderni, ma a torto nonostante la loro effettiva genericità.
In effetti, in data 13 giugno 313 Licinio, già impegnato in guerra con Massimino Daia, proclamò un editto che estendeva ai cristiani delle regioni d'oriente da lui recentemente conquistate i benefici dell'editto di Milano. Sconfitto definitivamente e tolto di mezzo Massimino e rimasto Licinio unico signore dell'oriente, i benefici dell'editto furono estesi ai cristiani di tutte le regioni d'oriente, dove essi, soprattutto in Egitto e in Siria, erano molto più numerosi che in occidente.
A questo punto s'impone un chiarimento riguardo all'atteggiamento di questi protagonisti nei confronti dei cristiani. Massimino Daia era un pagano convinto e, oltre che perseguitare i cristiani, aveva cercato anche di rivitalizzare in vario modo l'ormai in gran parte sclerotizzato culto delle religioni pagane. Aveva aderito solo obtorto collo alle disposizioni degli editti del 311 e del 313, e in definitiva aveva sempre manifestato la più aperta ostilità nei confronti dei cristiani, che nelle regioni da lui governate ebbero a soffrire di più e più a lungo che nelle altre regioni dell'impero.
Anche Licinio, che era stato molto vicino a Galerio, era pagano ma pragmaticamente più disponibile e aperto nei confronti dei cristiani, che perciò beneficiarono pienamente delle norme emanate a loro favore. Non fu per altro disposto a favorirli in modo particolare e non tollerò ingerenze dei vescovi nell'amministrazione della cosa pubblica.
In questo senso la sua politica verso i cristiani si differenziò molto da quella di Costantino, che soprattutto dopo la vittoria di Ponte Milvio a spese di Massenzio, che lo rese unico signore dell'occidente, manifestò in vario e aperto modo il suo spiccato favore verso i cristiani rispetto alle altre confessioni religiose, per altro rigorosamente rispettate. Questa politica, in confronto con quella di Licinio, presentava alcunché di paradossale, in quanto -- l'abbiamo già rilevato -- proprio in oriente i cristiani erano molto più diffusi e influenti che non in occidente.
I rapporti tra i due imperatori, nonostante le acquisite parentele, non erano dei migliori, e la stessa implacabile logica del potere faceva facilmente capire che la diarchia non era destinata a durare. Dato questo stato di cose, le simpatie anche dei cristiani d'oriente si volgevano verso Costantino, e così favorivano l'instaurarsi di una spirale perversa: la consapevolezza che anche i cristiani sotto il suo dominio simpatizzavano per Costantino spingeva Licinio a sospettare sempre più di loro, provocando un progressivo peggioramento del suo atteggiamento nei loro confronti, destinato ad aggravarsi a mano a mano che peggiorava il rapporto col collega, cui corrispondeva, da parte cristiana, l'altrettanto progressivo intensificarsi delle simpatie per Costantino.
Si arrivò così a veri e propri atti di persecuzione da parte di Licinio a danno dei cristiani d'oriente. Non fu certo questo peggioramento il casus belli che provocò lo scoppio delle ostilità, ma certo anch'esso vi contribuì in qualche misura.
Dopo una breve guerra, con vittoria di Costantino, nel 314, cui fece seguito un'effimera pace, la guerra decisiva si ebbe nel 324 e, a causa dei recenti provvedimenti coercitivi emanati da Licinio a danno dei cristiani, essa fu avvertita addirittura come guerra di religione. In questo senso la sconfitta di Licinio, che innalzò Costantino al rango e al potere di unico imperatore, segnò anche il decisivo consolidamento della politica filocristiana da lui inaugurata nel 313, che assicurava alla religione cristiana una collocazione di privilegio nella struttura dell'impero, destinata a dilatarsi e potenziarsi sempre di più sotto i suoi successori.

(©L'Osservatore Romano 13 giugno 2013)

sabato 1 giugno 2013

In Olanda niente stipendi ai prof di religione (Galeazzi)

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La Chiesa davanti al tribunale della storia. Nel libro «La grande meretrice» sette donne -- tutte storiche ma non tutte cattoliche -- indagano su una serie di luoghi comuni (Forte)

"La grande meretrice - Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa", a cura di Lucetta Scaraffia, Libreria Editrice Vaticana 2013


Nel libro «La grande meretrice» sette donne -- tutte storiche ma non tutte cattoliche -- indagano su una serie di luoghi comuni


La Chiesa davanti al tribunale della storia

di Bruno Forte

Dieci questioni, intorno a cui un'opinione diffusa e “politicamente corretta” chiama la Chiesa a giudizio davanti al tribunale della storia: la sua infedeltà rispetto alle origini del movimento cristiano, l'imposizione del celibato ecclesiastico, i tribunali dell'Inquisizione, l'arretratezza cattolica rispetto al progressismo evangelico, l'antisemitismo, la sessuofobia, l'anti-scientismo, la svalutazione della donna, il dolorismo. Sette donne, storiche di professione, di diversa estrazione religiosa, si confrontano con questi stereotipi senza pregiudizi, con un linguaggio ampiamente accessibile, mai rinunciando al rigore storico-critico delle affermazioni.
Ecco tema e autrici di un volume a dir poco “intrigante”, esposto a toccare sensibilità acute e a suscitare reazioni di segno diverso, e tuttavia utile e illuminante, perché capace di dar a pensare a chiunque lo legga senza preclusioni di sorta: La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa è il titolo del libro in questione, introdotto e curato da Lucetta Scaraffia, autrice ella stessa di due fra i saggi più stimolanti («Sul celibato ecclesiastico» e «I protestanti sono più moderni»). L'intento dichiarato è di servire la verità storica, rettificando quei «luoghi comuni che ormai sembrano avere sostituito la realtà per quanto riguarda la storia della Chiesa, e che quindi hanno anche contribuito a deformarne l'identità pubblica» (p. 3): una rettifica che non ha nulla di meramente apologetico, che anzi non risparmia ammissioni di limiti e di ritardi nella bimillenaria vicenda ecclesiale e, proprio così, risulta convincente e feconda di incontri possibili con chi sia aperto a cercare la verità al di sopra di tutto.
L'approccio femminile, poi, riesce a spingere lo sguardo a quella ricchezza vitale di emozioni e sentimenti, sottesa ai fatti e decisiva per la vita, che spesso un certo razionalismo interpretativo è incapace di cogliere. La destinazione del testo a un vasto pubblico motiva non solo il suo stile discorsivo, spesso arricchito di narrazioni, ma anche la scelta dei luoghi comuni su cui far riflettere: «i più diffusi, quelli che generano il maggior numero di incomprensioni» e che, proprio per questo, è importante chiarire prima di iniziare un qualunque confronto teorico.
Il titolo del volume rende bene l'intreccio costante di prospettive che lo animano: come mostra efficacemente Sylvie Barnay nel primo dei dieci saggi, il tema della Chiesa santa e meretrice muove già dalla testimonianza biblica, in particolare dell'Apocalisse. Esso ritorna nei Padri della Chiesa come una sorta di canto fermo, non per denigrare la comunità dei fedeli, ma per stimolarla al bene nel continuo confronto fra ideale e reale.
Ricordo l'attenta riflessione che a esso dedicammo nel gruppo di lavoro della Commissione teologica internazionale, incaricato di approfondire le motivazioni e il senso della richiesta di perdono che il beato Giovanni Paolo II volle pronunciare a nome di tutta la Chiesa durante il Giubileo del 2000. In un memorabile incontro che avemmo con lui, ebbe a dirci una frase che ben rende il senso e l'importanza del tema: «Coraggio! Siate una Commissione coraggiosa! La verità ci farà liberi!».
L'applicazione delle parole di Gesù in Giovanni, 8, 32 alla testimonianza attuale della Chiesa è in realtà la chiave interpretativa fondamentale per comprendere come il riconoscimento sincero dei limiti e delle colpe faccia ancor più risplendere la santità e il bene di cui il popolo di Dio ha riempito l'universo nei tanti secoli del suo cammino. È questa anche la chiave di lettura del documento Memoria e riconciliazione che accompagnò poi il gesto profetico del Papa nell'anno giubilare. «Che l'istituzione, la Chiesa terrena, sia stata protagonista di pagine non edificanti e anche odiose -- scrive nel suo bel saggio Sandra Isetta -- è un dato inalienabile, fatalmente connesso alla natura umana».
Come questo vada compreso e coniugato all'idea della Ecclesia sancta, lo spiega la grande sintesi di Agostino sulle “due città”, «quella di Dio e quella degli uomini, in qualche modo confuse e mischiate fra loro nello scorrere dei tempi», tali però che «solo formalmente i non meritevoli sono parte integrante della Chiesa» e «che vero corpo di Cristo è quello che vivrà eternamente con lui dopo il giudizio» (p. 56). Il no a ogni puritanesimo che pretenda di comprendere nella vicenda storica del popolo di Dio unicamente chi è senza colpa, si congiunge alla coscienza di una necessaria, costante lotta contro il male e il maligno, che avrà il suo coronamento vittorioso solo nel finale ritorno del Cristo.
Particolarmente interessante è il saggio della storica ebrea Anna Foa, dedicato alla Chiesa, «madre di tutte le inquisizioni». Con singolare capacità narrativa e documentaria, l'autrice giunge a una conclusione tanto singolare, quanto efficace: «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quale di questi temibili tribunali umani [quelli dei vari totalitarismi] preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell'epoca della grandi purghe staliniane. E nemmeno mi piacerebbe farmi processare dai tribunali laici dell'età dell'assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l'Inquisizione, quella romana naturalmente. Sempre sperando che Dio me la mandi buona» (p. 111). Peraltro, è la stessa studiosa a notare -- nel saggio dedicato all'antisemitismo -- che «nell'insieme la protezione che la Chiesa svolge nei confronti della minoranza ebraica presente nel suo seno è una costante, almeno fino a che l'equilibrio tra Chiesa ed ebrei si mantiene intatto» (p. 143). Il rigore della ricerca storica si fonde qui con un non comune coraggio nel sostenere tesi che destabilizzano una certa “vulgata” e mostrano come nelle pieghe della complessità della storia la verità sia molto più ricca e variegata di ogni facile giudizio sommario di colpevolezza o di assoluzione!
A conclusioni analoghe su questioni diverse pervengono i saggi di Margherita Pelaja sull'«odio per il sesso» attribuito alla dottrina della Chiesa, senza alcuna considerazione del valore sacramentale da essa riconosciuto all'unione sponsale in una vera e propria esaltazione della corporeità, o di Giulia Galeotti sul tema della scienza, che mostra tanto la banalità di giudizi quali quello di Richard Dawkins sulla religione quale «malattia mentale che dovrebbe essere estirpata dai nostri cervelli», quanto la fondatezza di asserti come quello di padre Michael Heller sul fatto che «la scienza ci dà il sapere, la religione il significato».
La conclusione di Cristiana Dobner sul tema della sofferenza è suggello adeguato all'intero percorso del libro: tutt'altro che esaltazione del dolorismo, il cristianesimo è un costante inno alla vita e alla sua bellezza, che è tale anche nel tempo della prova e del dolore, se queste vengono assunte e trasfigurate dal di dentro con la forza dell'amore che ci viene del Figlio di Dio incarnato e con lui tutto offre per tutti. «Chi crede e vive con la Chiesa e nella Chiesa, sa che quello squarcio [della domanda sul dolore] è stato già, in antecedenza, colmato dal Padre che non solo è vicino a noi, ma soffre con noi e per noi» (p. 259). Qui la ricerca storica al servizio della verità si fa più cha mai proposta di vita, stimolo a sperimentare la bellezza di quanto la Chiesa può offrirci, al di là di ogni chiusura pregiudiziale che a essa si voglia opporre.

(©L'Osservatore Romano 31 maggio - 1° giugno 2013)

giovedì 30 maggio 2013

La verità si propone non si impone. Il ruolo della Chiesa nella società (Sistach)

Il ruolo della Chiesa nella società

La verità si propone non si impone

di Lluís Martínez Sistach

Quando noi cristiani parliamo dello sviluppo dobbiamo intenderlo così come proposto dalla Populorum progressio, vale a dire come lo sviluppo di tutti gli uomini e dell'uomo integrale. L'autentico sviluppo dell'uomo concerne, in modo unitario, la totalità della persona in tutte le sue dimensioni. Paolo VI, afferma nella sua enciclica, che il progresso -- nella sua fonte e nella sua essenza -- è una vocazione: «nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione». Questo è proprio ciò che legittima l'intervento della Chiesa nella problematica dello sviluppo. Se ciò riguardasse solamente gli aspetti tecnici della vita dell'uomo e non il senso del suo camminare nella storia, la Chiesa non avrebbe nulla di cui parlare.
La dimensione pubblica della religione, o se si vuole della Chiesa, è di somma importanza. Dato che la convivenza delle persone nella società è qualcosa di innato alla persona umana e prendendo in considerazione che la presenza della religione è anche una realtà che non può essere vissuta al di fuori della società, è normale che la religione abbia una presenza pubblica nella convivenza sociale.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fornisce un elenco di diritti fondamentali, tra i quali vi è il diritto alla libertà religiosa, nei termini espressi dall'art. 18 della suddetta Dichiarazione. Questo diritto non si riferisce solamente al culto e alle credenze personali in pubblico o in privato, da soli o associati. Esso comprende anche l'esercizio creativo della fede e della vita religiosa, la sua manifestazione pubblica e la sua diffusione mediante l'esercizio del diritto alla libera riunione, d'espressione ed associazione sancito negli articoli 19 e 20. Un diritto pertanto che lo Stato deve tutelare e che non può ignorare. Ancora una volta, una pretesa separazione di campi di competenza tra Chiesa e Stato, frutto della reciproca ignoranza tra i due organismi, non è né giuridica né politicamente accettabile. È necessario distinguere tra ciò che è “laicità dello Stato” e ciò che è una “società laica”. Non si può ignorare che la laicità dello Stato è al servizio di una società pluralistica nella sfera religiosa. Una società laica, invece, comporterebbe la negazione sociale del fenomeno religioso o, almeno, del diritto di vivere la fede nella sua dimensione pubblica. Cosa che sarebbe contraria alla laicità dello Stato.
La Chiesa, lungi dal chiudersi in se stessa rinunciando all'azione, deve mantenersi viva e incrementare il suo dinamismo. I cristiani devono dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi delle gente. Se sapremo farlo, la Chiesa renderà un grande servizio ai nostri Paesi. La società pluralista in cui viviamo vuole cercare il “posto” proprio dei cristiani e della Chiesa in questa nuova situazione socio-culturale, senza che ciò supponga la perdita della propria identità.
La Chiesa non può pretendere di imporre ad altri la propria verità. L'importanza sociale e pubblica della fede cristiana deve evitare una pretesa di egemonia culturale che si avrebbe se non si riconoscesse che la verità si propone, ma non si impone. Ma questo non significa che la Chiesa non debba offrirla alla società, con tutto quello che significa realizzare l'«annuncio del Vangelo». È necessario offrire ogni genere di ricchezza contenuta nell'umanesimo cristiano, di grande interesse per molte persone -- soprattutto i giovani -- e di volerlo vivere con illusione e gioia. La presentazione del messaggio di Gesù, in modo chiaro e fedele, è il compito prioritario della Chiesa nella nostra società. Certamente il pieno riconoscimento del vero ambito del religioso è vitale per un'adeguata e feconda presenza pubblica della Chiesa nella società. Il religioso va oltre gli atti tipici della predicazione e del culto; si ripercuote e si esprime per sua stessa natura sul vissuto morale e umano che diventa effettivo nei campi dell'educazione, del servizio sociale, della vita, del matrimonio e della famiglia e della cultura.
La Chiesa presta alla società un servizio molto importante e di grande importanza nell'ordine prepolitico delle idee e dei valori morali, delle immagini globali dell'uomo e della vita. Il cardinale Narciso Jubany parlò dell'importante funzione «nutritiva» della Chiesa nella società.
La società democratica necessita di gruppi sociali, religiosi e culturali che si occupino di un'irrigazione spirituale ed etica dei cittadini, affinché dopo essi, nel libero esercizio dei loro diritti e della loro partecipazione politica, trasmettano allo Stato il riflesso di queste sensibilità morali ed esigano il rispetto, la tutela e la protezione di questo vigore spirituale senza il quale non può esistere una società libera né una cittadinanza responsabile.
Per rendersi conto del servizio che la Chiesa presta, basti pensare a ciò che sarebbe di una città, per esempio Santiago de los Caballeros o Barcellona, senza la presenza e l'azione delle parrocchie, delle comunità religiose, delle associazioni e delle istituzioni ecclesiali nel campo della spiritualità, dei rapporti interpersonali, della povertà e dell'emarginazione, dell'attenzione agli anziani e ai malati, dell'educazione e insegnamento, della cultura. Sarebbero delle città povere, molto povere, disumanizzate, con gravi problemi sociali.
La presenza della Chiesa nella società e le relazioni tra gerarchia e autorità civili devono essere di dialogo leale e di collaborazione costruttiva a partire dalla propria identità. La Chiesa deve contribuire al discernimento di alcuni valori che sono in gioco nella società e che incidono sull'autentica realizzazione della persona umana e della convivenza sociale.
In tal modo, a nessuno dovrebbe dar fastidio la voce profetica della Chiesa sulla vita familiare, sociale e politica, anche quando va controcorrente rispetto a opinioni ampiamente diffuse. Il nostro conformismo priverebbe la società di un'antica saggezza che abbiamo ricevuto dall'alto e che è stata presente e attiva nelle radici della nostra antropologia e della nostra storia.
Lo Stato non può ignorare l'esistenza del fenomeno religioso nella società. Pretendere che lo Stato laico debba agire come se questo fatto religioso, anche come corpo sociale organizzato, non esistesse, equivale a situarsi ai margini della realtà. Il problema fondamentale del laicismo che esclude dall'ambito pubblico la dimensione religiosa consiste nel fatto che si tratta di una concezione della vita sociale che pensa e vuole organizzare una società che non è la società reale. La fede o la non credenza sono oggetto di una scelta che i cittadini devono compiere nella società, soprattutto in una società culturalmente pluralista in rapporto al fatto religioso. Lo Stato è laico, ma la società non lo è.

(©L'Osservatore Romano 30 maggio 2013)

Cristiani in dialogo


Il 29 maggio a Roma, presso l'Istituto patristico Augustinianum, viene presentato il volume Cristiani nella società del dialogo e della convivenza (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 235, euro 18) che raccoglie -- con una prefazione del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone -- una serie di discorsi tenuti dal cardinale arcivescovo di Barcellona Lluís Martínez Sistach tra il 1986 e il 2012. All'incontro intervengono il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, lo storico Vicente Cárcel Ortí, il corrispondente dell'emittente spagnola Antenna 3 Tv, Antonio Pelayo, e il direttore dell'Istituto Cervantes di Roma, Sergio Rodríguez. Coordina i lavori Marta Lago, incaricata dell'edizione spagnola del nostro giornale.

(©L'Osservatore Romano 30 maggio 2013)

venerdì 10 maggio 2013

I premurosi e disinteressati consigli non richiesti di Hans Küng a Francesco (The Tablet)

Clicca qui per leggere la traduzione dell'articolo segnalatoci da Eufemia.
Ma Küng non doveva andare in pensione? Vedo che continua a dare consigli non richiesti solo che stavolta la sua benevolenza e' quantomeno sospetta.
Devo anche dire che sono molto delusa: da un teologo ci si aspetta che parli di teologia e non di autobus e conti di albergo...
Pensavo di dovere archiviare per sempre il DECALOGO DEL BLOG ma per l'occasione lo rispolvero almeno per la parte che riguarda Küng :-)
Per il resto i dieci punti che avevamo elaborato nel 2010 restano nel congelatore a dimostrazione del fatto che i mass media non conoscono il significato della parola coerenza...
R.

lunedì 6 maggio 2013

Donne diacono nella Chiesa tedesca. Ritorno alle origini del cristianesimo (Rodari)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Eufemia.
Ieri la novella efficienza vaticana non si e' attivata per smentire l'articolo. Deduco che vi sia un'approvazione tacita delle parole di Zollitsch?

venerdì 3 maggio 2013

Storia di Piera e del suo suicidio assistito (video). I cattolici attendono una parola dai loro pastori (R.)

Clicca qui per visionare il filmato.
Non c'e' nulla da reinventare o da rifondare. Qui c'e' bisogno di ribadire che la vita e' sacra dal concepimento alla morte naturale. Massimo rispetto per la signora protagonista del documentario ma la chiesa non puo' tacere anche a costo di rompere o turbare la tanto attesa e sospirata pax mediatica.
Il silenzio su questo tema non e' accettabile oltre che essere pericolosissimo.
La chiesa sia coraggiosa!
R.