Alle origini del culto per i patroni di Roma
Le tre vie della devozione
di Carlo Carletti
«Grandi folle si dirigono verso una città così illustre: in tre vie si celebra la festa dei santi martiri». Così un inno in onore di Pietro e Paolo dell'inizio del v secolo attribuito a sant'Ambrogio. Un'immagine indubbiamente incisiva che coglie il movimento in itinere dei pellegrini verso i tre diversi siti della città (trinis VIIs celebrantur), dove il 29 giugno si commemorava la memoria congiunta dei due apostoli: sul colle Vaticano, sulla via Ostiense, nella località in catacumbas sulla via Appia. Questa triplice commemorazione è già accennata nel più antico calendario liturgico della Chiesa romana -- la depositio martyrum del tempo di Papa Marco (336) -- con la notazione cronologica dell'anno 258, che si riferisce all'avvio di una celebrazione apostolica sulla via Appia. Di qui, in epoca successiva, confluisce in forma più definita e meglio articolata nella redazione bernense del Martirologium Hieronymianum, compilata al tempo di Stefano ii (752-757): «29 giugno. A Roma il giorno anniversario degli apostoli: di Pietro sulla via Aurelia in Vaticano, di Paolo sulla via Ostiense; di ambedue in catacumbas dall'anno del consolato di Tuscus e Bassus (258)».
Il centro cultuale apostolico sulla via Appia indicato dalle fonti liturgiche corrisponde senza alcun dubbio alla macroscopica evidenza di un insediamento monumentale, ubicato al III miglio della via Appia nella località detta in catacumbas, inaspettatamente venuto alla luce nelle indagini archeologiche condotte da Paolo Styger a partire dal 1915.
Si tratta di un impianto di modeste dimensioni, semplice nelle strutture e nella morfologia, ma sufficientemente adeguato alle funzioni cui era destinato: un cortile porticato (triclia) con sedili in muratura e approvigionamento dell'acqua. Fin dalla sua nascita si propone come punto di aggregazione di una pratica devozionale rivolta a Pietro e Paolo come indicato da oltre seicento graffiti tracciati sull'intonaco rosso delle pareti (Inscriptiones Christianae urbis Romae, v, In «Civitate Vaticana» 1971, nn. 12907-13096). Se si considera che quanto rimane è costituito da circa un centinaio di frammenti di intonaco di diversa dimensione in più di un caso ricongiungibili, se ne deve dedurre -- in relazione all'intera superfice parietale -- che il numero complessivo di queste scritte dovesse raggiungere almeno mille unità grafiche: in proiezione si può ragionevolmente calcolare il passaggio di non meno di 2000/2500 visitatori, distribuiti nell'arco di un cinquantennio, fino a quando la triclia cessò la sua attività, perché resa inagibile in seguito ai lavori per la costruzione della basilica Apostolorum voluta dalla dinastia costantiniana.
Non è qui il luogo (né forse sarebbe produttivo) di riprendere le annose questioni relative alla memoria di una presenza degli apostoli nella località in catacumbas, se da vivi (temporanea abitazione, oggettivamente improbabile) ovvero da morti (in seguito a una traslazione -- da situare secondo alcuni nel 258 al tempo della persecuzione di Valeriano -- dai sepolcri originari in Vaticano e sull'Ostiense) secondo una tradizione sedimentata nel tempo e poi ripresa da Papa Damaso (366-384) nel celebre epigramma hic habitasse prius sanctos cognoscere debes (Inscriptiones Christianae, v, n. 13273).
Il dato emergente è che la comunità romana nel III secolo aveva individuato e fissato una memoria di Pietro e Paolo nel sito al III miglio della via Appia, dove già dal i secolo si erano insediati numerosi impianti sepolcrali. Questa l'oggettiva realtà effettuale: le infrastrutture della triclia (pozzo, canalizzazione, banchi in muratura) e soprattutto il gran numero di graffiti indicano in questo ambiente un centro di culto di carattere funerario, nel quale i visitatori consumavano un pasto rituale (refrigerium) e lasciavano testimonianza scritta dell'atto devozionale compiuto.
La gran parte di queste scritte -- latine e greche -- presentano sul piano testuale un'unica struttura di base, articolata in preghiere, invocazioni, specifiche richieste rivolte espressamente alla coppia apostolica con locuzioni che si formalizzano nell'uso in moduli fissi senza variazioni rilevanti. «Pietro e Paolo ricordatevi» o «ricordatevi nelle vostre preghiere» (in orationibus vestris in mente habete, eis mnèan èchete), «pregate» (petite, orate, rogate pro), «proteggete» (synterèsate, terèsate), «aiutate» (subvenite, adiuvate). Nella sostanziale genericità dei messaggi emerge talvolta la contingenza specifica che ha sollecitato una richiesta alla coppia apostolica: il favore per una buona navigazione o per il cavallo prediletto nelle corse circensi come indicano le immagini graffite di cavalli paludati con la testa palmata, ovvero lo scioglimente di un voto -- «ciò che a loro avevo promesso sciolse felicemente insieme ai suoi» (Inscriptiones Christianae, v nn. 12973, 13088 a-c, 13089 a-d). Anche il pasto rituale consumato in onore dei due apostoli -- a conferma della sua centralità nella pratica devozionale -- è più volte richiamato con moduli formulari costruiti su refrigerare/refrigerium (12981, 12993, 12967). «In onore di Pietro e Paolo Io, Tomio Celio, ho consumato il pasto»; «Il 19 marzo io, Partenio, ho consumato il pasto e noi tutti in (nome di) Dio»; «Felicissimo insieme ai suoi ha consumato il pasto»; «Dalmazio gli (eis, cioè agli apostoli) promise un voto: il refrigerium» (Inscriptiones Christianae v, 12981, 12993, 12967, 12931).
Questa documentazione costituisce allo stato attuale un unicum assoluto come testimonianza non solo di una documentazione eccezionale di cultura scritta estemporanea di evidente estrazione popolare (per la forma e i contenuti), ma anche per il rilevante e precoce valore «identitario» che la devozione apostolica aveva assunto negli strati meno elevati della società cristiana di Roma.
Non sembra esservi dubbio che queste manifestazioni siano nate dal basso nel cuore stesso della comunità, che aveva sedimentato nel tempo un patrimonio di tradizione la cui fase genetica si intravede già nel corso dei primi due secoli, quando Clemente romano nella prima epistola ai Corinzi (capitolo 5) indicava Pietro e Paolo come «le maggiori e giuste colonne (...) i nostri gloriosi apostoli»; quando Ignazio di Antiochia nella lettera ai Romani (4, 3), scritta durante il viaggio che doveva condurlo a Roma come condannato al supplizio, ricordava Pietro e Paolo come esempi della comunità romana: «quelli erano apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo»; quando infine il presbitero romano Gaio, in un contesto polemico con il montanista Proclo, sottolineava con orgoglio che lui a Roma «poteva mostrare i trofei degli apostoli: vai sul colle Vaticano e sulla via Ostia e troverai i trofei (le memorie funerarie) di coloro che hanno fondato questa comunità» (Eusebio, Historia ecclesiastica, 2, 25, 7)
La stessa pratica devozionale del banchetto, così come documentata dalle strutture e dalle iscrizioni della memoria apostolorum sulla via Appia, si propone come indicatore eloquente della percezione -- si può ben dire ante litteram -- della coppia apostolica come catalizzatrice dei valori di concordia e unità, che dovevano caratterizzare intra ed extra la Chiesa di Roma. Il banchetto sacro, il sito che lo accoglieva, la presenza e la partecipazione simbolica dei due santi eponimi sembrano esprimere compiutamente la dimensione devozionale e comunitaria maturata nella comunità nel corso della seconda metà del III secolo. All'insediamento sulla via Appia si andava in gruppo, insieme si consumava il pasto rituale e ancora insieme ci si rivolgeva agli apostoli con preghiere e acclamazioni personalizzate, che nella loro immediata semplicità sembrano travalicare il confine della rigidità rituale-sacrale per assestarsi in un canale di comunicazione diretto che vedeva nei due apostoli non già figure idealizzate ma “patroni” e “amici”, interlocutori personali seppure invisibili.
Non a caso -- e sempre in coppia -- i due apostoli sono ricordati nelle scritte devozionali pressoché esclusivamente con il solo nome proprio, senza i tituli -- poi divenuti tecnici -- di sanctus, beatus, martyr, dominus.
Il potenziale inespresso documentato nella straordinaria esperienza devozionale maturata nella memoria apostolorum sull'Appia viene acquisito e riproposto in veste ufficiale e segnatamente autoritativa -- è un vescovo che parla -- nel corso degli anni 380-384 da Damaso, che aveva penetrato con lucidità quanto la coppia apostolica fosse penetrata in profondità nella sfera devozionale della comunità. Sollecitato anche dalle pretese primaziali della chiesa di Costantinopoli, con una solenne iscrizione in versi, Damaso presenta ufficialmente -- ormai urbi et orbi -- i due apostoli come nova sidera e li elegge a patroni, protettori della città, quasi a volerli svincolare dalla immediata semplicità di un culto, che almeno per tutta l'età precostantiniana era rimasto in una sfera di utenza popolare e quasi privata: Roma suos potius meruit meruit defendere cives. Haec Damasus vestras referat -- nova sidera -- laudes (Inscriptiones Christianae, n. 13273).
Anche nella storia cultuale di Pietro e Paolo emerge il concetto storiografico dei “due piani”, che spesso accompagna e diversifica nei suoi variegati processi di trasformazione la nascita e il susseguente sviluppo della devozione martiriale.
(©L'Osservatore Romano 29 giugno 2013)
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