Un viaggio che interroga le coscienze
Sin dall'annuncio a sorpresa il significato del viaggio di Papa Francesco a Lampedusa è stato fortissimo: non sono parole vuote quelle che sta ripetendo dal momento dell'elezione in conclave il vescovo di Roma preso "quasi alla fine del mondo". Il primo viaggio del pontificato, tanto breve quanto significativo, ha infatti voluto raggiungere da quel centro che deve essere esemplare nel presiedere "nella carità tutte le Chiese" - come ha ricordato presentandosi al mondo - una delle periferie, geografiche ed esistenziali, del nostro tempo.
Un itinerario scarno nel suo svolgimento, nato dall'ennesima sconvolgente notizia della morte di immigrati in mare - rimasta "come una spina nel cuore" di Papa Francesco - e realizzato per pregare, per compiere un gesto concreto e visibile di vicinanza e per risvegliare "le nostre coscienze", ma anche per ringraziare. Alla celebrazione penitenziale di fronte al mondo e alla solidarietà con i più poveri, si sono così aggiunte espressioni non protocollari e spontanee di gratitudine per chi da anni sa accoglierli e abbracciarli, offrendo in questo modo silenzioso e disinteressato "un esempio di solidarietà" autentica.
Da questa porta dell'Europa, continente troppe volte smarrito nel suo benessere, il vescovo di Roma ha rivolto al mondo una riflessione esigente sul disorientamento contemporaneo scandita dalle domande di Dio che aprono le Scritture ebraiche e cristiane: "Adamo, dove sei?" e "Caino, dov'è tuo fratello?". Interrogativi biblici che vanno alla radice dell'umano e che Papa Francesco ha ripetuto davanti a molti immigrati musulmani, ai quali aveva appena augurato che l'imminente digiuno del Ramadan porti frutti spirituali, con un'offerta di amicizia che evidentemente supera i confini della piccola isola mediterranea.
Domande di sempre, oggi rivolte a un uomo che vive nel disorientamento, ha sottolineato il Pontefice: "Tanti di noi, mi includo anch'io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri". Al punto che migliaia e migliaia di persone sono costrette a lasciare le loro terre e cadono in questo modo nelle mani dei trafficanti, "coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno" ha denunciato il vescovo di Roma ricordando le parole di Dio a Caino: "Dov'è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?".
Ma nessuno si sente responsabile perché - ha detto Papa Francesco - "abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna". Anzi, la cultura del benessere "ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla": è un'illusione, insomma, che nel mondo globalizzato di oggi ha portato a una "globalizzazione dell'indifferenza" togliendoci persino la capacità di piangere di fronte ai morti. Si ripete così la scena evangelica dell'uomo ferito abbandonato al bordo della strada e del quale solo un samaritano si prende cura. Come nella "piccola realtà" di Lampedusa, dove però sono tanti a incarnare la misericordia di quel Dio fattosi bambino e costretto a fuggire dalla persecuzione di Erode.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 8-9 luglio 2013)
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lunedì 8 luglio 2013
venerdì 5 luglio 2013
Lumen fidei. Come un ponte (Vian)
Come un ponte
Se l'immagine del ponte è quella che forse meglio rappresenta l'enciclica Lumen fidei come testo straordinario di raccordo tra i pontificati di Benedetto XVI e del suo successore Francesco, è in questo stesso senso molto eloquente il loro primo incontro pubblico in Vaticano. Non è un caso che l'avvenimento, altrettanto fuori dell'ordinario, abbia preceduto di poche ore la presentazione del documento e poi l'annuncio della storica canonizzazione di due Papi, cristiani autentici ed esemplari: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Ma soprattutto va sottolineato un fatto: l'incontro si è svolto con una naturalezza che esprime la fraternità reale visibilmente instauratasi tra il vescovo di Roma e il suo predecessore.
È questo il contesto immediato e profondo di cui tenere conto per leggere e apprezzare l'enciclica. «Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso.
Il Papa Benedetto XVI - ha detto non casualmente all'inizio di questa stessa settimana il suo successore - ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire». Parole non di maniera, come non sono state di maniera quelle che hanno aperto il primo incontro davvero pubblico per ribadire al predecessore affetto, riconoscenza e grande gioia per una presenza, tanto discreta quanto espressiva.
Se dunque la continuità nella diversità delle successioni sulla cattedra romana è lo sfondo del documento che reca la data della solennità dei santi Pietro e Paolo, il suo tema è essenziale e decisivo: «la luce della fede», quel lumen fidei che richiama il lumen Christi della veglia di Pasqua che rompe le tenebre.
Dopo le encicliche di Benedetto XVI sull'amore (Deus caritas est) e sulla speranza (Spe salvi), questa completa una lunga meditazione e viene offerta con semplice umiltà dal suo successore. Il vescovo di Roma preso «quasi alla fine del mondo» ha così fatto proprio questo «prezioso lavoro» e lo ha personalizzato, come testo tradizionalmente programmatico sul «grande dono portato da Gesù». E lo ha pubblicato nel cuore di un periodo espressamente dedicato, per volere del suo predecessore, alla riflessione sulla fede e alla sua celebrazione.
Subito si è osservato che un altro "anno della fede" era stato voluto da Paolo VI poco dopo la conclusione del Vaticano II, e non a caso nell'enciclica viene citata una sua acuta notazione che rispondeva a mormorii e opposizioni già allora circolanti: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine». E proprio un riecheggiamento del discorso conclusivo del Vaticano II si ritrova all'inizio dell'enciclica per descrivere l'obiezione contemporanea nei confronti della fede, da parte di un «uomo diventato adulto, fiero della sua ragione».
Tenendo conto di queste difficoltà, nutrita della radice dell'ebraismo e della grande tradizione della Chiesa, l'enciclica si offre così a chi vorrà leggerla per scoprire nella fede la «lampada che guida nella notte i nostri passi».
g.m.v
(©L'Osservatore Romano 6 luglio 2013)
Se l'immagine del ponte è quella che forse meglio rappresenta l'enciclica Lumen fidei come testo straordinario di raccordo tra i pontificati di Benedetto XVI e del suo successore Francesco, è in questo stesso senso molto eloquente il loro primo incontro pubblico in Vaticano. Non è un caso che l'avvenimento, altrettanto fuori dell'ordinario, abbia preceduto di poche ore la presentazione del documento e poi l'annuncio della storica canonizzazione di due Papi, cristiani autentici ed esemplari: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Ma soprattutto va sottolineato un fatto: l'incontro si è svolto con una naturalezza che esprime la fraternità reale visibilmente instauratasi tra il vescovo di Roma e il suo predecessore.
È questo il contesto immediato e profondo di cui tenere conto per leggere e apprezzare l'enciclica. «Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso.
Il Papa Benedetto XVI - ha detto non casualmente all'inizio di questa stessa settimana il suo successore - ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire». Parole non di maniera, come non sono state di maniera quelle che hanno aperto il primo incontro davvero pubblico per ribadire al predecessore affetto, riconoscenza e grande gioia per una presenza, tanto discreta quanto espressiva.
Se dunque la continuità nella diversità delle successioni sulla cattedra romana è lo sfondo del documento che reca la data della solennità dei santi Pietro e Paolo, il suo tema è essenziale e decisivo: «la luce della fede», quel lumen fidei che richiama il lumen Christi della veglia di Pasqua che rompe le tenebre.
Dopo le encicliche di Benedetto XVI sull'amore (Deus caritas est) e sulla speranza (Spe salvi), questa completa una lunga meditazione e viene offerta con semplice umiltà dal suo successore. Il vescovo di Roma preso «quasi alla fine del mondo» ha così fatto proprio questo «prezioso lavoro» e lo ha personalizzato, come testo tradizionalmente programmatico sul «grande dono portato da Gesù». E lo ha pubblicato nel cuore di un periodo espressamente dedicato, per volere del suo predecessore, alla riflessione sulla fede e alla sua celebrazione.
Subito si è osservato che un altro "anno della fede" era stato voluto da Paolo VI poco dopo la conclusione del Vaticano II, e non a caso nell'enciclica viene citata una sua acuta notazione che rispondeva a mormorii e opposizioni già allora circolanti: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine». E proprio un riecheggiamento del discorso conclusivo del Vaticano II si ritrova all'inizio dell'enciclica per descrivere l'obiezione contemporanea nei confronti della fede, da parte di un «uomo diventato adulto, fiero della sua ragione».
Tenendo conto di queste difficoltà, nutrita della radice dell'ebraismo e della grande tradizione della Chiesa, l'enciclica si offre così a chi vorrà leggerla per scoprire nella fede la «lampada che guida nella notte i nostri passi».
g.m.v
(©L'Osservatore Romano 6 luglio 2013)
lunedì 1 luglio 2013
Osservatore: quelle parole chiarissime (ignorate da altri media anche cattolici) su Benedetto XVI (Izzo)
PAPA: OSSERVATORE, QUELLE PAROLE CHIARISSIME SU BENEDETTO XVI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 1 lug. - "Un esempio cristiano e' stato presentato da Papa Francesco a sorpresa e con parole chiarissime quando all'Angelus di domenica ha parlato della coscienza come 'spazio interiore dell'ascolto della verita'', unico spazio di liberta'".
Il direttore dell'Osservatore Romano, professor Giovanni Maria Vian, sottolinea, a conclusione del suo editoriale di oggi, le frasi dette ieri da Papa Francesco sul suo predecessore, sostanzialmente ignorate da altri media anche cattolici, forse imbarazzati dall'espressione "nostro padre" utilizzata dal Pontefice parlando di Joseph Ratzinger.
L'Osservatore le riporta cosi': "'Esempio meraviglioso di come e' questo rapporto con Dio' e' stato Benedetto XVI nel passo compiuto 'con grande senso di discernimento e coraggio' ha detto il suo successore. 'E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire'".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 1 lug. - "Un esempio cristiano e' stato presentato da Papa Francesco a sorpresa e con parole chiarissime quando all'Angelus di domenica ha parlato della coscienza come 'spazio interiore dell'ascolto della verita'', unico spazio di liberta'".
Il direttore dell'Osservatore Romano, professor Giovanni Maria Vian, sottolinea, a conclusione del suo editoriale di oggi, le frasi dette ieri da Papa Francesco sul suo predecessore, sostanzialmente ignorate da altri media anche cattolici, forse imbarazzati dall'espressione "nostro padre" utilizzata dal Pontefice parlando di Joseph Ratzinger.
L'Osservatore le riporta cosi': "'Esempio meraviglioso di come e' questo rapporto con Dio' e' stato Benedetto XVI nel passo compiuto 'con grande senso di discernimento e coraggio' ha detto il suo successore. 'E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire'".
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Gesti e parole (Vian)
Gesti e parole
Per la prima volta il vescovo di Roma preso "quasi alla fine del mondo" ha celebrato la festa dei patroni della città, i santi Pietro e Paolo. La ricorrenza liturgica è stata l'occasione per una riflessione sul significato della missione di chi è chiamato alla successione del primo degli apostoli, in una cornice ecumenica molto espressiva. Erano infatti presenti il coro luterano della Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Bach, e soprattutto una delegazione della Chiesa di Costantinopoli. Quest'ultima presenza è ormai da decenni una felice consuetudine tra Chiese "sorelle", ma è stata sottolineata in modo inatteso e toccante da Papa Francesco quando prima dell'Angelus ha chiesto ai fedeli di dire con lui un'Avemaria per il Patriarca Bartolomeo.
In questo tratto semplice e autenticamente cristiano è concentrato lo stile del Pontefice. Da più parti in queste settimane si sono infatti sottolineati i suoi gesti e il suo modo di comunicare, breve ed efficace. I gesti sono comprensibili a tutti, come la scelta, che è più forte di ogni parola, di compiere il primo viaggio del pontificato a Lampedusa, là dove approdano i percorsi di migrazioni forzate dalla miseria e aggravate da violenze e avidità ignobili. Mentre il suo comunicare si è imposto all'attenzione non solo dei cattolici grazie soprattutto alle prediche di Santa Marta: nei contenuti una predicazione coerente con quella dei predecessori, mentre nuova è soprattutto la forma, sintetica, densa ed esigente, spesso tripartita.
Così è stata l'omelia per la festa dei patroni di Roma, nella quale il successore di Pietro si è chiesto cosa significhi confermare nella fede, nell'amore, nell'unità e ha dato tre risposte: evocando ancora una volta il pericolo di "pensare in modo mondano", richiamando la necessità della testimonianza (la "battaglia del martirio") e parlando infine del senso del primato della Chiesa romana in armonia con il Sinodo dei vescovi. Il nuovo organismo venne istituito da Paolo VI poco prima della conclusione del concilio Vaticano II e in mezzo secolo ha contribuito in modo evidente allo sviluppo di una dimensione fondamentale dell'essere cristiani: "Dobbiamo andare avanti per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato" ha scandito Papa Francesco. Insomma - ha subito dopo spiegato - bisogna essere "uniti nelle differenze: non c'è un'altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano".
E un esempio cristiano è stato poi presentato da Papa Francesco - a sorpresa e con parole chiarissime - quando all'Angelus di domenica ha parlato della coscienza come "spazio interiore dell'ascolto della verità", unico spazio di libertà. "Esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio" è stato Benedetto XVI nel passo compiuto "con grande senso di discernimento e coraggio" ha detto il suo successore. "E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire".
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 1-2 luglio 2013)
Per la prima volta il vescovo di Roma preso "quasi alla fine del mondo" ha celebrato la festa dei patroni della città, i santi Pietro e Paolo. La ricorrenza liturgica è stata l'occasione per una riflessione sul significato della missione di chi è chiamato alla successione del primo degli apostoli, in una cornice ecumenica molto espressiva. Erano infatti presenti il coro luterano della Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Bach, e soprattutto una delegazione della Chiesa di Costantinopoli. Quest'ultima presenza è ormai da decenni una felice consuetudine tra Chiese "sorelle", ma è stata sottolineata in modo inatteso e toccante da Papa Francesco quando prima dell'Angelus ha chiesto ai fedeli di dire con lui un'Avemaria per il Patriarca Bartolomeo.
In questo tratto semplice e autenticamente cristiano è concentrato lo stile del Pontefice. Da più parti in queste settimane si sono infatti sottolineati i suoi gesti e il suo modo di comunicare, breve ed efficace. I gesti sono comprensibili a tutti, come la scelta, che è più forte di ogni parola, di compiere il primo viaggio del pontificato a Lampedusa, là dove approdano i percorsi di migrazioni forzate dalla miseria e aggravate da violenze e avidità ignobili. Mentre il suo comunicare si è imposto all'attenzione non solo dei cattolici grazie soprattutto alle prediche di Santa Marta: nei contenuti una predicazione coerente con quella dei predecessori, mentre nuova è soprattutto la forma, sintetica, densa ed esigente, spesso tripartita.
Così è stata l'omelia per la festa dei patroni di Roma, nella quale il successore di Pietro si è chiesto cosa significhi confermare nella fede, nell'amore, nell'unità e ha dato tre risposte: evocando ancora una volta il pericolo di "pensare in modo mondano", richiamando la necessità della testimonianza (la "battaglia del martirio") e parlando infine del senso del primato della Chiesa romana in armonia con il Sinodo dei vescovi. Il nuovo organismo venne istituito da Paolo VI poco prima della conclusione del concilio Vaticano II e in mezzo secolo ha contribuito in modo evidente allo sviluppo di una dimensione fondamentale dell'essere cristiani: "Dobbiamo andare avanti per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato" ha scandito Papa Francesco. Insomma - ha subito dopo spiegato - bisogna essere "uniti nelle differenze: non c'è un'altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano".
E un esempio cristiano è stato poi presentato da Papa Francesco - a sorpresa e con parole chiarissime - quando all'Angelus di domenica ha parlato della coscienza come "spazio interiore dell'ascolto della verità", unico spazio di libertà. "Esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio" è stato Benedetto XVI nel passo compiuto "con grande senso di discernimento e coraggio" ha detto il suo successore. "E questo esempio del nostro padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire".
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 1-2 luglio 2013)
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venerdì 21 giugno 2013
Numero speciale dell'Osservatore Romano nel cinquantesimo anniversario dell'elezione di Papa Montini (Vian)
Numero speciale nel cinquantesimo anniversario dell'elezione
Montini
Giovanni Battista Montini venne eletto Papa il 21 giugno 1963. Nella tarda mattinata di quel primo giorno d'estate piazza San Pietro era invasa dal sole quando nell'azzurro del cielo si levò la fumata bianca. L'eletto, primo dei cardinali di Giovanni XXIII, era atteso ma non scontato. Sorprese invece il nome scelto: quello dell'ultimo degli apostoli, che più di tutti predicò il Vangelo. E questo fu il centro della vita di Montini, da lui stesso avvertita come "una linea spezzata", ma con l'assillo costante di essere testimone di Cristo nel mondo moderno.
Affascinato dalla vita monastica, il prete bresciano era stato infatti indirizzato su un cammino forse più impervio. Per oltre un trentennio, sotto due Pontefici tra loro molto diversi ma entrambi grandi, Montini servì la Santa Sede nel cuore della Curia romana, divenendone una figura chiave. Fu poi per otto anni arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo, e per quindici successore di Pietro, con il nome di Paolo.
A mezzo secolo dall'inizio di questo pontificato decisivo, "L'Osservatore Romano" torna sulla figura del suo protagonista, lontana nel tempo e troppo dimenticata. Con un profilo biografico, immagini rare e una scelta di testi bellissimi. Nell'ultimo, celebrando la festa dei santi Pietro e Paolo, il Papa trae il bilancio del suo pontificato, che fu un quindicennio al tempo stesso esaltante e drammatico: dalla stagione del concilio alla sua prima applicazione, con una semina paziente e tenace che ancora deve portare i suoi frutti.
Tradizionale e moderno, per tutta la vita Montini aveva cercato l'umanità contemporanea, tendendo la mano per stringere altre mani, alla pari, come si percepisce in immagini televisive delle sue udienze. E proprio la mano aperta è il segno che scelse per parlare del Papa appena scomparso il suo ultimo cardinale. Fu così Joseph Ratzinger, in un'omelia di fatto inedita sulla Trasfigurazione, a cogliere di Paolo VI l'essere più profondo, anticipando senza saperlo un futuro ora svelato.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 21 giugno 2013)
Montini
Giovanni Battista Montini venne eletto Papa il 21 giugno 1963. Nella tarda mattinata di quel primo giorno d'estate piazza San Pietro era invasa dal sole quando nell'azzurro del cielo si levò la fumata bianca. L'eletto, primo dei cardinali di Giovanni XXIII, era atteso ma non scontato. Sorprese invece il nome scelto: quello dell'ultimo degli apostoli, che più di tutti predicò il Vangelo. E questo fu il centro della vita di Montini, da lui stesso avvertita come "una linea spezzata", ma con l'assillo costante di essere testimone di Cristo nel mondo moderno.
Affascinato dalla vita monastica, il prete bresciano era stato infatti indirizzato su un cammino forse più impervio. Per oltre un trentennio, sotto due Pontefici tra loro molto diversi ma entrambi grandi, Montini servì la Santa Sede nel cuore della Curia romana, divenendone una figura chiave. Fu poi per otto anni arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo, e per quindici successore di Pietro, con il nome di Paolo.
A mezzo secolo dall'inizio di questo pontificato decisivo, "L'Osservatore Romano" torna sulla figura del suo protagonista, lontana nel tempo e troppo dimenticata. Con un profilo biografico, immagini rare e una scelta di testi bellissimi. Nell'ultimo, celebrando la festa dei santi Pietro e Paolo, il Papa trae il bilancio del suo pontificato, che fu un quindicennio al tempo stesso esaltante e drammatico: dalla stagione del concilio alla sua prima applicazione, con una semina paziente e tenace che ancora deve portare i suoi frutti.
Tradizionale e moderno, per tutta la vita Montini aveva cercato l'umanità contemporanea, tendendo la mano per stringere altre mani, alla pari, come si percepisce in immagini televisive delle sue udienze. E proprio la mano aperta è il segno che scelse per parlare del Papa appena scomparso il suo ultimo cardinale. Fu così Joseph Ratzinger, in un'omelia di fatto inedita sulla Trasfigurazione, a cogliere di Paolo VI l'essere più profondo, anticipando senza saperlo un futuro ora svelato.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 21 giugno 2013)
lunedì 3 giugno 2013
Come una lampada. Il 3 giugno 1963 si spegneva Giovanni XXIII (Vian)
Come una lampada
Era ormai scesa la sera il 3 giugno 1963, mezzo secolo fa, quando morì Papa Giovanni, concludendo in pubblico un'agonia che da tre giorni raccoglieva sotto la sua finestra una folla crescente. Piazza San Pietro era immersa nel buio e in un silenzio quasi irreale moltissime persone, credenti ma anche non credenti, avevano seguito commossi la messa di quel lunedì di Pentecoste celebrata sul sagrato dal cardinale vicario di Roma. Si spegneva così, davanti al mondo, un uomo di cui subito era stata evidente e trasparente la bontà.
Fu proprio alla fine della celebrazione che la finestra del Pontefice s'illuminò, a indicare la fine terrena di un uomo che aveva saputo toccare tantissimi cuori. Com'era avvenuto soltanto pochi mesi prima, in una sera mite d'autunno, quando anche la luna si era affacciata sulla piazza. E a notarlo fu Giovanni XXIII dalla sua finestra quando con brevi indimenticabili parole - il "discorso della luna", appunto - salutò i romani che festeggiavano l'apertura del concilio, l'11 ottobre 1962, chiedendo di portare la carezza del Papa ai bambini e a chi era rimasto a casa.
Si chiudeva in questo modo la vita di Angelo Giuseppe Roncalli, nella pace di una morte pubblica che per la sua risonanza universale non aveva precedenti nella storia della Chiesa di Roma. Trapasso che richiamava la fine cristiana nel contesto delle famiglie, soprattutto patriarcali come quella dove era cresciuto il Papa, morte un tempo non rara né sorprendente. E si chiudeva un pontificato non lungo ma decisivo, che si era aperto con l'elezione in conclave, il 28 ottobre 1958, del settantasettenne cardinale patriarca di Venezia.
Di origini contadine, Roncalli completò a Roma una formazione spirituale e culturale solida che avrebbe sorretto tutta la sua vita. Prete e diplomatico abile e sapiente, da Pio XII venne nominato ormai settantunenne patriarca di Venezia e creato cardinale nel suo secondo e ultimo concistoro, identificato quasi subito in fonti diplomatiche del tempo (già a metà degli anni Cinquanta) come un possibile candidato "di transizione" per una successione papale che, verso la fine del lungo e importante regno di Pio XII, non sembrava annunciarsi facile.
E transizione fu davvero. Soprattutto per l'intuizione sorprendente e necessaria - ispirazione sicuramente provvidenziale in un'ottica di fede - del concilio, già nelle prime settimane del pontificato e il cui annuncio scoppiò come una bomba il 25 gennaio 1959. Venne così il Vaticano II, per riprendere l'espressione evangelica (Giovanni, 1, 6), titolo di un film sul Pontefice che l'aveva convocato e iniziato: E venne un uomo, di Ermanno Olmi, che si basò anche sul Giornale dell'anima del Papa pubblicato nel 1964 dal suo segretario Loris Capovilla. Ma un'altra espressione del vangelo giovanneo (5, 35), che descrive il primo testimone di Cristo come "una lampada che arde e risplende", sintetizza altrettanto bene la parabola umana e cristiana del Papa che proprio dei due Giovanni prese il nome.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 3-4 giugno 2013)
Era ormai scesa la sera il 3 giugno 1963, mezzo secolo fa, quando morì Papa Giovanni, concludendo in pubblico un'agonia che da tre giorni raccoglieva sotto la sua finestra una folla crescente. Piazza San Pietro era immersa nel buio e in un silenzio quasi irreale moltissime persone, credenti ma anche non credenti, avevano seguito commossi la messa di quel lunedì di Pentecoste celebrata sul sagrato dal cardinale vicario di Roma. Si spegneva così, davanti al mondo, un uomo di cui subito era stata evidente e trasparente la bontà.
Fu proprio alla fine della celebrazione che la finestra del Pontefice s'illuminò, a indicare la fine terrena di un uomo che aveva saputo toccare tantissimi cuori. Com'era avvenuto soltanto pochi mesi prima, in una sera mite d'autunno, quando anche la luna si era affacciata sulla piazza. E a notarlo fu Giovanni XXIII dalla sua finestra quando con brevi indimenticabili parole - il "discorso della luna", appunto - salutò i romani che festeggiavano l'apertura del concilio, l'11 ottobre 1962, chiedendo di portare la carezza del Papa ai bambini e a chi era rimasto a casa.
Si chiudeva in questo modo la vita di Angelo Giuseppe Roncalli, nella pace di una morte pubblica che per la sua risonanza universale non aveva precedenti nella storia della Chiesa di Roma. Trapasso che richiamava la fine cristiana nel contesto delle famiglie, soprattutto patriarcali come quella dove era cresciuto il Papa, morte un tempo non rara né sorprendente. E si chiudeva un pontificato non lungo ma decisivo, che si era aperto con l'elezione in conclave, il 28 ottobre 1958, del settantasettenne cardinale patriarca di Venezia.
Di origini contadine, Roncalli completò a Roma una formazione spirituale e culturale solida che avrebbe sorretto tutta la sua vita. Prete e diplomatico abile e sapiente, da Pio XII venne nominato ormai settantunenne patriarca di Venezia e creato cardinale nel suo secondo e ultimo concistoro, identificato quasi subito in fonti diplomatiche del tempo (già a metà degli anni Cinquanta) come un possibile candidato "di transizione" per una successione papale che, verso la fine del lungo e importante regno di Pio XII, non sembrava annunciarsi facile.
E transizione fu davvero. Soprattutto per l'intuizione sorprendente e necessaria - ispirazione sicuramente provvidenziale in un'ottica di fede - del concilio, già nelle prime settimane del pontificato e il cui annuncio scoppiò come una bomba il 25 gennaio 1959. Venne così il Vaticano II, per riprendere l'espressione evangelica (Giovanni, 1, 6), titolo di un film sul Pontefice che l'aveva convocato e iniziato: E venne un uomo, di Ermanno Olmi, che si basò anche sul Giornale dell'anima del Papa pubblicato nel 1964 dal suo segretario Loris Capovilla. Ma un'altra espressione del vangelo giovanneo (5, 35), che descrive il primo testimone di Cristo come "una lampada che arde e risplende", sintetizza altrettanto bene la parabola umana e cristiana del Papa che proprio dei due Giovanni prese il nome.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 3-4 giugno 2013)
lunedì 27 maggio 2013
Il vescovo in parrocchia (Vian)
Il vescovo in parrocchia
Anche per Papa Francesco la prima visita a una parrocchia della diocesi di Roma è stata una sorpresa, per la naturalezza con la quale si è svolto l'incontro con i parrocchiani di ogni età. Il modo di essere caldo e spontaneo del Pontefice preso quasi "alla fine del mondo" e l'affetto crescente che moltissime persone gli stanno manifestando sono infatti ormai noti a tutti, come si vede soprattutto nelle udienze e nelle messe mattutine che si susseguono quasi ogni giorno dal momento dell'elezione.
Ma nella parrocchia romana all'estrema periferia settentrionale della città è stato diverso. E lo si è capito subito fin dal saluto del parroco, un giovane prete romano originario della Romania. Parole semplici che hanno colpito per la loro autenticità Papa Francesco, il suo vescovo, e lo hanno persuaso a rinunciare al discorso, che aveva preparato, per improvvisarne un altro di straordinaria efficacia, in dialogo con i bambini che stavano per ricevere o avevano appena ricevuto la prima comunione.
Nella festa della Trinità, prendendo spunto da un cenno del parroco all'episodio evangelico di Maria che in fretta si reca dalla parente Elisabetta, titolare con Zaccaria della parrocchia, il Pontefice ha detto che sarebbe bello invocarla nelle litanie come "Signora che va in fretta". In questo modo, che ha colpito per la sua immediatezza, il vescovo di Roma ha spiegato la presenza della Vergine, sollecita e amorevole come quella di una madre, nella vita quotidiana di chi la invoca.
E dell'essere cristiani - cuore dell'omelia - il Pontefice ha parlato dal punto di vista della Trinità, se così ci si può esprimere, e con l'aiuto dei bambini. Si è così intrecciato un inatteso dialogo tra il Papa e i ragazzini che di lì a poco, dalle sue mani, avrebbero ricevuto la prima comunione. E alle domande improvvisate durante l'omelia bimbe e bimbi, preparati con affetto dalle loro bravissime catechiste, hanno saputo rispondere davvero bene, aiutati anche dalla sapiente affabilità del loro vescovo arrivato in parrocchia.
Il pensiero è andato al mese, troppo breve, del pontificato di Giovanni Paolo I, con i semplici e incantevoli dialoghi che aveva iniziato a tenere durante le udienze generali interrogando un chierichetto, secondo un uso che Albino Luciani già praticava durante il suo episcopato. E al di là dei ricordi, nella memoria storica affiora l'esempio più lontano di Pio XI e delle udienze durante le quali si intratteneva fino a tarda ora, il mattino o la sera, per potere salutare e benedire personalmente tutti i presenti, o un secolo fa il precedente delle lezioni di catechismo che Pio X teneva nel cortile di San Damaso ai fedeli delle parrocchie romane.
Insieme al cardinale vicario, aiutato dai vescovi ausiliari, il vescovo di Roma - che è il titolo papale più tradizionale e autentico insieme a quello di "servo dei servi di Dio" - ha così iniziato le visite alle sue parrocchie. E la prima visitata è stata singolarmente quella che può essere definita l'ultima per la sua lontananza geografica dal centro. Ed è quasi un segno che rende esplicita l'attenzione di Papa Francesco per le periferie, geografiche e soprattutto spirituali. Dalle quali, come avviene alla sentinella descritta dal profeta, si comprende meglio la realtà.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 27-28 maggio 2013)
Anche per Papa Francesco la prima visita a una parrocchia della diocesi di Roma è stata una sorpresa, per la naturalezza con la quale si è svolto l'incontro con i parrocchiani di ogni età. Il modo di essere caldo e spontaneo del Pontefice preso quasi "alla fine del mondo" e l'affetto crescente che moltissime persone gli stanno manifestando sono infatti ormai noti a tutti, come si vede soprattutto nelle udienze e nelle messe mattutine che si susseguono quasi ogni giorno dal momento dell'elezione.
Ma nella parrocchia romana all'estrema periferia settentrionale della città è stato diverso. E lo si è capito subito fin dal saluto del parroco, un giovane prete romano originario della Romania. Parole semplici che hanno colpito per la loro autenticità Papa Francesco, il suo vescovo, e lo hanno persuaso a rinunciare al discorso, che aveva preparato, per improvvisarne un altro di straordinaria efficacia, in dialogo con i bambini che stavano per ricevere o avevano appena ricevuto la prima comunione.
Nella festa della Trinità, prendendo spunto da un cenno del parroco all'episodio evangelico di Maria che in fretta si reca dalla parente Elisabetta, titolare con Zaccaria della parrocchia, il Pontefice ha detto che sarebbe bello invocarla nelle litanie come "Signora che va in fretta". In questo modo, che ha colpito per la sua immediatezza, il vescovo di Roma ha spiegato la presenza della Vergine, sollecita e amorevole come quella di una madre, nella vita quotidiana di chi la invoca.
E dell'essere cristiani - cuore dell'omelia - il Pontefice ha parlato dal punto di vista della Trinità, se così ci si può esprimere, e con l'aiuto dei bambini. Si è così intrecciato un inatteso dialogo tra il Papa e i ragazzini che di lì a poco, dalle sue mani, avrebbero ricevuto la prima comunione. E alle domande improvvisate durante l'omelia bimbe e bimbi, preparati con affetto dalle loro bravissime catechiste, hanno saputo rispondere davvero bene, aiutati anche dalla sapiente affabilità del loro vescovo arrivato in parrocchia.
Il pensiero è andato al mese, troppo breve, del pontificato di Giovanni Paolo I, con i semplici e incantevoli dialoghi che aveva iniziato a tenere durante le udienze generali interrogando un chierichetto, secondo un uso che Albino Luciani già praticava durante il suo episcopato. E al di là dei ricordi, nella memoria storica affiora l'esempio più lontano di Pio XI e delle udienze durante le quali si intratteneva fino a tarda ora, il mattino o la sera, per potere salutare e benedire personalmente tutti i presenti, o un secolo fa il precedente delle lezioni di catechismo che Pio X teneva nel cortile di San Damaso ai fedeli delle parrocchie romane.
Insieme al cardinale vicario, aiutato dai vescovi ausiliari, il vescovo di Roma - che è il titolo papale più tradizionale e autentico insieme a quello di "servo dei servi di Dio" - ha così iniziato le visite alle sue parrocchie. E la prima visitata è stata singolarmente quella che può essere definita l'ultima per la sua lontananza geografica dal centro. Ed è quasi un segno che rende esplicita l'attenzione di Papa Francesco per le periferie, geografiche e soprattutto spirituali. Dalle quali, come avviene alla sentinella descritta dal profeta, si comprende meglio la realtà.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 27-28 maggio 2013)
lunedì 20 maggio 2013
Il fuoco della missione (Vian)
Il fuoco della missione
Missione: è senza dubbio questa la parola che meglio riassume la conclusione del grande incontro di Pentecoste tra il vescovo di Roma e oltre duecentomila fedeli appartenenti ad associazioni e movimenti cattolici. Proprio la realtà, necessaria e urgente, di testimoniare e predicare il Vangelo è stata infatti al centro della lunga veglia e poi dell'omelia che Papa Francesco ha tenuto durante la messa sul sagrato di San Pietro, riprendendo anche temi ed espressioni della sua predicazione quotidiana a Santa Marta, tanto efficace quanto coinvolgente. Altrettanto vivide e appassionate sono state le risposte del Pontefice a quattro domande postegli. "Ci ho pensato" ha detto subito, quasi a sottolineare l'autenticità di una testimonianza in prima persona che è la chiave per capire davvero le parole del vescovo di Roma e l'interesse che stanno suscitando anche al di fuori della Chiesa e dei suoi confini visibili. È infatti l'esperienza personale - "la storia della mia vita" - che Papa Francesco ha subito evocato per rivolgersi ai presenti in piazza San Pietro e a moltissime altre persone, donne e uomini, in tutto il mondo.
La fede? Ho avuto la grazia di una famiglia dove questa realtà si viveva in modo semplice e concreto, ha risposto, ed era una donna - "la mamma di mio padre" - che "ci parlava di Gesù". Come tante altre donne, fin dai primi tempi della Chiesa: per esempio, Loide ed Eunice, la nonna e la mamma di Timoteo la cui fede è espressamente ricordata all'inizio della seconda lettera indirizzatagli dall'apostolo, ha osservato il Pontefice.
Su questo doppio registro, di attenzione all'esperienza personale e di meditazione profonda della Scrittura, si fonda la testimonianza che comunica con immediatezza Papa Francesco. Che ha presente come fosse ieri il 21 settembre 1953, quando a diciassette anni incontrò un prete che non conosceva e con il quale si confessò perché avvertì nitidamente che "qualcuno l'aspettava". Così ha citato un versetto all'inizio della profezia di Geremia per mostrare come sia il Signore per primo, paragonato al fiore di mandorlo, ad aspettarci. O a chiamare alla nostra porta, secondo l'immagine apocalittica; ma anche a bussare "per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche" ha aggiunto il Pontefice.
In continuità con i predecessori - Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ricordati dal vescovo di Roma, ma anche Paolo VI, che sottolineava l'urgenza per il nostro tempo di maestri che fossero soprattutto testimoni - Papa Francesco ha di nuovo insistito sull'importanza decisiva di una testimonianza di vita coerente: per "vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale". In questo senso ha precisato che per i credenti in Cristo la povertà "non è una categoria sociologica o filosofica o culturale", ma teologale: cioè "la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua incarnazione".
Ed è proprio questa testimonianza che deve spingere la Chiesa al di fuori di se stessa, verso tutte le periferie, esistenziali e materiali, nel mondo di oggi. Per una missione che abbandoni ogni autoreferenzialità e si lasci ravvivare dalla novità e dall'armonia di quel fuoco che raffigura lo Spirito di Dio.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 20-21 maggio 2013)
Missione: è senza dubbio questa la parola che meglio riassume la conclusione del grande incontro di Pentecoste tra il vescovo di Roma e oltre duecentomila fedeli appartenenti ad associazioni e movimenti cattolici. Proprio la realtà, necessaria e urgente, di testimoniare e predicare il Vangelo è stata infatti al centro della lunga veglia e poi dell'omelia che Papa Francesco ha tenuto durante la messa sul sagrato di San Pietro, riprendendo anche temi ed espressioni della sua predicazione quotidiana a Santa Marta, tanto efficace quanto coinvolgente. Altrettanto vivide e appassionate sono state le risposte del Pontefice a quattro domande postegli. "Ci ho pensato" ha detto subito, quasi a sottolineare l'autenticità di una testimonianza in prima persona che è la chiave per capire davvero le parole del vescovo di Roma e l'interesse che stanno suscitando anche al di fuori della Chiesa e dei suoi confini visibili. È infatti l'esperienza personale - "la storia della mia vita" - che Papa Francesco ha subito evocato per rivolgersi ai presenti in piazza San Pietro e a moltissime altre persone, donne e uomini, in tutto il mondo.
La fede? Ho avuto la grazia di una famiglia dove questa realtà si viveva in modo semplice e concreto, ha risposto, ed era una donna - "la mamma di mio padre" - che "ci parlava di Gesù". Come tante altre donne, fin dai primi tempi della Chiesa: per esempio, Loide ed Eunice, la nonna e la mamma di Timoteo la cui fede è espressamente ricordata all'inizio della seconda lettera indirizzatagli dall'apostolo, ha osservato il Pontefice.
Su questo doppio registro, di attenzione all'esperienza personale e di meditazione profonda della Scrittura, si fonda la testimonianza che comunica con immediatezza Papa Francesco. Che ha presente come fosse ieri il 21 settembre 1953, quando a diciassette anni incontrò un prete che non conosceva e con il quale si confessò perché avvertì nitidamente che "qualcuno l'aspettava". Così ha citato un versetto all'inizio della profezia di Geremia per mostrare come sia il Signore per primo, paragonato al fiore di mandorlo, ad aspettarci. O a chiamare alla nostra porta, secondo l'immagine apocalittica; ma anche a bussare "per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche" ha aggiunto il Pontefice.
In continuità con i predecessori - Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ricordati dal vescovo di Roma, ma anche Paolo VI, che sottolineava l'urgenza per il nostro tempo di maestri che fossero soprattutto testimoni - Papa Francesco ha di nuovo insistito sull'importanza decisiva di una testimonianza di vita coerente: per "vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale". In questo senso ha precisato che per i credenti in Cristo la povertà "non è una categoria sociologica o filosofica o culturale", ma teologale: cioè "la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua incarnazione".
Ed è proprio questa testimonianza che deve spingere la Chiesa al di fuori di se stessa, verso tutte le periferie, esistenziali e materiali, nel mondo di oggi. Per una missione che abbandoni ogni autoreferenzialità e si lasci ravvivare dalla novità e dall'armonia di quel fuoco che raffigura lo Spirito di Dio.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 20-21 maggio 2013)
venerdì 19 aprile 2013
Vian: un cammino iniziato con Pio X e la sua pastorale (Izzo)
PAPA: VIAN, UN CAMMINO INIZIATO CON PIO X E LA SUA PASTORALE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 18 apr.
Con Papa Francesco e la sua scelta di essere prima di tutto vescovo di Roma, si completa un cammino iniziato con San Pio X. La fine dello Stato pontificio, "vissuta da Pio IX e da Leone XIII come un trauma e come una reclusione", limito' i Papi anche nel loro ufficio pastorale di vescovi di Roma, al punto che essi "rinunciarono persino ad affacciarsi dalla loggia di San Pietro", ricorda il direttore dell'Osservatore Romano, professor Giovanni Maria Vian, in un'intervista al sito Vaticaninsider. Poi con Pio X, "che non aveva certo nostalgie temporaliste, la situazione comincio' lentamente a cambiare, finche' nel 1929, al momento della Conciliazione, lo stesso Pio XI riconoscera' che con la perdita del potere temporale in realta' ai Pontefici era stato tolto un incomodo, e che incomodo".
"Pio X - ricostruisce Vian - riceveva in Vaticano, nel cortile di San Damaso, i bambini e i fedeli delle parrocchie romane e spiegava il catechismo" e "con Pio XI cominciarono i pellegrinaggi di massa, favoriti dalla maggiore facilita' dei trasporti e, insieme, dalla necessita' di reagire alla propaganda dei totalitarismi e in Italia alle adunate del regime fascista".
Pio XII, che fu "il primo vero pontefice mediatico", e Giovanni XXIII, il 'papa buono', continuarono nella stessa direzione, mentre anche "Paolo VI riservava alla preparazione dei discorsi, da lui scritti personalmente ogni martedi', per le udienze generali del mercoledì, che iniziano proprio con lui". Poi "restano indimenticabili le parole delle quattro settimane di Giovanni Paolo I e la presenza mondiale di Giovanni Paolo II".
Infine, per il professor Vian, "restera' esemplare la predicazione liturgica di Benedetto XVI: limpida pur nella complessita' di un pensiero radicato nella grande tradizione, soprattutto patristica, e caratteristica di un papa capace, a quasi ottantasei anni, di improvvisare a braccio con trasparente lucidita' anche per tre quarti d'ora". Ed eccoci a Francesco "il Papa dei poveri". "Con lui - conclude Vian - e' evidente il ritorno a una dimensione piu' quotidiana del pontificato, come dimostrano con lampante chiarezza le messe mattutine alle quali invita i dipendenti vaticani e altri fedeli".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 18 apr.
Con Papa Francesco e la sua scelta di essere prima di tutto vescovo di Roma, si completa un cammino iniziato con San Pio X. La fine dello Stato pontificio, "vissuta da Pio IX e da Leone XIII come un trauma e come una reclusione", limito' i Papi anche nel loro ufficio pastorale di vescovi di Roma, al punto che essi "rinunciarono persino ad affacciarsi dalla loggia di San Pietro", ricorda il direttore dell'Osservatore Romano, professor Giovanni Maria Vian, in un'intervista al sito Vaticaninsider. Poi con Pio X, "che non aveva certo nostalgie temporaliste, la situazione comincio' lentamente a cambiare, finche' nel 1929, al momento della Conciliazione, lo stesso Pio XI riconoscera' che con la perdita del potere temporale in realta' ai Pontefici era stato tolto un incomodo, e che incomodo".
"Pio X - ricostruisce Vian - riceveva in Vaticano, nel cortile di San Damaso, i bambini e i fedeli delle parrocchie romane e spiegava il catechismo" e "con Pio XI cominciarono i pellegrinaggi di massa, favoriti dalla maggiore facilita' dei trasporti e, insieme, dalla necessita' di reagire alla propaganda dei totalitarismi e in Italia alle adunate del regime fascista".
Pio XII, che fu "il primo vero pontefice mediatico", e Giovanni XXIII, il 'papa buono', continuarono nella stessa direzione, mentre anche "Paolo VI riservava alla preparazione dei discorsi, da lui scritti personalmente ogni martedi', per le udienze generali del mercoledì, che iniziano proprio con lui". Poi "restano indimenticabili le parole delle quattro settimane di Giovanni Paolo I e la presenza mondiale di Giovanni Paolo II".
Infine, per il professor Vian, "restera' esemplare la predicazione liturgica di Benedetto XVI: limpida pur nella complessita' di un pensiero radicato nella grande tradizione, soprattutto patristica, e caratteristica di un papa capace, a quasi ottantasei anni, di improvvisare a braccio con trasparente lucidita' anche per tre quarti d'ora". Ed eccoci a Francesco "il Papa dei poveri". "Con lui - conclude Vian - e' evidente il ritorno a una dimensione piu' quotidiana del pontificato, come dimostrano con lampante chiarezza le messe mattutine alle quali invita i dipendenti vaticani e altri fedeli".
© Copyright (AGI)
Vian: Papa Francesco chiude Porta Pia (Galeazzi)
Clicca qui per leggere l'intervista.
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